Fattura emessa e non conservata: è occultamento della contabilità
Pubblicato il 04/08/17 08:43 [Doc.3563]
di Redazione IL CASO.it


In tema di reati tributari, l’impossibilità di ricostruire il reddito a causa dell’“introvabilità” della documentazione sussiste pure quando risulta necessario reperirla presso terzi

Anche la sola condotta di non stampare la documentazione costituisce occultamento della stessa. Tale delitto, che tutela il bene giuridico della trasparenza fiscale, sussiste in tutti i casi in cui la distruzione o l’occultamento dei documenti contabili dell’impresa non consenta o renda difficoltosa la ricostruzione delle operazioni.
A fornire questa interpretazione è stata la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 35173 del 18 luglio 2017.

La vicenda processuale
Il giudizio è scaturito dall’imputazione, a carico di un commercialista, del reato di occultamento delle scritture contabili obbligatorie previsto dall’articolo 10 del Dlgs 74/2000.
In primo grado, il professionista veniva condannato alla pena di sei mesi di reclusione e la Corte d’appello confermava la decisione del Tribunale.
L’imputato ricorreva così in Cassazione, lamentando vizio di motivazione della pronuncia impugnata, ritenuta illogica e contradditoria, nonché violazione di legge poiché, a suo avviso, i giudici territoriali avevano erroneamente paragonato l’omessa esibizione dei documenti mai detenuti all’eliminazione fisica degli stessi. Eccepiva, inoltre, il mancato rispetto delle garanzie procedurali, ritenendo viziata la raccolta degli elementi di prova, da considerarsi, quindi, inutilizzabili. Mancava, infine, secondo il ricorrente, la prova del dolo specifico, con la conseguenza che la condotta non poteva configurare la fattispecie delittuosa addebitatagli. Chiedeva, pertanto, l’annullamento della sentenza.

La pronuncia della Corte
La Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
L’articolo 10 del Dlgs 74/2000 prevede, salvo che il fatto costituisca reato più grave, che è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.
I giudici di legittimità hanno reputato la sentenza della Corte d’appello adeguatamente motivata, priva di contraddizioni e di illogicità; i giudici di merito hanno correttamente rilevato, tra le altre cose, come a dimostrazione dell’occultamento della documentazione ci fosse la stessa confessione del ricorrente, resa nel corso di due interrogatori, nel corso dei quali aveva ammesso di non aver annotato per mero errore le fatture e di non aver conservato copia delle stesse.

La Corte suprema ha ribadito il principio secondo cui, in tema di reati tributari, l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili non deve essere intesa in senso assoluto e sussiste anche quando è necessario procedere all’acquisizione presso terzi della documentazione mancante (Cassazione 36624/2012).

Il delitto di cui al Dlgs 74/2000, articolo 10, tutelando il bene giuridico della trasparenza fiscale, è integrato in tutti i casi in cui la distruzione o l’occultamento della documentazione contabile dell’impresa non consenta o renda difficoltosa la ricostruzione delle operazioni, rimanendo escluso solo quando il risultato economico delle stesse possa essere accertato in base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore e senza necessità di reperire aliunde elementi di prova (Cassazione 20748/2016).

Nella fattispecie in esame, la documentazione è stata rinvenuta presso terzi e non presso l’imputato, con la conseguente configurazione del reato.
Come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello, l’occultamento della documentazione costituisce reato permanente (Cassazione 38376/2015) che, in questo caso, si configura nei confronti del ricorrente in quanto soggetto che aveva istituito una contabilità obbligatoria e non aveva nella disponibilità la documentazione. Questa però era stata certamente formata, poiché le fatture erano state rinvenute presso terzi (e il ricorrente doveva a sua volta conservare e annotare nella sua contabilità la documentazione).
I giudici di legittimità hanno precisato, peraltro, che anche la sola condotta di non stampare la documentazione costituisce occultamento della stessa agli accertatori.

Alla dichiarazione di inammissibilità è conseguita la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di 2mila euro in favore della Cassa delle ammende.
Andrea Santoro
pubblicato Giovedì 3 Agosto 2017


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