C.te dei Conti Sez. Giur. Em. Romagna, Sent. n. 49/16 – Responsabilità amministrativa dei medici per inosservanza delle linee guida: non basta il loro mancato rispetto per accertare la colpa grave del medico, ex art. 3, I° co., del D.to Balduzzi.
Pubblicato il 05/06/16 15:37 [Doc.1177]
di Donato Giovenzana, Legale d'Impresa


CORTE DEI CONTI - SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE EMILIA-ROMAGNA.
Sent. n. 49/2016/R - Camera di Consiglio del 23 marzo 2016 - Depositata in Segreteria il giorno 7 aprile 2016.

L'ADDEBITO.

La Procura Contabile ha ritenuto sussistente la responsabilità amministrativa dei medici a titolo di colpa grave e/o negligenza inescusabile, che nascerebbe dall’omessa diagnosi della frattura, rilevabile con la semplice lettura dell'esame radiografico.
La Procura ha richiamato la disciplina di cui all’art. 2236 c.c. in tema di responsabilità professionale medica, e ripreso le conclusioni della consulenza del Pubblico Ministero ordinario, laddove si stigmatizza il comportamento dell’ortopedico che avrebbe dimesso la paziente pur in presenza di una sintomatologia importante.
Ha contestato la negligenza e imperizia dei medici, che, non avendo o non sapendo individuare la frattura, avevano operato con grave colpa poiché l’attività diagnostica non presentava alcun profilo problematico.
Ha ritenuto che nella fattispecie non vi fossero scusanti a fronte della mancata diagnosi di frattura, specie perché l’incrinatura era bene evidenziata nella prima radiografia o in una risonanza che poteva essere eseguita in alternativa.
La Procura contabile ha riportato ampi stralci delle linee guida delle Scottish Intercollegiate Guidelines Network 2009 e il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale dell’Anziano con frattura di femore dell’ARESS Piemonte del 2011 affermando che le principali accortezze ivi richieste non sarebbero state poste in essere dai medici.
Per il Pubblico Ministero contabile vi è stata approssimazione e superficialità nel trattamento della paziente che sarebbe sfociata nella colpa grave per il mancato rispetto dei protocolli di trattamento dei pazienti anziani in caso di cadute casalinghe.
Per il che ha richiamato l’art. 3 legge n. 189/2012 secondo cui: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.
In virtù di detta norma, la Procura ha dedotto che, non avendo rispettato le linee guida, si possa configurare la colpa grave in capo al medico o ai medici intervenuti nella cura del paziente.
In relazione al nesso causale, è stata richiamata la giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di condotta omissiva, affermando che nella fattispecie non vi sarebbero scusanti, atteso che nella prima radiografia la frattura era ben evidenziata. Inoltre la Procura ha contestato ai medici una serie di esami non eseguiti, quali la risonanza magnetica o la scintigrafia ossea o nuove radiografie dopo un intervallo di 24/48 ore e con proiezioni aggiuntive, che avrebbero potuto far emergere la frattura, con ciò omettendo esami diagnostici e connotando la propria condotta con colpa gravissima.

LA DECISIONE DEL COLLEGIO.

Per il Collegio la Procura regionale non ha dimostrato l’esistenza della responsabilità amministrativa dei medici sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo della colpa grave, sia sotto il profilo del nesso causale.
Infatti, l’art. 3, primo comma, legge n. 189/2012 si riferisce espressamente alle ipotesi colpose delle fattispecie penali cui possono incorrere i medici, sia nel settore pubblico che i liberi professionisti, nell’esercizio della professione sanitaria.
La norma in esame afferma che il medico non risponde penalmente per la colpa lieve se si attiene: “ … a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica …”.
L’ipotesi accusatoria, che induce a ritenere gravemente colpevole il medico che non si sia attenuto a dette linee guida, facendo sorgere, di fatto, in maniera automatica, la dimostrazione dello stato soggettivo minimo per la perseguibilità in sede contabile unicamente a seguito alla semplice inosservanza di dette raccomandazioni, non può essere condivisa, in quanto

