Reverse charge: rassegna ragionata di giurisprudenza Ue e nazionale - 1
Pubblicato il 11/07/17 08:17 [Doc.3385]
di Redazione IL CASO.it


Il meccanismo realizza uno snellimento del processo di riscossione dell’Iva, individuando un unico soggetto cui imporre gli obblighi di dichiarazione e versamento del tributo

Il regime dell’inversione contabile (reverse charge) è un particolare meccanismo applicativo dell’Iva finalizzato a contrastare l’evasione e l’elusione fiscale constatate in taluni tipi di operazioni (Corte di giustizia, sentenza 29 marzo 2012, C‑414/10). Costituisce un’eccezione al principio, ricordato all’articolo 193 della direttiva 2006/112, secondo cui l’Iva è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile e dev’essere, quindi, interpretato restrittivamente, senza tuttavia essere privata di effetto (Corte di giustizia, sentenze: 13 giugno 2013, C‑125/12; 23 aprile 2015, C‑111/14). Il fatto che il meccanismo dell’inversione contabile sia un’eccezione al principio sancito dall’articolo 193 della direttiva 2006/112 implica che deroghe a tale principio operano solo se espressamente previste da tale direttiva (Corte di giustizia, sentenza 26 aprile 2017 causa C‑564/15).

Mediante il reverse charge, limitatamente alle operazioni cui tale regime è applicabile, si trasferisce in capo all’acquirente (cessionario o committente) la qualifica e il ruolo di debitore dell’imposta verso l’Erario. Conseguentemente, al cessionario o al committente non viene addebitata in rivalsa alcuna imposta da parte di colui che effettua l’operazione imponibile. Per effetto del reverse charge, pertanto, il cessionario o committente dovrà calcolare l’imposta dovuta sull’acquisto effettuato e far confluire il predetto importo a debito nella propria liquidazione. Detto meccanismo, infatti, realizza uno snellimento del processo di riscossione dell’imposta, individuando un unico soggetto - cessionario o committente - cui imporre gli obblighi di dichiarazione e versamento del tributo (Cassazione, ordinanza 25035/2013).
A seguito dell’applicazione del regime dell’inversione contabile non si verifica alcun versamento dell’Iva tra il fornitore e l’acquirente dei beni, dato che quest’ultimo è debitore, per le operazioni effettuate, dell’Iva a monte, pur potendo in linea di principio detrarre questa stessa imposta, cosicché nulla è dovuto all’amministrazione tributaria (Corte di giustizia, sentenza 6 febbraio 2014, C‑424/12).
In assenza di limiti, oggettivi o soggettivi, all’esercizio della detrazione, quindi, l’operazione risulta fiscalmente neutrale, in quanto l’imposta a debito è esattamente pari a quella a credito.

Il reverse charge permette, in tal modo, alle autorità tributarie di riscuotere l’Iva applicata alle operazioni di cui trattasi quando la capacità del debitore di pagarla è compromessa (Corte di giustizia, sentenza del 13 giugno 2013, C‑125/12).

Caratteristiche distintive del reverse charge
Le fattispecie soggette al reverse charge possono distinguersi in reverse charge esterno o interno.
Il reverse charge esterno è riconducibile a fattispecie in relazione alle quali l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile è obbligatoria per tutti i Paesi membri dell’Ue e riguarda le cessioni intra-Ue di beni e le prestazioni di servizi transnazionali ossia i servizi scambiati tra soggetti passivi Iva stabiliti in Stati membri differenti.
Il reverse charge interno ha, invece, una connotazione diversa rispetto a quello esterno. Il reverse charge interno è previsto, notoriamente, in ragione dell’esigenza di semplificare le regole e contrastare l’elusione e l’evasione fiscale in determinati settori e per taluni tipi di operazioni. La sua adozione è, pertanto, rimesso alla situazione e scelta di ciascun Stato membro Ue.

