Corte Ue: sì al rimborso dell’Iva per l’importazione dei beni
Pubblicato il 23/09/17 03:49 [Doc.3712]
di Redazione IL CASO.it


Gli eurogiudici chiamati a decidere nell’ambito di una controversia che vede protagonisti da un lato una società con sede in Germania e dall’altro l’Amministrazione tributaria rumena

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli da 2 a 6 dell’ottava direttiva 79/1072/CEE e dell’articolo 17, paragrafo 2 e paragrafo 3, lettera a), della sesta direttiva 77/388/CEE, ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone una società con sede in Germania all’amministrazione tributaria rumena in merito al rimborso dell’Iva versata dalla stessa. La società ha stipulato, in qualità di venditore, un contratto con un’acquirente avente ad oggetto la realizzazione e la fornitura di un sistema di saldatura di tubi ed ha domandato alla competente amministrazione tributaria il rimborso dell’Iva pagata allo Stato rumeno in occasione dell’importazione dei beni controversi. In seguito ad una richiesta formulata dall’amministrazione tributaria volta a fornire informazioni complementari, la società ha fatto valere che, in mancanza di esecuzione del contratto, essa intendeva esportare tali beni. Essa non ha, però, fornito informazioni concrete concernenti la destinazione o la data della suddetta esportazione.

Il ricorso al giudice nazionale
La controversia che ne è scaturita è approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte UE alcune questioni cin cui il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’ottava direttiva, in combinato disposto con l’articolo 170 della direttiva Iva, debba essere interpretata nel senso che osta a che uno Stato membro neghi a un soggetto passivo non residente nel suo territorio il diritto di rimborso dell’Iva pagata a titolo dell’importazione di alcuni beni in una situazione, in cui, al momento dell’importazione, era sospesa l’esecuzione del contratto nel contesto del quale il soggetto passivo ha acquistato e importato detti beni, l’operazione per la quale questi ultimi dovevano essere utilizzati non è infine stata realizzata e il soggetto passivo non ha fornito la prova della loro successiva circolazione.
In base all’articolo 2 dell’ottava direttiva risulta che ogni Stato membro rimborsa ad ogni soggetto passivo residente non nel suo territorio, bensì in un altro Stato membro, alle condizioni fissate da detta direttiva, l’Iva applicata, segnatamente, all’importazione di beni in detto primo Stato membro, nella misura in cui tali beni sono impiegati ai fini delle operazioni di cui all’articolo 170 della direttiva Iva.

La posizione dalla Corte
La Corte Ue osserva che il diritto, per un soggetto passivo, stabilito in uno Stato membro, di ottenere il rimborso dell’Iva assolta in un altro Stato membro, come disciplinato dall’ottava direttiva, trova riscontro nel diritto, istituito a suo favore dalla direttiva Iva, di detrarre l’Iva versata a monte nel proprio Stato membro.
In base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte UE, tale diritto alla detrazione costituisce parte integrante del meccanismo dell’Iva e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni. Esso va esercitato immediatamente per la totalità delle imposte che hanno gravato le operazioni effettuate a monte.
Difatti, il sistema delle detrazioni e, quindi, dei rimborsi, intende esonerare interamente l’imprenditore dall’onere dell’Iva dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’Iva garantisce, di conseguenza, la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano di per sé soggette all’Iva.

Le condizioni per il diritto al rimborso
Per quanto concerne più in particolare le condizioni del diritto al rimborso, dall’articolo 170 della direttiva Iva, in combinato disposto con l’articolo 169 della medesima, risulta che ogni soggetto passivo che, ai sensi dell’articolo 1 dell’ottava direttiva, non è stabilito nello Stato membro in cui effettua importazioni di beni gravati da Iva ha il diritto al rimborso di tale imposta nella misura in cui detti beni sono utilizzati per le sue operazioni relative alle attività di cui all’articolo 9, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva Iva, effettuate fuori dello Stato membro in cui tale imposta è dovuta o assolta e che darebbero diritto a detrazione se fossero effettuate in detto Stato membro, o per determinate operazioni esenti. Tale diritto a detrazione sorge nel momento in cui l’imposta diventa esigibile, ossia all’atto dell’importazione dei beni.

Le due condizioni cumulative previste
Per quanto riguarda, la questione se la società possa essere considerata come un soggetto passivo, ai sensi dell’articolo 1 dell’ottava direttiva, tale disposizione prevede, in sostanza, due condizioni cumulative. Da un lato, il soggetto passivo in questione non deve disporre, durante il periodo contemplato all’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, di alcun centro di attività nello Stato membro in cui chiede detto rimborso. Dall’altro, non deve aver effettuato, durante il medesimo periodo, cessioni di beni o prestazioni di servizi che si considerino aver avuto luogo in tale Stato membro, ad eccezione di talune prestazioni di servizi specificate.
Nella fattispecie in esame, la società soddisfa tali condizioni, risultando pacifico che, al momento dell’importazione, tale società fosse assoggettata all’Iva in Germania, in quanto società che esercitava in detto Stato membro attività economiche consistenti nella commercializzazione e nel montaggio di impianti per la lavorazione dell’acciaio e che non era tenuta a registrarsi in Romania ai fini dell’Iva.

