Il diritto di credito, nascente dal preliminare concluso da uno solo dei coniugi, avente natura “personale” e “relativa”, non rientra nella comunione legale.
Pubblicato il 12/06/16 22:28 [Doc.1201]
di Donato Giovenzana, Legale d'Impresa


Cassazione civile, sez. II, sent. n. 11504, ud. 26/04/2016, dep.03/06/2016.

La Suprema Corte – nel respingere le censure avanzate dalla ricorrente nei confronti della sentenza della Corte d’Appello – ha statuito che non cade in comunione legale l'immobile che, promesso in vendita a persona coniugata in regime di comunione legale, sia coattivamente trasferito ex art. 2932 cod. civ., a causa dell'inadempimento del promittente venditore, al promissario acquirente, con sentenza passata in giudicato dopo che tra quest'ultimo ed il coniuge era stata pronunciata la separazione.

Infatti, la comunione legale fra i coniugi, di cui all'art. 177 c.c., riguarda gli acquisti, cioè gli atti implicanti l'effettivo trasferimento della proprietà della "res" o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all'acquisizione di una "res", non sono suscettibili di cadere in comunione.

Ed invero, secondo gli Ermellini, la disciplina della comunione legale tra coniugi è animata dall'intento di tutelare la famiglia attraverso una specifica protezione della posizione dei coniugi laddove invece, se si accedesse alla tesi della ricorrente, l'attribuzione ad uno di essi della comproprietà di un immobile in un momento in cui la famiglia è già disgregata (quanto meno con riferimento alla comunione materiale e spirituale tra i coniugi, cessata appunto con la separazione), si risolverebbe solo in un ingiustificato arricchimento per il coniuge beneficiario.

Donato Giovenzana – Legale d’impresa.


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