Stessi disponente e beneficiario: il trust è solamente uno schermo
Pubblicato il 01/08/17 09:04 [Doc.3547]
di Redazione IL CASO.it


Essendo rimasto nelle stesse mani il potere di gestione e amministrazione del patrimonio, l’adozione dell’istituto giuridico anglosassone si presenta come interposizione fittizia

Il riconoscimento del trust come soggetto fiscale presuppone lo spossessamento definitivo dei beni conferiti con l’uscita irreversibile dalla sfera patrimoniale del disponente e la sua permanente diminuzione patrimoniale. Nel caso in esame il disponente ha mantenuto il potere di gestione e di amministrazione, per cui il trust appare essere “un soggetto interposto nel possesso di beni e redditi e, in quanto tale, mancante dei requisiti fondamentali per il riconoscimento ai fini fiscali”.
Con questa massima, la Commissione tributaria di primo grado di Trento (sentenza n. 88 del 26 maggio 2017) ha rigettato il ricorso del contribuente (signor T) e accolto la tesi prospettata dall’Amministrazione finanziaria, secondo cui il trust era stato costituito unicamente per schermare la distribuzione di un dividendo molto rilevante.

I fatti
Nel dettaglio, l’Agenzia delle Entrate eseguiva una verifica a carico del “Trust per la Famiglia T…” in conseguenza della quale constatava che il trust era un mero soggetto interposto al fine di minimizzare l’effetto della tassazione di un dividendo distribuito da una società, pari a 1.890.000 euro e tassato, per legge, solo sul 5% del suo imponibile. Il trust esponeva, infatti, il dividendo e indicava in dichiarazione come base imponibile il 5% (ovvero 94.500 euro), provvedendo a pagarvi le relative imposte per 25.988 euro, così come per legge.
L’istruttoria compiuta sul “Trust per la Famiglia T…”, faceva chiaramente emergere la natura simulata e l’assenza di reale consistenza poiché disponente, trustee e beneficiario coincidevano sostanzialmente nella persona dello stesso signor T. Pertanto, contestata l’interposizione fittizia del trust, in forza dell’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973, si imputavano i redditi nei confronti dell’effettivo percettore (il signor T), prendendo come base imponibile il 49,72% (come prevede l’articolo 59 del Tuir) in luogo del 5% (articolo 89 dello stesso Testo unico).

Nel ricorso introduttivo, T contestava l’impostazione del provvedimento impugnato, assumendo l’erroneità della qualificazione data dall’Agenzia delle Entrate; sottolineava come il “Trust per la Famiglia T” fosse un soggetto esistente ed effettivamente operante e che tra i beneficiari fosse previsto anche l’Erario, per i crediti definitivamente accertati. Affermava, altresì, che per perseguire le finalità dichiarate di tutela del proprio nucleo familiare lo strumento del trust era l’unico che l’ordinamento consentisse. Contestava, infine, che vi fosse stata una effettiva distribuzione di utili posto che il credito a base del dividendo era inesigibile per cui – nei fatti – nessun importo era stato materialmente percepito dai beneficiari.

La questione posta alla Corte territoriale trentina, dunque, era di accertare se la costituzione del “Trust per la Famiglia T” avesse determinato l’effettivo spossessamento dei beni conferiti e la conseguente segregazione patrimoniale; se ciò poteva essere provato, le intenzioni dichiarate nell’atto istitutivo del trust potevano dirsi effettivamente perseguite. Diversamente, se la disponibilità dei beni conferiti fosse rimasta inalterata – a prescindere dalla presenza del trust – vi erano tutti gli elementi presuntivi per assumere l’interposizione del trust al solo fine di scontare le imposte sui dividendi.

Con la sentenza in esame, il Collegio osserva che il Trust agreement (ovvero l’atto istitutivo del trust) prevedeva l’irrevocabilità della disposizione da parte dei disponenti, lasciando intendere che si trattasse di un contratto in cui il disponente non può conseguire alcuna utilità economica; tuttavia, rilevano i giudici, è il medesimo accordo a prevedere che disponente, trustee e beneficiario siano riconducibili alle stesse persone. In sostanza, si tratta di un trust regolato da una legislazione estera (legge di Jersey, Isole del Canale) in cui la dichiarata irrevocabilità della disposizione è soggetta a una evidente attenuazione, rimessa all’apprezzamento del trustee (il signor T) che – coincidendo con disponente e beneficiario – di fatto annullava l’effetto della segregazione patrimoniale che caratterizza questo istituto giuridico.
Peraltro, nell’esaminare il contratto istitutivo del trust, il collegio rileva come fosse prevista anche la figura di un garante (protector) il quale assolve giustappunto alla funzione di vigilare sulle attività del trustee e verificare che il suo operato sia conforme al mandato del disponente. La suddetta figura è eventuale, ma nella fattispecie è intuitivo che la stessa assume rilevanza fondamentale visto il ruolo ricoperto da T di disponente e di trustee, oltre che (nei fatti) di beneficiario.