Il reverse charge negli scambi intra-Ue di beni
La cessione intra-Ue di beni si caratterizza per il fatto che un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro trasferisce il potere di disporre, come proprietario, di un bene mobile a un altro soggetto passivo stabilito in un differente Stato membro, e il bene medesimo è spedito o trasportato a destinazione per mezzo del venditore o dell’acquirente o per loro conto.
Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Ue, la cessione intra-Ue di un bene e l’acquisto intra-Ue di quest’ultimo costituiscono in realtà un’unica e medesima operazione economica benché quest’ultima crei diritti e obblighi diversi sia per le parti della transazione, sia per le autorità tributarie degli Stati membri interessati. Ogni acquisto intra-Ue, tassato mediante reverse charge nello Stato membro di destinazione della spedizione o del trasporto intra-Ue di beni, comporta come corollario una cessione “esente” (non imponibile, nella terminologia del legislatore italiano) nello Stato membro di partenza di detta spedizione o di detto trasporto (sentenza 6 aprile 2006, causa C-245/04). L’operazione intra-Ue di beni, pertanto, si realizza mediante l’obbligo, in capo al soggetto acquirente, di integrare il documento fiscale emesso dal soggetto cedente assoggettando l’operazione a imposta, applicando la stessa aliquota che avrebbe applicato laddove tale operazione fosse stata effettuata all’interno del proprio territorio. Dopodiché, l’acquirente dovrà provvedere alla contestuale annotazione del medesimo documento sia nel registro delle vendite che in quello degli acquisti.

Con riguardo alle cessioni intra-Ue di beni, l’applicazione dell’Iva mediante reverse charge ha trovato, in passato, la sua giustificazione iniziale, quale deroga transitoria al modello politico originario dell’Iva europea basato sul principio di tassazione all’origine. In tali fattispecie, pertanto, la traslazione dell’onere dell’assolvimento del tributo in capo al cessionario/committente in forza del principio di destinazione è dovuta all’esigenza di preservare, a favore dei singoli Stati membri dell’Ue, il potere di determinazione delle aliquote applicabile alle singole operazioni. La medesima esigenza, oggi, è rilevata nel dibattito circa il futuro dell’Iva, circa l’opportunità di applicare definitivamente la tassazione nello Stato membro di destinazione per le forniture di beni intra-Ue e prestazioni di servizi transnazionali.

Il reverse charge negli scambi transnazionali di servizi
Con riguardo alle prestazioni di servizi scambiate tra soggetti passivi stabiliti in Stati membri diversi, al fine di stabilire il luogo di imposizione a Iva, occorre avere riguardo alle regole di territorialità introdotte dalla direttiva n. 2008/8/Ce che, in linea generale, stabiliscono che lo scambio di servizi tra soggetti passivi Iva stabiliti in Stati membri diversi, risulta imponibile nel Paese membro in cui è stabilito il committente (cfr articolo 44 della direttiva 2006/112). Di conseguenza, il committente sarà tenuto ad assoggettare la prestazione a Iva mediante, per l’appunto, il metodo del reverse charge (cfr articolo 196 della direttiva 2006/112).
Di contro, per le prestazioni disciplinate da criteri specifici di territorialità e le cessioni di beni, se effettuate da un soggetto passivo non stabilito nello Stato membro in cui l’Iva è dovuta, continua a trovare applicazione l’articolo 194, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, il quale consente agli Stati membri la possibilità di prevedere che, in tali circostanze, debitore d’imposta sia il destinatario dell’operazione.

Negli scambi transnazionali di servizi, quindi, l’elemento territoriale non deve essere considerato come una condizione che, affiancandosi ai presupposti oggettivo e soggettivo, realizza il presupposto applicativo dell’Iva. L’aspetto territoriale, più che essere considerato una condizione di applicazione del tributo, deve più propriamente essere valutato come la collocazione territoriale dell’operazione ai fini Iva (Corte di giustizia, sentenza del 2 luglio 2009, causa C-377/08).

Il legislatore italiano, ad esempio, ha adottato tale soluzione, mediante il Dlgs 18/2010, modificando gli articoli da 7-ter a 7-septies e l’articolo 17 del Dpr 633/1972. Alla luce della normativa italiana, quindi, con riguardo alle prestazioni di servizi territorialmente rilevanti ai fini dell’imposta in Italia – rese da soggetti non residenti (ad eccezione di quelle rese per il tramite di una stabile organizzazione in Italia) – deve sempre essere assolta dal cessionario o committente, quando questi sia un soggetto passivo stabilito in Italia, mediante reverse charge (per le prestazioni effettuate da un soggetto passivo stabilito in altro Stato membro Ue) ovvero autofattura (per le prestazioni effettuate da un soggetto passivo stabilito in altro Stato extra-Ue), ancorché il cedente o prestatore sia identificato ai fini Iva in Italia, tramite identificazione diretta o rappresentante fiscale.


1 - continua

Antonino Iacono
pubblicato Lunedì 10 Luglio 2017


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