Società di comodo: non sâimpugna il no alla disapplicazione di norme
Pubblicato il 14/10/17 00:11 [Doc.3805]
di Redazione IL CASO.it
Se ciò fosse possibile, verrebbe meno il principio di certezza del diritto. Inoltre, si tratta sostanzialmente di un parere, che non incide sulla sfera giuridica del contribuente
Una società impugnava una serie di dinieghi di disapplicazione della normativa relativa alle cosiddette società di comodo.
La Commissione tributaria provinciale di Firenze, nonostante il contrario avviso della direzione regionale Toscana e dellâufficio di Arezzo dellâAgenzia delle entrate, riteneva detti ricorsi ammissibili e fondati, rilevando lâillegittimità dei dinieghi notificati.
Lâappello dellâAmministrazione finanziaria
Interponeva appello lâAgenzia delle entrate, ribadendo lâeccezione preliminare secondo cui lâimpugnativa proposta dalla società contribuente non sarebbe stata ammissibile, poiché quelli impugnati sarebbero atti non contenuti nellâelencazione di cui allâarticolo 19, Dlgs 546/1992, da ritenersi tassativa.
Di contrario avviso, si mostrava la contribuente, secondo cui â alla luce di altra tesi â il ricorso sarebbe stato ammissibile, oltre che fondato nel merito.
La sentenza dei giudici toscani
La Ctr, con la sentenza n. 1920/07/2017, del 18 settembre 2017, prende posizione sulla questione pregiudiziale dellâimpugnabilità o meno degli atti emessi dallâAmministrazione finanziaria, ma non rientranti in alcuna delle categorie indicate nella norma processual-tributaria richiamata.
In merito, ricorda la Commissione, si sono formati due orientamenti contrapposti: il primo, in particolare, contesta lâesistenza di un criterio di tassatività dellâelencazione di cui allâarticolo 19, invocando una interpretazione costituzionalmente orientata della norma (alla luce degli articoli 24, 53 e 97 della Costituzione).
In questo senso, âcontro il diniego sarebbe ammessa una impugnazione definita facoltativa, stando alla quale: a) se il contribuente impugna (senza obbligatoriamente rispettare il termine previsto), il giudice deve valutare la legittimità del diniego; b) il contribuente può non impugnare lâatto, riservandosi di ricorrere avverso lâeventuale futuro avviso di accertamento, senza che ciò comporti decadenza alcunaâ.
Lâinterpretazione restrittiva
Il Collegio toscano propende, invece, per lâinterpretazione dellâarticolo 19, Dlgs 546/1992, come norma inderogabile e comprendente unâelencazione tassativa degli atti impugnabili.
Ciò â continua la Commissione â anche allâesito dellâosservazione per cui il diniego di disapplicazione, âsostanziandosi in un parere, non comporta alcuna conseguenza immediata e diretta sulla sfera giuridica del contribuenteâ.
Tra lâaltro, lâaccolta interpretazione, concludono i giudici regionali, pare in linea con la giurisprudenza della Cassazione (pronuncia 17010/2012), secondo cui âdeve essere esclusa â anche ai fini della scelta del regime delle impugnazioni â lâequiparazione tra agevolazione fiscale e disapplicazione di norma antielusiva, necessario presupposto logico giuridicoâ dellâorientamento estensivo.
Gli atti impugnabili in Commissione tributaria: osservazioni
Ai sensi dellâarticolo 19, Dlgs 546/1992, sono impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie i seguenti atti:
a) lâavviso di accertamento del tributo
b) lâavviso di liquidazione del tributo
c) il provvedimento che irroga le sanzioni
d) il ruolo e la cartella di pagamento
e) lâavviso di mora
e-bis) lâiscrizione di ipoteca sugli immobili di cui allâarticolo 77, Dpr 602/1973 e successive modificazioni
e-ter) il fermo di beni mobili registrati di cui allâarticolo 86, Dpr 602/1973 e successive modificazioni
f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nellâarticolo 2, comma 3
g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti
h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari
i) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda lâautonoma impugnabilità davanti alle Commissioni tributarie.
La norma in questione pare caratterizzare il processo tributario come processo di tipo impugnatorio, diversamente dallâevoluzione che sta caratterizzando, negli ultimi anni, il processo amministrativo, sempre più âgiudizio sul rapportoâ, anziché âgiudizio sullâattoâ.
Il processo tributario, invece, e la pronuncia in commento ne è la conferma, si attesta ancora come processo che deve avere necessario avvio dallâimpugnazione di un atto amministrativo-tributario, che appartenga alla tipologia di quelli previsti dalla legge, la quale non prevede espressamente la possibilità di impugnare il diniego di disapplicazione della normativa relativa alle società di comodo.
In realtà non mancano opinioni di segno contrario.
Secondo altra ipotesi dottrinaria, avallata da una parte della giurisprudenza, infatti, lâelenco degli atti impugnabili, di cui allâarticolo 19 citato, è suscettibile di interpretazione estensiva. In questo senso, sono stati ritenuti astrattamente impugnabili anche gli atti che, pur non essendo tipizzati nella norma richiamata, portano a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria, da cui origina, in capo al contribuente stesso, lâinteresse (ex articolo 100, cpc) a chiarire la propria posizione in merito.
Il diniego di disapplicazione della normativa sulle società di comodo
Ma non è il caso degli atti oggetto della sentenza in commento.
Difatti, come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità richiamata dalla Ctr, lâatto di diniego di disapplicazione non può essere ricondotto nellâambito della norma di chiusura sancita nella lettera i) del comma 1 dellâarticolo 19, Dlgs 546/1992 (in base alla quale è impugnabile âogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarieâ), visto che nessuna norma ne prevede lâimpugnabilità .
In caso contrario, verrebbe meno anche il principio di certezza del diritto, immanente nel nostro ordinamento.
Martino Verrengia
pubblicato Giovedì 12 Ottobre 2017
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