Anticipazioni bancarie e credito prededucibile - Luciana Cipolla e Giulia Camilli
Pubblicato il 02/08/16 20:21 [Doc.1442]
di Redazione IL CASO.it


E’ prededucibile il credito sorto dopo l’apertura della procedura fallimentare anche se fondato su un provvedimento del Giudice Delegato dichiarato inesistente.
Sentenza del 30 giugno 2016 - Tribunale di Livorno
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Il Tribunale di Livorno si è pronunciato in merito ad una domanda di insinuazione al passivo presentata ex art. 101 l.f. vecchio rito, prendendo posizione su una serie di questioni rilevanti.
Ciò è stato possibile perché, prima della riforma intervenuta nel 2006, il procedimento per l’ammissione del credito allo stato passivo del Fallimento era sottoposto ad una disciplina molto diversa rispetto a quella attuale. La normativa previgente, infatti, prevedeva che il Giudice del Fallimento, in caso di contestazioni sul credito da insinuare, dovesse istruire la causa.
Nel caso in esame, la domanda di insinuazione al passivo aveva ad oggetto delle somme, in precedenza anticipate dalla Banca alla Società poi fallita, concesse a fronte della presentazione di fatture emesse da quest’ultima nei confronti di una Società terza.
La Società oggi fallita infatti intratteneva un rapporto di conto anticipi fatture con la Banca in forza del quale l’Istituto di credito aveva effettuato dieci anticipazioni. Le parti, a garanzia delle anticipazioni, avevano concordato che i crediti rappresentati dalle fatture anticipate dovessero essere ceduti alla Banca, la quale pertanto notificava regolarmente al terzo, quale debitore ceduto, l’avvenuta cessione, chiedendo altresì che gli importi dovuti a regolamento delle fatture cedute venissero corrisposti alla Banca stessa.
La Società titolare del rapporto di conto anticipi fatture falliva e la Banca insinuava al passivo del predetto Fallimento il credito garantito dalla cessione delle fatture. Tale credito veniva ammesso in via chirografaria.
Successivamente la Società terza, che in forza di quanto fin qui enunciato, avrebbe dovuto pagare il credito portato dalle fatture alla Banca, provvedeva a corrispondere tali somme al Fallimento, adempiendo ad un provvedimento ex art. 25 l.f. emesso dal Giudice Delegato su istanza della Curatela.
La Banca incardinava delle procedure nei confronti della Società terza volte ad ottenere da quest’ultima il pagamento dei crediti rappresentati dalle fatture, già versati al Fallimento. Tuttavia, poiché tali procedimenti non consentivano alla Banca di ottenere alcunchè, questa tentava di recuperare le predette somme dal Fallimento.
Dopo il rigetto da parte del Giudice Delegato del Fallimento di una prima istanza di assegnazione delle somme incassate, la Banca depositava una domanda di insinuazione ultratardiva ex art. 101 l.f. con la quale chiedeva l’ammissione in prededuzione dell’importo dovuto alla Banca e incassato dal Fallimento. Tale domanda veniva rigettata con ordinanza dopo la prima udienza.
Il provvedimento di rigetto, così assunto, contrastava con quanto previsto dall’art. 101 l.f. vecchia formulazione.
Tale norma, prima del 2006, prevedeva infatti che, a seguito del ricorso presentato dai creditori per chiedere l’ammissione al passivo, il Giudice dovesse fissare, con decreto, l’udienza in cui il richiedente e il curatore sarebbero dovuti comparire, costituendosi ex art. 98 terzo comma. In tal udienza il Giudice aveva due possibilità: se non vi erano contestazioni in merito alla domanda, ammettere il credito con decreto, viceversa, in caso di contestazione, procedere all’istruzione della causa a norma degli art. 175 e seguenti del c.c. Pertanto l’esclusione del credito era un provvedimento che il Giudice poteva assumere esclusivamente a seguito dell’istruzione della causa e non dopo la sola prima udienza.
La Banca allora, non potendo impugnare l’ordinanza di rigetto perché ritenuta nulla, riproponeva la medesima domanda di ammissione al passivo.
In questo caso, il Giudice, all’udienza fissata, posto che il Fallimento aveva sollevato delle contestazioni circa il credito da ammettersi, correttamente provvedeva all’istruzione della causa. Questa si concludeva con la sentenza in commento che in accoglimento della domanda presentata dalla Banca ha ammesso il credito in prededuzione.
In sentenza, il Collegio si è preliminarmente pronunciato sulla riproposizione della domanda di insinuazione al passivo a seguito del precedente rigetto della stessa senza il rispetto dell’iter processuale previsto dall’art. 101 l.f. vecchio rito. Al riguardo, lo stesso Collegio ha dichiarato che il provvedimento di rigetto è inesistente, in quanto emesso da un Giudice privo di poteri decisori e, pertanto, non produttivo di effetti giuridici. Ne consegue che “bene ha fatto il creditore a riproporre la medesima domanda e a non impugnare il predetto provvedimento di rigetto in quanto il Giudice dell’impugnazione non avrebbe potuto fare altro che dichiarare l’inesistenza del provvedimento impugnato”.
