Il licenziamento disciplinare intempestivo è nullo, a maggior ragione in presenza di un “sistema” centrale di monitoraggio immediato delle operazioni “anomale”, che avrebbe dovuto impedire alla banca il ritardo nella contestazione.
Pubblicato il 26/05/16 17:37 [Doc.1136]
di Donato Giovenzana, Legale d'Impresa


Cass. civ., Sez. Lavoro, n. 10839, Ud. 3/3/2016, Dep. 25 maggio 2016

Il ricorso per Cassazione della banca riguarda la sentenza della Corte territoriale che aveva ritenuto fondata la censura di intempestività del licenziamento disciplinare di un dipendente, irrogato per fatti risalenti al 9.9.2008, contestati in data 6 giugno 2010 e sanzionati dopo tre mesi dalla audizione del dipendente (il 13 luglio 2010).

Secondo i Giudici d’appello il ritardo della contestazione non poteva essere giustificato dalla complessità dell’accertamento, in quanto il meccanismo di controllo descritto dai testi prendeva avvio dal monitoraggio eseguito dal sistema centralizzato, che segnalava subito operazioni potenzialmente anomale.

La banca ricorrente – in sede di ricorso – contesta la statuizione di intempestività della contestazione disciplinare.

Per la Suprema Corte i relativi motivi risultano infondati in quanto:

- Il principio della immediatezza della contestazione dell’addebito e quello della tempestività del recesso datoriale, la cui “ratio” riflette l’esigenza di osservanza della regola di buona fede e correttezza nell’attuazione del rapporto, devono essere intesi in senso relativo, potendo essere compatibili, in relazione al caso concreto ed alla complessità dell’organizzazione del datore di lavoro, con un intervallo di tempo necessario per l’accertamento e la valutazione dei fatti contestati, così come per la valutazione delle giustificazioni fornite dal dipendente;

- Ciò che rileva è l’avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non l’astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi;

- Il requisito della immediatezza della contestazione è posto a tutela del lavoratore ed è inteso a consentirgli un’adeguata difesa ed è onere del datore di lavoro fornire la prova del momento in cui ha avuto la piena conoscenza dei fatti da addebitare al lavoratore;

- Nella fattispecie di causa la Corte d’appello ha ritenuto la intempestività del licenziamento, da un lato sotto il profilo del pregiudizio del diritto di difesa del dipendente, dall’altro sotto il profilo della mancanza di prova del momento in cui le operazioni compiute dal dipendente erano state segnalate dal sistema centralizzato, del momento in cui gli uffici territoriali competenti avevano acquisito la documentazione, del momento in cui ne avevano concluso l’esame;

- Quand’anche le concrete ragioni del ritardo fossero state provate – come correttamente enunciato dalla Corte d’appello – avrebbe dovuto soccorrere un criterio di ragionevolezza “attesa la necessità di contemperare le difficoltà dell’accertamento con quelle difensive del dipendente, chiamato a giustificare il proprio operato a due anni di distanza”.

Per il che, secondo gli Ermellini, il giudizio di seconde cure risulta immune da censure e, pertanto, non può che essere confermato.

Donato Giovenzana – Legale d’impresa


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