Contribuzione previdenziale del lavoratore-sindacalista reintegrato
Pubblicato il 27/03/17 07:14 [Doc.2716]
di Redazione IL CASO.it


Segnalazione e massima Avv. Fabrizio Daverio - Daverio&Florio

Cass. civ., sez. lavoro, sent. 27 febbraio 2017, n. 4899 – Pres. D’Antonio - Est. Cavallaro

Rapporto previdenziale – Art. 28 legge n. 300/1970 - Reintegrazione – Contribuzione - Sussiste

Ha diritto al versamento della contribuzione previdenziale maturata nel periodo intercorso tra la data del licenziamento e la data del ripristino del rapporto di lavoro anche il lavoratore-sindacalista reintegrato a seguito di accoglimento del ricorso per condotta antisindacale proposto dall’associazione di riferimento.

Con il provvedimento in esame, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla debenza, oppure no, della contribuzione previdenziale maturata da alcuni lavoratori-sindacalisti nel periodo compreso tra la data del loro licenziamento e quella della loro reintegrazione per effetto dell’accoglimento del ricorso ex art. 28 della legge n. 300/1970 proposto dall’Associazione Sindacale di riferimento.
In particolare, la Società datrice di lavoro riteneva che non fossero dovuti i contributi maturati medio tempore dai suddetti lavoratori in quanto, da un lato, era mancata qualsiasi prestazione lavorativa che potesse giustificare il versamento contributivo e, d’altro lato, non v’era mai stata alcuna lettera di diffida e messa in mora al riguardo da parte dei lavoratori.
Il Tribunale territoriale accoglieva le doglianze della Società, mentre la Corte di merito, riformando la pronuncia di prime cure, statuiva che i rapporti di lavoro non si erano mai interrotti. Sicché, la datrice di lavoro era tenuta ad adempiere ai correlati obblighi contributivi.
La Società impugnava la sentenza di secondo grado deducendone l’erroneità nella parte in cui aveva statuito che i lavoratori-sindacalisti avrebbero avuto diritto ai presunti contributi maturati nelle more del licenziamento, pur non avendo mai impugnato quest’ultimo.
I Giudici di legittimità rigettavano il ricorso della Società muovendo, anzitutto, dal principio per cui il licenziamento intimato per motivi sindacali è un licenziamento nullo e, come tale, insuscettibile di determinare la cessazione del rapporto di lavoro cui si riferisce. Sicché, è naturale conseguenza del persistere del rapporto lavorativo il perdurare del correlato obbligo contributivo in capo al datore di lavoro.
Né in senso contrario si sarebbe potuto opporre, proseguiva la Suprema Corte, che nelle ipotesi di reintegra disposta ex art. 28 legge n. 300/1970, non troverebbe applicazione una norma speciale, quale quella dell’art. 18 della medesima legge, ai cui sensi sarebbe fatto salvo, in ipotesi di licenziamento illegittimo, sia l’obbligo retributivo che l’obbligo contributivo.
Ed invero, concludeva la Suprema Corte, nella prospettiva dell’Ente previdenziale, la situazione di fatto che si determina a seguito di un licenziamento nullo è parificabile a quella che si crea nelle ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro disposta dal datore di lavoro in assenza dei necessari requisiti di legge. In entrambe le ipotesi, infatti, il rapporto previdenziale, forte della sua autonomia rispetto al rapporto di lavoro, non è inficiato in alcun modo.
Le motivazioni rassegnate dai Giudici di legittimità con il provvedimento in esame circa l’autonomia del rapporto previdenziale rispetto al rapporto di lavoro trovano il loro fondamento giuridico nell’art. 1 del d.l. n. 338/1989, convertito con modificazioni in legge n. 389/1989, a mente del quale “la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale”.
Pertanto, come già ribadito dalla Suprema Corte in altra occasione, ai fini del calcolo dell'obbligazione contributiva, la retribuzione rileva non come elemento “di fatto” ma come elemento “giuridico”, ossia come retribuzione dovuta in ogni caso e nella misura determinata dalla legge, dal contratto individuale di lavoro o da quello collettivo (tra le prime, Cass. Civ., Sez. Lav., sentenza del 13 aprile 1999, n. 3630).


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