Osservazioni
La sentenza di primo grado coglie a pieno l’essenza della problematica che richiede necessariamente la conoscenza di questa categoria di atti dispositivi del patrimonio. Occorre, allora una breve premessa sull’istituto del trust. Infatti, si osserva che è istituto tipico della common law e che – per versatilità e flessibilità – si presta alle finalità più ampie.
Generalmente, il trust si sostanzia in un rapporto giuridico fondato sulla fiducia tra disponente (settlor o grantor) e amministratore (trustee). Il disponente, di norma, trasferisce, per atto inter vivos o mortis causa , taluni beni o diritti a favore del trustee il quale li amministra, con i diritti e i poteri di un vero e proprio proprietario, nell’interesse del beneficiario o per uno scopo prestabilito.
È opportuno, altresì, considerare che non esiste una specifica tipologia di trust e che, ai fini dell’analisi dei profili civilistici e fiscali, dopo aver individuato i tratti comuni ed essenziali della relativa disciplina occorre cogliere volta per volta, nei casi concreti, le peculiarità dei singoli trust. Ciò è appunto quel che viene in rilievo nel caso esaminato dai giudici di primo grado.

Infatti, è ben vero che il Trust agreement prevede l’irrevocabilità della disposizione da parte dei disponenti e ciò lascia intendere che si tratti di un contratto in cui il disponente non possa conseguire alcuna utilità economica, tuttavia le clausole dell’accordo portano in luce come disponente, trustee e beneficiario siano identificabili nelle medesime persone.

In buona sostanza, ci si trova di fronte a un trust autodichiarato e trasparente, regolato da una legislazione estera, in cui l’irrevocabilità della disposizione patrimoniale è solo apparente vista la sovrapposizione di ruoli.
Peraltro, la fattispecie in giudizio – per la quale non si rinvengono altri precedenti giurisprudenziali – ricalca pedissequamente il caso di scuola in cui non può validamente affermarsi la soggettività di un trust; in dottrina, infatti, è stato affermato che “sotto il profilo fiscale, i trust istituiti e gestiti al fine di realizzare una mera interposizione nel possesso dei beni e dei relativi redditi, non sono considerati validamente operanti; è il caso, ad esempio, dei trust nei quali l’attività del trustee, sotto il profilo sostanziale, risulti soggetta alle istruzioni vincolanti riconducibili al disponente o ai beneficiari, che di fatto così mantengono l’effettiva disponibilità del patrimonio conferito nel trust. Elemento essenziale del trust, pertanto, è (i) la perdita del potere di gestire i beni in trust da parte del disponente e (ii) la contestuale assunzione del corrispondente potere/dovere del trustee di amministrare e disporre dei beni a lui effettivamente affidati. In tale ambito non è esclusa la possibilità che il disponente riservi a se stesso alcune facoltà, esse però non devono essere tali da precludere al trustee il potere di gestire i beni che costituiscono il patrimonio conferito in trust.”.

In conformità a quanto sostenuto, è stato altresì compiutamente osservato che “in altre parole la premessa necessaria della segregazione fra i beni del trustee e quelli in trust definitiva del trust stesso è la separazione definitiva del fondo in trust dal patrimonio del disponente, (nel quale la parola "definitiva" è usata dapprima come sinonimo di definitoria, poi come sinonimo di irreversibile)”.

Infine, il giudice di primo grado si occupa di un aspetto di ordine più strettamente sostanziale.
Nel ricorso introduttivo, infatti, il contribuente asseriva che non vi era stata una effettiva distribuzione di utili, posto che il credito a base del dividendo era inesigibile e mai riscosso, per cui nessun importo era stato materialmente percepito dai beneficiari.
Nell’esaminare gli atti di causa il giudice ha invece accertato che la questione era già stata posta in sede di verifica, senza, tuttavia, che emergesse un qualche elemento di prova a sostegno di quanto asserito. Inoltre la Ctp osserva che i reciproci rapporti di credito e debito tra società e trust, di cui non vi era traccia nelle note integrative a bilancio, non avrebbero comunque rilevato ai fini della tassazione dei dividendi distribuiti.

In ogni caso, i giudici danno rilevanza al comportamento concludente del soggetto, puntualizzando come il “Trust per la famiglia T” abbia pagato le tasse sugli utili che aveva dichiarato e, nonostante la formale contestazione risalente al 2013, ha scelto di non correggere la propria dichiarazione.
L’insieme degli elementi esaminati ha, quindi, irreversibilmente condotto a ritenere che il trust fosse un semplice schermo per tassare il dividendo in misura sensibilmente inferiore.
Amleto Carobello
pubblicato Venerdì 28 Luglio 2017


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