Nessuna cautela per il sequestro della contabilità parallela in nero
Pubblicato il 01/08/17 08:49 [Doc.3546]
di Redazione IL CASO.it


I libri e i registri “regolari”, infatti, non possono essere prelevati dai verificatori per ottemperare all’esigenza di non ostacolare l’esercizio dell’ordinaria attività d’impresa

Il disposto dell’articolo 52, comma 7, Dpr 633/1972, che pone determinati limiti al sequestro della documentazione contabile, riguarda unicamente la documentazione contabile ufficiale e non anche quella extracontabile (o “in nero”).
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 17484 del 14 luglio 2017, con cui ha rigettato il ricorso proposto da un contribuente.

L’iter processuale
La vicenda riguarda alcuni avvisi di accertamento per Irpef, Iva e Irap notificati al titolare di una ditta individuale: gli atti impositivi scaturivano da una verifica della Guardia di finanza nel corso della quale erano stati rinvenuti, in uno dei computer, alcuni file contenenti una contabilità parallela, che consentiva di ricostruire ricavi di gran lunga superiori a quelli dichiarati.
Tale ricostruzione veniva confermata sia in primo sia in secondo grado.

Con il successivo ricorso in Cassazione il contribuente denunciava, tra l’altro, omessa motivazione in ordine alla violazione dell’articolo 52, commi 7 e 9, Dpr 633/1972, nella parte in cui la Ctr ha ritenuto asportabile la documentazione “in nero” senza il consenso ufficiale della parte e senza la stampa dei file estratti e la pedissequa sottoscrizione dell’interessato.
Sul punto si ricorda che, secondo il comma 7 dell’articolo 52, “i documenti e le scritture possono essere sequestrati soltanto se non è possibile riprodurne o farne constare il contenuto nel verbale, nonché in caso di mancata sottoscrizione o di contestazione del contenuto del verbale. I libri e i registri non possono essere sequestrati; gli organi procedenti possono eseguirne o farne eseguire copie o estratti, possono apporre nelle parti che interessano la propria firma o sigla insieme con la data e il bollo d'ufficio e possono adottare le cautele atte ad impedire l'alterazione o la sottrazione dei libri e dei registri”.

La pronuncia
La Cassazione ha giudicato infondato il motivo di ricorso, ritenendo che la Ctr si era soffermata sulla questione con una motivazione apparsa congrua e giuridicamente corretta in quanto confermativa dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “il disposto dell'art. 52 comma 7 d.P.R. 26 ottobre 1972 n.633, che pone determinati limiti al sequestro della documentazione contabile, ha riguardo unicamente alla documentazione contabile ufficiale e non riguarda la anche alla documentazione extracontabile, o "in nero", in quanto soltanto con riguardo alla prima vi è l'esigenza, alla cui tutela la disposizione in oggetto è diretta, di non ostacolare l'esercizio della ordinaria attività d'impresa”.

Ulteriori osservazioni
Sul punto, si registra un precedente conforme (Cassazione 24923/2011): in quel caso, la Corte suprema si è trovata a decidere su un motivo di ricorso relativo alla violazione dell’articolo 52, comma 7, del Dpr 633/1972, per essere stata considerata valida l’ispezione della documentazione (compresa la lettura dei floppy disk reperiti), senza contraddittorio con il contribuente, in quanto eseguita presso il comando della Guardia di finanza procedente e non nei locali aziendali.
A fronte di tale eccezione, la Cassazione osservava che le disposizioni denunciate si riferiscono alla contabilità formale e non anche alla documentazione extracontabile, ponendosi solo in relazione alla prima l’esigenza, tutelata dalla legge, di non ostacolare l’ordinaria attività dell’impresa.
Tale precisazione contribuisce a rendere più agevole il reperimento e l’utilizzo della contabilità in nero.

In ordine alla valenza della stessa, si sottolinea che il ritrovamento da parte della Guardia di finanza di una “contabilità parallela” a quella ufficialmente tenuta dalla società sottoposta a verifica fiscale legittima, di per sé, e a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso al cosiddetto accertamento induttivo di cui all’articolo 39, secondo comma, del Dpr 600/1973 (cfr Cassazione nn. 7045/1999, 19598/2003 e 23585/2009).
La giurisprudenza di legittimità è, infatti, costante nel ritenere che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la "contabilità in nero", costituita da appunti personali ed informazioni dell'imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari» i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. Ne consegue che detta "contabilità in nero", per il suo valore probatorio, legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli”.

In altri termini, il contribuente risponde del ritrovamento di appunti, agende e altri documenti extracontabili che determinano un’inversione dell’onere probatorio senza che l’ufficio debba produrre ulteriori elementi.
Francesco Brandi
pubblicato Lunedì 31 Luglio 2017


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