Soggetto passivo e attività economica
Per quanto concerne, inoltre, la questione se la società abbia agito come soggetto passivo al momento dell’importazione in Romania dei beni controversi, è opportuno rilevare che la nozione di ‘soggetto passivo’ viene definita con riferimento alla nozione di ‘attività economica’.
Un soggetto privato che importi beni per le esigenze di un’attività economica ai sensi di detta disposizione agisce come soggetto passivo, anche se tali beni non vengono immediatamente impiegati per detta attività economica. Infatti, dalla giurisprudenza costante della Corte emerge che chiunque effettui spese d’investimento con l’intenzione, confermata da elementi oggettivi, di esercitare un’attività economica, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva Iva, deve essere considerato un soggetto passivo. Determinare se un soggetto passivo agisca in quanto tale è una questione di fatto che dev’essere valutata tenendo conto di tutti gli elementi della fattispecie, tra i quali figurano la natura del bene considerato e il periodo di tempo intercorso tra l’acquisto dello stesso e il suo uso ai fini delle attività economiche di tale soggetto passivo.

Il riferimento al caso specifico
Nel caso di specie, la semplice circostanza che il contratto fosse sospeso nel momento in cui i beni controversi sono stati importati è irrilevante in quanto si deve supporre che la società avrebbe violato i propri obblighi contrattuali nei confronti del suo subappaltatore se avesse rifiutato la fornitura dei beni per il mero motivo della sospensione del contratto. Peraltro, l’esecuzione del contratto è stata definitivamente abbandonata solo successivamente all’importazione di tali beni per ragioni indipendenti dalla volontà della società, vale a dire a causa delle difficoltà di pagamento cui doveva far fronte l’acquirente. Pertanto, al momento dell’importazione dei beni, la società ha agito come soggetto passivo ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva Iva. L’esistenza del diritto al rimborso dell’Iva assolta non è rimessa in discussione dalla circostanza che l’operazione nell’ambito della quale dovevano essere utilizzati i beni controversi non sia infine stata realizzata e che la società non abbia potuto fornire la prova, richiesta dall’amministrazione tributaria, della successiva circolazione di detti beni. Infatti, da una giurisprudenza costante della Corte deriva che, in assenza di circostanze fraudolente o abusive, il diritto al rimborso, una volta sorto, rimane acquisito.

In particolare, qualora il soggetto passivo non abbia potuto utilizzare i beni che hanno dato luogo al rimborso nell’ambito dell’operazione presa in considerazione a causa di circostanze estranee alla sua volontà, il diritto al rimborso resta acquisito poiché, in un caso del genere, non sussiste alcun rischio di frodi o di abusi che possa giustificare il rifiuto del rimborso. Tali considerazioni si applicano a maggior ragione nei confronti di un soggetto passivo, come la società di cui si tratta, posto che, sulla base delle dichiarazioni di quest’ultima, essa non aveva previsto alcun altro utilizzo dei beni controversi.
Da ciò deriva che, nei limiti in cui le autorità tributarie nazionali non dispongono di elementi oggettivi che dimostrino che il diritto al rimborso è sorto in modo abusivo o fraudolento, circostanza che spetta in definitiva al giudice del rinvio esaminare, i fatti successivi all’importazione sono irrilevanti. In particolare, esigere che la società fornisca la prova del fatto che i beni controversi sono stati da ultimo esportati fuori dalla Romania equivale, in realtà, ad aggiungere una condizione sostanziale per l’esercizio del diritto al rimborso non prevista dal sistema dell’Iva.

Le conclusioni della Corte
Tutto ciò premesso, la Corte Ue perviene alla conclusione che l’ottava direttiva, in combinato disposto con l’articolo 170 della direttiva Iva, deve essere interpretata nel senso che osta a che uno Stato membro neghi a un soggetto passivo non residente nel suo territorio il diritto al rimborso dell’Iva versata a titolo dell’importazione di beni in una situazione, in cui, al momento dell’importazione, l’esecuzione del contratto nel contesto del quale il soggetto passivo ha acquistato e importato i suddetti beni era sospesa, l’operazione per la quale tali beni dovevano essere utilizzati non è infine stata realizzata e il soggetto passivo non ha fornito la prova della loro successiva circolazione.


Data della sentenza
21 settembre 2017
Numero della causa
C-441/2016
Nome delle parti
SMS group GmbH
contro
Direcţia Generală Regională a Finanțelor Publice București


Marcello Maiorino
pubblicato Giovedì 21 Settembre 2017


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