Premi: senza obblighi contrattuali, va esclusa l’applicazione dell’Iva
Pubblicato il 22/07/17 04:25 [Doc.3482]
di Redazione IL CASO.it


È onere del committente di prestazioni di servizi, che invochi il diritto di detrazione del tributo assolto o dovuto, dimostrare che ricorrono i presupposti per fruirne

Non può essere detratta l’Iva per i premi di impegnativa pagati dalla concessionaria di spazi pubblicitari al “centro media”, oltre alle provvigioni remunerative dell’attività di intermediazione, se i premi non costituiscono corrispettivo di una specifica prestazione e sono qualificabili come mere cessioni di denaro a titolo gratuito.
Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 16778 del 7 luglio 2017.

I fatti
Nel corso della verifica condotta nei confronti di una Spa, operante come “centro media” nel campo della pubblicità, la Gdf ha riscontrato che la società riceveva “premi impegnativa” dalle concessionarie di spazi pubblicitari e li fatturava con Iva al 20 per cento. Di rimando, le concessionarie, tra le quali anche la Spa parte della controversia, ricevute le fatture, le contabilizzavano, detraendo i relativi importi Iva.
Tuttavia, dall’esame degli accordi commerciali tra le società, era emerso che i premi non erano correlati a un determinato volume di acquisti, né costituivano corrispettivi di servizi resi, poiché non risultavano correlati a specifici adempimenti negoziali.

Recependo tali rilievi nel successivo avviso di accertamento, l’ufficio ha qualificato i premi come cessioni di denaro a titolo gratuito, non assoggettabili a Iva ex articolo 2, comma 3, Dpr 633/1972 e, di conseguenza, ha rettificato la dichiarazione Iva presentata nell’anno 2005 dalla contribuente, disconoscendo il diritto alla detrazione d’imposta sulle fatture ricevute dal centro media, riliquidando la maggiore Iva e irrogando la relativa sanzione.

La società ha impugnato l’atto, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale, confermato dalla sentenza dal giudice di appello.
In particolare, la Commissione regionale, limitandosi a far leva sulla libertà della forma negoziale e, quindi, sulla validità di quella verbale, ha giustificato l’esistenza del rapporto giuridico, scaturente dallo svolgimento, da parte del centro media, di “...un’attività di intermediazione, ma anche...di pianificazione e programmazione degli investimenti pubblicitari e di analisi dei risultati conseguiti…”. E, inoltre, ha concluso che comunque non vi era stato alcun danno per l’Erario, poiché l’Iva versata dall’emittente delle fatture era stata poi detratta dalla società concessionaria.

L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando:
omessa/insufficiente motivazione circa il fatto controverso e decisivo dell’esistenza di un accordo che, a prescindere dalla sua forma, giustificasse l’assoggettamento a Iva degli importi delle prestazioni
violazione o falsa applicazione di legge (articoli 2, comma 3, e 3, commi 10, 19 e 21, Dpr 633/1972; articoli 1362 e seguenti, e 2697 del codice civile), in quanto il centro media non era obbligato contrattualmente nei confronti delle società concessionarie della pubblicità, con la conseguenza che era inconferente il richiamo del principio di neutralità dell’imposta.
La Corte ha accolto il ricorso, ribadendo che “…tocca…al committente di prestazioni di servizi che invochi il diritto di detrazione dell’Iva assolta o dovuta provare che ricorrono i presupposti per fruirne…”.

La sentenza
Richiamati i presupposti per fruire del diritto alla detrazione (ossia, sotto il profilo sostanziale, la soggettività passiva, la circostanza che i beni o i servizi siano utilizzati a valle ai fini delle operazioni soggette a imposta oppure, almeno, che sussista un nesso diretto e immediato tra le spese connesse alle operazioni a monte e il complesso delle attività economiche del soggetto passivo e che, a monte, detti beni siano ceduti o che tali servizi siano forniti da un altro soggetto passivo), la Cassazione ha esaminato i rapporti negoziali intercorsi tra le società, chiarendo che le categorie negoziali del diritto interno vanno connotate secondo la prospettiva tributaria, soltanto per gli elementi idonei a rivelare l’esistenza del presupposto d’imposta.

