Anche l'amministratore di fatto può concorrere nel reato di infedele dichiarazione
Pubblicato il 13/10/17 08:44 [Doc.3798]
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L'amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale.
Il reato di omessa dichiarazione di cui all'art. 5 D. Lgs. n. 74/2000 è configurabile anche nei confronti dell'amministratore di fatto, in quanto egli va equiparato a quello di diritto.
Decisione: Sentenza n. 31906/2017 Cassazione Penale - Sezione III

Il caso.
Il padre della titolare di una ditta individuale veniva condannato per il reato di dichiarazione infedele ex art. 4 D. Lgs. n. 74/2000.
Proposto appello, la decisione veniva confermata, con conseguente proposizione del ricorso in cassazione.
L'unico motivo di ricorso era fondato sulla erronea applicazione della legge e mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione.
La Suprema Corte rigetta il ricorso, ritenuto inammissibile perchè il motivo di censura è mnaifestamente infondato.

La decisione.
Dopo aver riassunto i fatti accertati nei giudizi di merito, il Collegio ritiene che «la Corte territoriale aveva appunto attribuito all'odierno ricorrente, con motivazione logica e comunque neppure revocata in dubbio, il ruolo di amministratore di fatto della ditta individuale formalmente intestata alla figlia».
Poi ricorda che «è stato così ripetutamente ricordato che ad es. del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, l'amministratore di fatto risponde quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l'azione dovuta (cfr. Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015, Biffi, Rv. 264971). Del pari, il reato di omessa dichiarazione, di cui all'art. 5 d.lgs. 74 del 2000, è configurabile anche nei confronti dell'amministratore di fatto, in quanto egli va equiparato a quello di diritto (Sez. 4, n. 24650 del 16/04/2015, Longoni, Rv. 263728)».
Precisando che «più in generale, in tema di reati tributari, ai fini della attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore "di fatto" non occorre l'esercizio di "tutti" i poteri tipici dell'organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale (Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, dep. 2015, Berni e altri, Rv. 264009)».
Quindi la Suprema Corte passa alla estensione fondamentale: «Per delineare la figura dell'amministratore di fatto è perciò necessario attingere ai criteri stabiliti dall'art. 2639 cod. civ.. L'amministratore di fatto è dunque colui il quale eserciti in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. "Significatività" e "continuità" non comportano necessariamente l'esercizio di "tutti" i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale (Sez. 5, n. 43300 del 17/10/2005, Carboni, Rv. 232456; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534)».
Nel ritenere il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, ricorda che «il pieno controllo della gestione sociale, e delle sue implicazioni tributarie, emerge addirittura (per quanto possa occorrere alla stregua delle assorbenti considerazioni già svolte) dalla parte della sentenza che ricorda come l'odierno ricorrente ebbe a riconoscere che le fatture non erano state registrate ma che corrispondevano ad operazioni realmente avvenute, mentre in ogni caso i relativi incassi erano confluiti sul conto personale dello stesso».

Osservazioni.
La pronuncia della Cassazione esprime concetti condivisibili in ambito societario, ma il caso di specie era relativo a una ditta individuale formalmente intestata alla figlia dell'imputato: il richiamo operato dalla Suprema Corte all'art. 2639 c.c. (rubricato "Estensione delle qualifiche soggettive") sembra fuori luogo, essendo l'art. 2639 inserito - sotto il profilo sistematico - nel Titolo IX (Disposizioni penali in materia di società e consorzi), Capo IV (Degli altri illeciti, delle circostanze attenuanti e delle misure di sicurezza patrimoniali).
Vale a dire che una tale estensione è consentita dalla legge solo per gli organi societari, caso che qui non ricorre: l'estensione potrebbe essere operata nel caso sia ravvisabile una società di fatto (in questo caso tra la figlia e il padre), ma è un automatismo non proprio scontato sotto il profilo penale e, anzi, l'accertamento dei fatti avrebbe dato conto che l'"amministratore di fatto" sarebbe stato proprio il ricorrente, chiamato quale correo proprio sulla base delle dichiarazioni della figlia.

Giurisprudenza rilevante.
Cass. 43300/2005
Cass. 35346/2013
Cass. 38780/2015
Cass. 24650/2015

Disposizioni rilevanti. DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2000, n. 74
Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto
Vigente al: 11-10-2017

Titolo II DELITTI
Capo I Delitti in materia di dichiarazione

Art. 4 - Dichiarazione infedele
1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni.
1-bis. Ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.
1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).


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