Contributi sproporzionati per il permesso di soggiorno? Euro-incompatibili. Conferma da parte del Consiglio di Stato
Pubblicato il 10/12/16 20:09 [Doc.2140]
di Redazione IL CASO.it
Massime a cura di Giuseppe Buffone
Cons. Stato, sez. III, sentenza 26 ottobre 2016, n. 4487 (Pres. Maruotti, rel. Noccelli)
DIRETTIVA 2003/109/CE â SENTENZA CORTE GIUST. UE 2.9.2015 - NORMATIVA NAZIONALE â RILASCIO E RINNOVO DEL PERMESSO DI SOGGIORNO â PRESUPPOSTO â CONTRIBUTO FINANZIARIO OBBLIGATORIO â IMPORTO OTTO VOLTE PIÃ ELEVATO RISPETTO ALLâIMPORTO RICHIESTO PER OTTENERE LA CARTA DâIDENTITÃ NAZIONALE â LESIONE DEI PRINCIPI DELLA DIRETTIVA 2003/109/CE â SUSSISTE â EFFETTI â OBBLIGO IN CAPO ALLâAMMINISTRAZIONE STATALE
a) La Corte di Giustizia ha motivatamente inteso affermare nella sentenza del 2 settembre 2015, in C-309/14, lâincompatibilità , nel suo complesso, della normativa nazionale, che prevede i contributi per il rilascio e il rinnovo di tutti i permessi di soggiorno in una forbice compresa tra un minimo di ⬠80,00 ed un massimo di ⬠200,00, perché ha ritenuto che il âtariffarioâ di tali contributi, di tutti i contributi, sia di ostacolo allâesercizio dei diritti conferiti dalla direttiva n. 2003/109/CE ai cittadini stranieri «stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri» (âConsiderandoâ n. 4) e intenzionati a richiedere il permesso UE di lungo soggiorno, ma soggetti a ripetuti e sproporzionati contributi, fin da quello iniziale di ⬠80,00 e a quelli successivi di importo via via crescente, da parte della legislazione nazionale, nel quinquennio richiesto dalla stessa direttiva n. 2003/109/CE (art. 4) e dalla legislazione nazionale attuativa (art. 9, comma 1, del d. lgs. n. 286 del 1998) per lâottenimento di tale permesso;
b) lâimporto di tali contributi, anche quello minimo di ⬠80,00, ha infatti una incidenza finanziaria considerevole per i cittadini di Paesi terzi che soddisfano le condizioni sostanziali previste dalla stessa direttiva n. 2003/109/CE e compromette gli obiettivi perseguiti da tale direttiva, privandola del suo effetto utile, soprattutto ove si consideri che anche lâimporto più basso â ⬠80,00 â tra tutti quelli previsti supera, comunque, ben oltre le sette volte il costo richiesto nel nostro Paese per il rilascio della carta di identità ad un cittadino italiano;
c) qualora la Corte di Giustizia dellâUnione europea, come in questo caso, dichiari lâincompatibilità del diritto nazionale con i Trattati e la âlegislazione eurounitariaâ, il giudice interno â e, in particolar modo, il Consiglio di Stato quale giudice di ultima istanza ai sensi dellâart. 267, par. 3, TFUE â è tenuto a disapplicare o, meglio, a non applicare il diritto dello Stato giudicato dalla Corte contrastante con i Trattati e detta âlegislazioneâ;
d) nel caso di specie, deve essere disapplicata, per effetto della sentenza della Corte di Giustizia dellâUnione europea del 2 settembre 2015, in C-309/14, la disposizione dellâart. comma 2-ter dellâart. 5 del d. lgs. n. 286 del 1998, nella misura in cui fissa gli importi dei contributi richiesti per tutti i permessi di soggiorno da un minimo di ⬠80,00 ad un massimo di ⬠200,00, in quanto costituenti nel loro complesso un ostacolo, per il loro importo eccessivamente elevato, ai diritti conferiti ai cittadini stranieri richiedenti i permessi UE di lungo soggiorno, con conseguente illegittimità del D.M. qui impugnato, nelle parti già annullate dal T.A.R. In ottemperanza della presente decisione e previa disapplicazione, nei limiti sopra esplicati, del comma 2-ter dellâart. 5 del d. lgs. n. 286 del 1998, alla luce di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia, le Amministrazioni competenti ridetermineranno lâimporto dei contributi, nellâesercizio della loro discrezionalità , in modo tale che la loro equilibrata e proporzionale riparametrazione non costituisca un ostacolo allâesercizio dei diritti riconosciuti dalla direttiva n. 2003/109/CE. In particolare, secondo lâeffetto conformativo proprio del presente giudicato, esse ridetermineranno con apposito decreto i contributi ora per allora alla stregua del consolidato principio secondo il quale, quando vi è un giudicato amministrativo di annullamento di atti generali in tema di tariffe, di prezzi o di aliquote, lâAmministrazione ben può determinare ovvero applicare âora per alloraâ il sopravvenuto provvedimento, che mira a colmare il âvuotoâ conseguente alla sentenza amministrativa che abbia annullato con effetti ex tunc un atto generale (v., ex plurimis, Cass., Sez. Un., 1° ottobre 1982, n. 5030; Cons. St., sez. V, 21 ottobre 1997, n. 1145 e, tra le più recenti, Cons. St., sez. III, 7 marzo 2016, n. 927). Competerà anche alle predette Amministrazioni, nel rinnovato esercizio della loro discrezionalità , stabilire, secondo i principî dettati dal diritto nazionale ed eurounitario e in sintonia con le competenti istituzioni europee (anche al fine di scongiurare ulteriori procedure di infrazione da parte della Commissione), an, quando e quomodo degli eventuali rimborsi agli interessati per le somme versate in eccedenza rispetto al dovuto.
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