- l’art. 3, primo comma, legge n. 189/2012 introduce nell’Ordinamento Giuridico un’esimente che vale solamente nell’ambito della responsabilità penale e unicamente per le fattispecie colpose (tra le altre quelle previste dagli artt. 589 e 590 c.p.), maggiormente frequenti nella professione sanitaria.La funzione delle linee guida, quindi, si manifesta sul piano meramente difensivo, nel senso che esse possono costituire un valido argomento per far attivare, sempre nel caso di un procedimento penale, l’esimente di cui all’art. 3, primo comma, legge n. 189/2012. Detta esimente può operare solamente sul piano della responsabilità penale, e può essere invocata unicamente dal sanitario cui sia imputato un reato colposo conseguente all’esercizio della professione medica (come, ad esempio, il reato di lesioni colpose di cui all’art. 590 c.p.) onde contrastare la pretesa punitiva del P.M. ordinario. Pertanto appare illogico che l’esimente di cui all’art. 3, primo comma, legge 189/2012, sia invocata a contrariis per affermare una responsabilità non solo di contenuto diverso da quello penalistico, ma per confermarne positivamente l’esistenza, da parte della pubblica accusa, laddove detta esimente non possa operare. In altri termini il P.M. contabile non può invocare l’esistenza della responsabilità amministrativa utilizzando, unicamente, detta norma per affermare positivamente la sussistenza della colpa grave per la sola presunta violazione di linee guida, quando invece lo scopo della norma è creare un’esimente in favore del medico laddove lo stesso ritenga di aver seguito le migliori regole della scienza medica, per contrastare la pretesa accusatoria;
- spetta alla parte pubblica nel processo contabile l’onere di dimostrare la responsabilità del convenuto provando, punto per punto, tutti gli elementi della responsabilità amministrativa, ovverosia il rapporto di servizio, la condotta dannosa, l’elemento soggettivo e il nesso causale. Ne consegue che nel caso della responsabilità amministrativa per danno sanitario va dimostrata la colpa grave del convenuto nel caso specifico, e pertanto vanno indicati gli elementi di prova in base ai quali, sul caso concreto, l’accusa ritiene che vi sia stata violazione delle buone pratiche mediche. Non appare, dunque, corretto ritenere che l’esistenza di particolari linee guida che si pongono, in astratto, in contrasto con la condotta del medico nel fatto che ha determinato una lesione al paziente sia di per sé sufficiente a dimostrare che la condotta del sanitario è stata sicuramente connotata da colpa grave;
- il concetto di colpa grave si differenzia tra l’ambito penalistico (dove per l’esimente in parola viene in rilievo la sola imperizia, non estendendosi anche ad errori diagnostici per negligenza o imprudenza; Cass. Pen. 27.04.2015, n. 26996) e l’ambito giuscontabile (dove la colpa grave del medico sussiste per errori non scusabili per la loro grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione o il difetto di un minimo di perizia tecnica e ogni altra imprudenza che dimostri superficialità; Sez. III App., n. 601/2004), con ciò introducendo una valutazione ad ampio spettro dell’elemento soggettivo nella responsabilità medica sul piano erariale.
- ai fini della valutazione del nesso causale tra la condotta dei sanitari e il danno indiretto per malpractice medica, non è sufficiente contestare una condotta difforme dalle linee guida prodotte in giudizio dalla parte pubblica (nel caso in cui si dimostri che le stesse sono accreditate presso la comunità scientifica), ma spetta al Pubblico Ministero la dimostrazione positiva che le scelte diagnostiche e chirurgiche operate nel caso concreto si sono poste quale causa efficiente diretta del disagio arrecato al paziente, o ai pazienti, che ha portato alla richiesta di risarcimento del danno liquidato dalla struttura aziendale pubblica. Al medico spetta un ruolo primario nella scelta delle modalità di approccio alla patologia evidenziata dallo stato clinico a lui sottoposto, nonché la facoltà di effettuare l’intervento farmacologico o chirurgico che ritiene necessario per la risoluzione dello stato patologico, anche mediante condotte che si pongono in antitesi con linee guida o protocolli di orientamento terapeutico, proprio per la caratteristica spiccatamente relativistica delle stesse, tanto che l’accreditamento presso le migliore dottrina scientifica deve essere dimostrato da chi intende valersene per ottenere l’esimente di cui all’art. 3, primo comma, legge 189/2012. In altri termini, la sola condotta difforme alle linee guida che il P.M. indica come violate o non rispettate appieno, non è sufficiente per sostenere che vi sia nesso causale tra il loro mancato rispetto e l’evento dannoso. Tale dimostrazione, invece, deve essere calata nel caso concreto di cui si discute, ove la semplice difformità tra linee guida allegate in atto di citazione e la condotta tenuta dal medico o dai suoi collaboratori non basta a ritenere sussistente un valido nesso causale ma può, al più, ritenersi un indice rivelatore che va corroborato con altre risultanze di fatto da verificarsi nell’evento storico che ha determinato la fattispecie dannosa.

Donato Giovenzana – Legale d’impresa


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