In senso conforme, anche i giudici comunitari hanno sottolineato che «la valutazione della realtà economica e commerciale» costituisce un criterio fondamentale per l’applicazione del sistema comune dell’Iva, destinato a prevalere anche sul testo dei contratti (Corte giustizia Ue, C-653/11, punto 40; C-53/09 e C-55/09, punti 39 e 40).
In particolare, gli eurogiudici hanno evidenziato la necessità di un nesso di sinallagmaticità nel rapporto sussistente tra soggetto erogante e beneficiario della prestazione, precisando che quest’ultima è effettuata “a titolo oneroso” (articolo 2, paragrafo 1, lettera c), VI direttiva Iva) soltanto quando tra l’autore della prestazione e il suo destinatario intercorre un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, per cui il compenso ricevuto dal primo costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al secondo (C-653/11, punto 40 e C-151/13, punto 29).

Anche nel diritto interno (articolo 3, Dpr 633/1972), per l’imponibilità Iva delle operazioni, è stato ribadito il principio di necessaria sinallagmaticità delle prestazioni (Sezioni unite, 5078/2016), con la precisazione che il conseguimento del compenso non coincide con l’evento generatore del tributo (Sezioni unite, 8059/2016), identificato con la materiale esecuzione della prestazione.
I giudici di legittimità, quindi, hanno posto attenzione alla fase esecutiva del rapporto giuridico, non ritenendo che il pagamento del corrispettivo fosse essenziale al riscontro del carattere oneroso dell’operazione quale presupposto d’imposta. E proprio in tale fase hanno sottolineato la necessità non soltanto di provare che dal rapporto abbiano avuto origine le attribuzioni reciproche, ma anche che il compenso sia stato convenuto come “…corrispettivo di un servizio individualizzabile…”, collegato al rapporto stesso (Corte giustizia Ue, C-37/16, punto 27).

Nella fattispecie esaminata, la Corte ha dato atto che la contribuente non aveva provato l’esistenza di un accordo o di un qualsiasi documento per collegare i premi alle attività del centro media, né aveva documentato eventuali servizi specifici resi dal centro, né infine aveva indicato i criteri in base ai quali erano stati determinati i premi. Ed è noto che, nella prassi commerciale del settore pubblicitario, tali premi vengono corrisposti al fine di ricompensare il maggior impegno svolto dai centri media, sia per l’attività da gestire sia per gli investimenti che devono essere effettuati per incrementare gli obiettivi di vendita di spazi pubblicitari e il numero di inserzionisti.

Diversamente, in assenza di prova che gli importi rappresentano una variazione del corrispettivo dovuto in conformità agli accordi contrattuali, i premi costituiscono “attribuzioni patrimoniali a titolo gratuito,” volte a fidelizzare e a migliorare i rapporti commerciali, e devono essere escluse da Iva ex articolo 2, comma 3, Dpr 633/1972 (cfr Cassazione, 17021/2014, 24510/2015 e 14406/2017).

Infine, la Corte ha ritenuto irrilevante il richiamo, del giudice di secondo grado, al principio di neutralità dell’imposizione, in virtù del quale la detrazione Iva, se pure indebita, non produce alcun danno per l’Erario. Ciò in quanto, se non ne esistono i presupposti, non è possibile esercitare il diritto di detrazione, per impossibilità giuridica del suo oggetto, giacché la detrazione concerne l’imposta assolta perché dovuta secondo disposizioni di legge e non sulla base di considerazioni soggettive (cfr Cassazione, 18764/2014).
Il sistema delle detrazioni, infatti, è inteso a esonerare interamente l’imprenditore dall’Iva dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’Iva (Corte giustizia Ue, C-267/15, C-643/11 e C-642/11; Cassazione, 9942/2015).

Romina Morrone
pubblicato Giovedì 20 Luglio 2017


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