Non basta invocare la crisi per acquisire l’impunibilità
Pubblicato il 08/09/17 04:45 [Doc.3629]
di Redazione IL CASO.it


Sussiste il reato di omesso versamento delle ritenute se l’imprenditore scelse di mantenere i medesimi livelli occupazionali e retributivi e la stessa organizzazione dell’attività

Come noto, l’articolo 10-bis del Dlgs n. 74/2000 punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore alle soglie di volta in volta individuate dal legislatore (attualmente 150mila euro per ciascun periodo d'imposta).
La pronuncia della Corte di cassazione 29544/2017 consolida il suo già rigido orientamento sulla permanenza dell’elemento soggettivo dei reati fiscali perpetrati dall’imprenditore che si trovi in crisi di liquidità a causa della crisi economica e, pertanto, non possa adempiere alle obbligazioni tributarie col versamento di somme percepite a titolo di Iva dai suoi clienti ovvero, come nel caso di specie, quelle dovute a titolo di retribuzione, ma oggetto dell’obbligo di ritenute a favore dell’Erario.

Infatti, le sezioni unite, con la sentenza 12 settembre 2013, n. 37425, aveva statuito che, ai fini della configurazione del reato di omesso versamento delle ritenute effettuate previsto dall’articolo 10-bis del Dlgs n. 74/2000, risulta irrilevante le difficoltà del sostituto d’imposta e sufficiente il dolo generico.
La giurisprudenza del Supremo collegio aveva confermato tale principio con le sentenze, citate da questa in commento, 24 giugno 2014, n. 8352, 8 aprile 2014, n. 20266, 19 febbraio 2015, n. 7429. Nelle citate pronunce, al fine di escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo individuato dalle sezioni unite nel dolo generico, si era opposto l’esimente della forza maggiore prevista dall’articolo 54 del codice penale, per la cui configurabilità nei riguardi del reato di cui all’articolo 10-bis, l’omesso versamento delle ritenute alla fonte in base a dichiarazione annuale entro il termine per l’acconto del periodo d’imposta successivo doveva dipendere da fatti non imputabili all’imprenditore. Infatti, era stato ritenuto che il contribuente non aveva potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà “e che sfuggono al suo dominio finalistico”, tra le quali non erano state annoverate le eventuali difficoltà economiche, quali il mancato pagamento dei clienti, ma solo le crisi economiche improvvise, sempreché fossero state poste in essere tutte le misure idonee a prevenirle.

L’elemento decisivo per escludere la punibilità penale è stato rinvenuto dalla giurisprudenza della Corte regolatrice del diritto nell’utilizzo del patrimonio personale dell’imprenditore, atteso che soltanto l’incapienza di quest’ultimo avrebbe potuto integrare gli estremi della causa esimente della forza maggiore, come affermato, in tema di omesso versamento dell’Iva, dalla sentenza del supremo Collegio 9 settembre 2014, n. 37301. Nel caso di specie, il reato di omesso versamento delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti nell’anno 2008 è stato rinvenuto seppure la crisi aziendale era avvenuta dal 2007, a nulla rilevando che l’inadempimento tributario era volto a “mantenere i medesimi livelli occupazionali e retributivi e la stessa organizzazione dell'attività d'impresa, sia pure allo scopo di non perdere l'avviamento e il know how altamente specializzato di detta impresa”.
La sentenza di legittimità in rassegna ha ritenuto sussistente il dolo, in quanto l’imprenditore non aveva perseguito “alcuna altra via per fronteggiare tale crisi e ripartirne in modo omogeneo ed equilibrato il peso (ricorrendo ad accordi per la riduzione temporanea e parziale dei livelli occupazionali e retributivi)”, ma una tale scelta dell’imprenditore avrebbe potuto determinare la cessazione dell’attività stessa.
In buona sostanza, la tesi della sentenza della Corte di cassazione in commento ha reputato prevalente l’interesse erariale alla pronta riscossione del dovuto rispetto alla continuità dell’attività aziendale.


a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
pubblicato Mercoledì 6 Settembre 2017


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