Il Tribunale di Livorno, si è poi soffermato ad analizzare il decreto ex art. 25 l.f. emesso dal Giudice Delegato su istanza della Curatela, con il quale si chiedeva alla Società terza di corrispondere al Fallimento i crediti portati dalle fatture anticipate e ceduti alla Banca. Sul punto è stata richiamata una sentenza di Cassazione del 2004 che ha statuito che “il decreto di acquisizione al fallimento di beni detenuti da terzi, emesso ai sensi dell’art. 25 comma 1 n. 2 l.f., può essere adottato dal Giudice Delegato nell’ipotesi in cui il terzo non contesti l’appartenenza del bene all’asse fallimentare e non anche in quella in cui lo stesso opponga un proprio diritto esclusivo incompatibile con la sua inclusione nell’attivo fallimentare”. In tale seconda ipotesi, continua la Corte, il decreto del Giudice Delegato e il decreto confermativo emesso dal Tribunale in esito al reclamo, sono da considerarsi giuridicamente inesistenti in quanto essi finiscono per statuire su questioni di diritti soggettivi che possono essere risolte solo ricorrendo necessariamente ad un ordinario processo di cognizione. Dunque, nel caso di specie, il provvedimento del Giudice Delegato è da considerarsi inesistente in quanto statuisce su un diritto non incontroverso.
Ciò comporta delle conseguenze: in primo luogo il pagamento a favore del Fallimento da parte della Società terza è da considerarsi un pagamento indebito, con l’ulteriore effetto che la Società terza avrebbe il diritto di vedersi restituire dal fallimento le somme indebitamente corrisposte.
Inoltre, sulla base di quanto fin qui enunciato, è stata respinta anche l’ulteriore eccezione di inammissibilità della domanda di insinuazione al passivo conseguente alla precedente ammissione del credito della Banca in via chirografaria, dal momento che le due domande trovano fondamento in due titoli diversi: la domanda chirografaria è basata sul titolo contrattuale costituito da una clausola presente nella cessione del credito che consentiva alla Banca di chiedere le somme alla Società titolare del conto anticipi, a prescindere dal mancato pagamento da parte del cessionario; diversamente, il titolo della domanda in oggetto è costituito da un pagamento indebito effettuato dalla Società terza nei confronti del Fallimento.
Per ciò che riguarda la richiesta delle somme in prededuzione invece, con la sentenza viene confermata anche la natura prededucibile dei crediti oggetto di contestazione. L’interpretazione dell’art. 111 l.f. ante 2006, in tema di individuazione dei crediti prededucibili, era unanime nel ritenere che erano prededucibili i crediti sorti dopo l’apertura della procedura fallimentare, per effetto di obbligazioni assunte dai suoi organi ed, in ogni caso, se ricollegabili alla procedura concorsuale o ai suoi organi. Pertanto, il credito oggetto di causa, poiché fondato su un decreto emesso dal Giudice Delegato anche se inesistente, è dunque sorto in corso di procedura e pertanto riveste natura prededucibile.
In ultimo il Collegio ha definito la questione della legittimazione attiva della ricorrente a richiedere il pagamento, essendo quest’ultimo stato indebitamente effettuato al Fallimento dalla Società terza. Poiché tale pagamento è stato eseguito in forza di un provvedimento giudiziale, dopo che il debitore si era già reso disponibile a pagare al proprio creditore, a giudizio del Tribunale è applicabile la disciplina del pagamento al creditore apparente. L’art. 1189 c.c. prevede che “ Il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanza univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede. Chi ha ricevuto il pagamento è tenuto alla restituzione verso il vero creditore, secondo le regole stabilite per la ripetizione dell’indebito”. In base a tale normativa, poiché la Società terza è da ritenersi liberata a seguito del pagamento ad un soggetto legittimato a riceverlo in forza appunto del decreto ex art. 25 l.f., la Banca può richiedere la restituzione delle somme secondo le regole per la ripetizione dell’indebito.
In conclusione, la Banca, nonostante la complessità della vicenda e le difficoltà, in principio, riscontrate nell’attività di recupero del credito, ha portato a casa una grande vittoria, ottenendo l’ammissione della domanda al passivo del fallimento e vedendo rigettate le eccezioni di controparte.

Luciana Cipolla – Partner, La Scala Studio Legale
Giulia Camilli – Trainee, La Scala Studio Legale


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