Amministratore di diritto: la condotta omissiva è punibile
Pubblicato il 08/09/17 04:45 [Doc.3631]
di Redazione IL CASO.it


Il prestanome, che accettando la carica sociale ha anche accettato i rischi a essa connessi, risponde comunque a titolo di dolo eventuale del delitto fiscale perpetrato dai gestori reali

La pronuncia 18924/2017 della Corte di legittimità non soltanto conferma il proprio orientamento sull’imputabilità per i reati fiscali degli amministratori di fatto delle società, ma individua la responsabilità penale degli amministratori di diritto che, risultando dei prestanome dei primi, sono corresponsabili, non soltanto in base a tale elemento formale, ma anche per il loro comportamento omissivo riguardo alle attività illecite perpetrate da coloro “che operano nell’ombra”.
Nel senso della responsabilità degli amministratori di fatto, si veda la giurisprudenza del supremo Collegio espressa nella sentenza, citata da questa in rassegna, 14 maggio 2015, n. 38780 (cui si aggiungano le decisioni 16 aprile 2015, n. 24650, e 5 luglio 2012, n. 33385, in quanto soggetti equiparati a quello di diritto. Nello stesso senso, la pronuncia 10 giugno 2011, n. 23425, in applicazione del cosiddetto criterio funzionalistico, in forza del quale il dato fattuale della gestione sociale deve prevalere sulla qualifica formalmente rivestita, allorquando alla qualifica non corrisponda l’effettivo svolgimento delle funzioni a essa correlate.

La motivazione all’equiparazione dell’amministratore di fatto a quello di diritto è stata indicata nel recepimento della disciplina legislativa della riforma del diritto societario che, ai fini della responsabilità per i reati societari, ha equiparato chi esercita in materia continuativa e di fatto i poteri previsti dalla legge al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione.
La cennata normativa penale societaria si rinviene nell’articolo 2639 del codice di diritto civile, come modificata dal Dlgs n. 6/2003, che è stata interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che tale norma, ancorché riferita esplicitamente ai reati societari previsti dal codice civile, contiene la codificazione di un principio generale, applicabile ad altri settori penali dell’ordinamento e, riconosciuta la sua natura interpretativa, è stata reputata applicabile anche ai fatti pregressi.
A tal fine è stato ritenuto dalla sentenza della Cassazione penale 2 marzo 2011, n. 15065, che per “vagliare la qualità di amministratore di fatto occorre necessariamente valutare non già la <totale sovrapposizione> di funzioni esercitate dal soggetto non qualificato rispetto a quelle proprie dell'amministratore, ma è sufficiente una apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale”.

Tale giurisprudenza di legittimità ha permesso alla sentenza della Corte regolatrice del diritto in nota di rinvenire la responsabilità penale del prestanome non soltanto perché, accettando la carica, ha anche accettato i rischi a essa connessi, egli “risponde comunque a titolo di dolo eventuale esponendosi alle conseguenze dell'operato dei gestori reali e dunque alla possibilità che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attività non legali”.
Infatti, viene rinvenuto anche un comportamento omissivo dell’obbligo dei rappresentanti legali dell’ente di conservare il patrimonio sociale e di impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi, come previsto dall’articolo 2392 cc e come già statuito dalla Cassazione nelle sentenze, citate da questa in nota, 26 gennaio 2006 n. 7208, 26 novembre 1999, Dragomir, 4 luglio 2006, n. 22919.

Da ciò, la conseguenza che sussiste la responsabilità penale dell’amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di utilizzo di false fatturazioni, afferenti cioè a prestazioni inesistenti, con l’amministratore di fatto non già ed esclusivamente in virtù della posizione formale rivestita all’interno della società, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex articolo 40, comma 2, codice penale, “l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull’operato dell’amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita”.

Per completezza di analisi, la sentenza in commento rammenta che, con la precedente decisione di legittimità 27 novembre 2013, n. 47110, si è affermato che, in tema di reati tributari, il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal Dlgs n. 74/2000, solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società.

a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
pubblicato Martedì 5 Settembre 2017


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