Rottamazione: la lite abbandonata lascia in eredità spese processuali
Pubblicato il 28/04/17 06:12 [Doc.2898]
di Redazione IL CASO.it


L’adesione al trattamento agevolativo ha come effetto l’estinzione della controversia. Il contribuente deve chiedere al giudice il provvedimento di cessazione della materia del contendere

Per il principio di soccombenza virtuale, il contribuente, che rinuncia alla causa perché ha rottamato le cartelle, paga comunque le spese processuali se i motivi presentati per fare annullare l’atto impositivo erano in teoria infondati.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 8377 del 31 marzo 2017.

I fatti
Con avviso di accertamento emesso per maggiori Irpef e Irap 2008, l’ufficio ha recuperato, nei confronti della titolare di un’impresa individuale, ricavi non contabilizzati derivanti dall’attività di tabaccheria (vendita di schede telefoniche e di digitale terrestre, i cui costi di acquisto, invece, erano stati computati in detrazione) annessa a quella del bar.

La contribuente ha proposto ricorso lamentando (anche) l’obbligo di redazione del Pvc prima dell’emissione dell’avviso di accertamento e l’errata determinazione del reddito d’impresa poiché l’ufficio non aveva scomputato, dai maggiori ricavi accertati, una parte di ricavi scaturenti dall’attività di bar, compensando le due somme.
I giudici di merito hanno respinto il ricorso della contribuente che, non dandosi per vinta, ha proposto ricorso in Cassazione. La donna, inoltre, il 15 febbraio 2017, ha presentato dichiarazione di adesione alla definizione agevolata (Dl 193/2016), con impegno a rinunciare ai giudizi relativi ai ruoli “rottamati” e, poi, ha depositato atto di rinuncia al ricorso.

La Corte ha dichiarato estinto il giudizio e ha condannato “La parte rinunziante … alle spese processuali, liquidate come in dispositivo, in considerazione della sua soccombenza virtuale …”.

Osservazioni
I giudici di legittimità si sono pronunciati sia sull’impegno a rinunciare al giudizio, previsto dall’articolo 6, comma 2, del Dl 193/2016 (decreto fiscale), sia sulla soccombenza della parte ricorrente. Hanno dichiarato, infatti, l’estinzione del giudizio per rinuncia conseguente all’adesione della contribuente alla definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione (rottamazione dei ruoli) e, per le spese di lite, hanno effettuato una proiezione virtuale dell’esito della controversia, condannando la donna alla refusione delle spese di lite.

Con riferimento ai carichi ancora in contestazione, deve osservarsi che la norma richiamata (articolo 6, comma 2, Dl 193/2016) prevede che il debitore, nella dichiarazione di adesione alla definizione agevolata (modello DA1), è tenuto sia a indicare la pendenza di giudizi aventi a oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione sia ad assumere l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi nel momento dell’adesione.

La circolare 2/2017, nel fornire chiarimenti su come procedere in presenza di giudizi pendenti e su quali possano essere le conseguenze per il contribuente, ha precisato che l’impegno a rinunciare non corrisponde “strettamente alla rinuncia al ricorso” disciplinata dal decreto sul contenzioso tributario.
L’articolo 44 del Dlgs 546/1992, modificato dall’articolo 9, comma 1, lettera p), del Dlgs 156/2015, infatti, prevede che l’estinzione del processo per rinuncia di una delle parti deve essere accettata dalle altre parti costituite, portatrici di un effettivo interesse alla prosecuzione del processo, e si risolve nel rimborso delle spese alle altre parti, salvo diverso accordo. In tale ipotesi, quindi, si hanno due distinti provvedimenti del giudice: uno che determina l’estinzione totale del processo (decreto del presidente della sezione o sentenza della Commissione tributaria) e l’altro che eventualmente dispone sulle spese (ordinanza non impugnabile del presidente della sezione o della Commissione tributaria).

Nell’ambito della rottamazione dei ruoli, invece, poiché l’impegno a rinunciare si inserisce nel procedimento di definizione agevolata e diviene efficace solo con il perfezionamento della sanatoria (e cioè con il tempestivo e integrale versamento del complessivo importo dovuto dal contribuente), l’estinzione del giudizio deve essere ritenuta un effetto della definizione e non già un requisito per accedere alla stessa.
L’impegno assunto dal debitore e la definizione degli importi in contenzioso si traducono, quindi, nell’obbligo di chiedere al giudice il provvedimento di cessazione della materia del contendere, con conseguente compensazione ope legis delle spese di lite ex articolo 46, del Dlgs 546/1992.

Nella fattispecie esaminata, i giudici di legittimità hanno dato atto che la contribuente, dopo aver presentato domanda di rottamazione impegnandosi a rinunciare al giudizio, ha anche depositato la rinuncia al ricorso in Cassazione, con le conseguenze processuali previste dall’articolo 391 cpc in termini di estinzione del giudizio e di condanna alle spese, in mancanza di diverso accordo tra le parti.
La Corte, seguendo il proprio orientamento in materia di estinzione del giudizio conseguente alla cessazione della materia del contendere per annullamento dell’atto in autotutela intervenuto in corso di causa, ha effettuato un “giudizio virtuale” sull’esito che la controversia sottoposta al suo esame avrebbe avuto in assenza di rottamazione.
Di conseguenza, dopo aver ritenuto infondato il primo motivo di ricorso e inammissibile il secondo, ha disposto la condanna alle spese della contribuente per le specifiche ragioni di merito indicate nell’ordinanza. Ciò in quanto l’articolo 52 del Dpr 633/1972 impone la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni solo in caso di accesso o ispezione nei locali dell’impresa e, nella fattispecie, era pacifico che non vi erano stati accessi o ispezioni (Cassazione, sezioni unite, pronunce 24823/2015 e 7843/2015) e, inoltre, la ricorrente non aveva censurato l’impossibilità di operare “una compensazione” tra ricavi dell’attività di bar (indicati in dichiarazione in maniera erronea, in danno alla contribuente) e ricavi dell’attività di tabaccheria (accertati dall’ufficio).

In conclusione, se la contribuente non avesse presentato rinuncia al ricorso ex articolo 44 del Dlgs 546/1997, dal suo impegno a rinunciare, secondo le indicazioni della circolare 2/2017, sarebbe scaturita la definizione della pendenza tributaria per effetto della speciale disposizione di legge (articolo 6, Dl 193/2016) e, in tal caso, le spese anticipate del giudizio estinto sarebbero rimaste a suo carico (articolo 46, comma 3, Dlgs 546/92). Con la cessazione della materia del contendere, quindi, la compensazione sarebbe stata automatica.

Romina Morrone
pubblicato Mercoledì 19 Aprile 2017


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