Due abitazioni in Stati diversi: la residenza segue la convivenza
Pubblicato il 01/12/17 00:00 [Doc.3974]
di Redazione IL CASO.it


Condannato a pagare le tasse in Italia un cittadino moscovita che divide la casa milanese con la sua compagna e che svolge nel nostro territorio la sua attività di consulenza

In tema di divieto di doppie imposizioni, per valutare in quale Paese il contribuente sia assoggettabile a imposte, occorre applicare il criterio per cui, quando un cittadino dispone di più abitazioni in Paesi differenti, va considerato residente dove le sue relazioni economiche e personali sono più strette.
Secondo il modello di convenzione Ocse, il proprietario di una casa a Mosca è ritenuto residente in Italia se qui ha la disponibilità, di fatto, di un’altra abitazione “permanente”.
In accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle entrate, la Corte suprema, con la pronuncia n. 26638 dello scorso 10 novembre, ha cassato la sentenza di secondo grado, condannando un cittadino della Federazione russa a pagare le imposte nel nostro Paese dove svolge la sua abituale attività di consulenza e convive con una cittadina milanese.

La vicenda processuale e i giudizi di merito
L’Agenzia delle entrate notificava un atto di contestazione nei confronti di un contribuente che aveva omesso di indicare in dichiarazione, ai sensi del Dl 167/1990, redditi di capitale derivanti da investimenti posseduti in Russia. All’inerzia del contribuente faceva seguito l’avviso di irrogazione delle sanzioni.
Il contribuente impugnava l’atto impositivo eccependo la carenza del presupposto impositivo: in quanto soggetto fiscalmente residente in Russia, riteneva di non poter essere considerato residente in Italia, avendo nella Federazione russa le sue relazioni personali ed economiche più strette.

La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso e annullava il provvedimento di irrogazione delle sanzioni, sulla base della circostanza che il ricorrente, cittadino con passaporto russo, disponesse a Mosca di un’abitazione permanente per la quale sosteneva le spese di manutenzione.
L’Amministrazione proponeva, quindi, appello avverso la pronuncia di primo grado, deducendo un’erronea valutazione delle risultanze probatorie e un’errata interpretazione delle norme contenute nella convenzione tra Italia e Federazione russa contro le doppie imposizioni.

L’appello veniva ritenuto non fondato. I giudici di secondo grado confermavano, infatti, la decisione della Ctp sul rilievo che l’articolo 4 della Convenzione prevede, quale criterio decisivo per risolvere il conflitto di residenza, quello per cui, quando una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, va considerata residente nello Stato contraente nel quale ha un’abitazione permanente.
Nella fattispecie in esame – ad avviso dei giudici di merito – il contribuente avrebbe dimostrato di essere proprietario, in territorio russo, di una casa di civile abitazione e di essere stato presente in quel Paese per 183 giorni nel corso dell’anno 2002, mentre non sarebbe stato provato che in Italia egli possedesse, ad alcun titolo, case di abitazione.

Nei confronti della sentenza della Ctr ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

Le eccezioni dell’Agenzia e la decisione della Cassazione
L’Agenzia ha ritenuto viziata la pronuncia di secondo grado per violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 cpc, comma 1, n. 3, in relazione all’articolo 4, comma 2, lettera a), della convenzione Italia-Russia contro le doppie imposizioni, avendo la Ctr erroneamente ritenuto che l’abitazione permanente debba essere individuata sulla base della proprietà, o altro titolo giuridico, in forza del quale il soggetto detiene o possiede l’abitazione stessa.
Difatti – ha precisato l’ufficio ricorrente – la disposizione contenuta nella Convenzione, nel fare riferimento alla natura permanente o meno dell’abitazione, contempla una situazione di fatto e non di diritto, dovendosi considerare “permanente” l’abitazione in cui un soggetto sia, di fatto, in grado di risiedere stabilmente, a prescindere dall’esistenza e dalla qualità del titolo giuridico da cui tale situazione è determinata.
E nel caso in commento, come emerso dai fatti di causa, il contribuente è risultato residente a Milano, nell’abitazione di proprietà di una cittadina italiana, con la quale aveva una stabile relazione affettiva – come da lui dichiarato nelle risposte ai questionari inviati – e alla quale versava regolarmente somme di denaro di importo anche rilevante ai fini del mantenimento.

Una corretta applicazione dell’articolo 4, lettera a), della Convenzione avrebbe dovuto condurre la Ctr a concludere che il contribuente disponeva di un’abitazione permanente sia in Russia che in Italia e che, quindi, doveva applicarsi non la prima parte all’articolo 4, comma 2, lettera a), della Convenzione stessa, bensì la seconda, in forza della quale, quando una persona dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti, va considerata residente nello Stato contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette.
Peraltro, il contribuente aveva svolto in Italia attività lavorativa continuativa di consulenza commerciale dal 2002, come risulta dalle fatture emesse, presentando nello stesso anno la dichiarazione dei redditi e deteneva una partecipazione del 45% del capitale sociale di una società, di cui aveva finanziato l’acquisto nonché le spese di ristrutturazione del negozio gestito dalla società stessa.
Si doveva, quindi, ritenere che il contribuente avesse in Italia relazioni economiche e personali più strette rispetto che in Russia.

Decidendo il caso in esame, la Corte, ribadita la disciplina prevista dall’articolo 4 della Convenzione, ha precisato che per dirimere la questione fosse necessario stabilire se per “abitazione permanente” debba intendersi un fabbricato in proprietà o in uso in base ad altro titolo giuridico, oppure un fabbricato di cui il contribuente possa comunque disporre.
Proprio per arrivare alla corretta interpretazione della norma contenuta nell’articolo 4, comma 2, lettera a), della convenzione Italia-Russia contro le doppie imposizioni, la Corte ha reputato opportuno passare in rassegna il testo del modello di convenzione elaborato in sede Ocse, sulla base del quale sono stati poi elaborati anche i trattati internazionali per evitare le doppie imposizioni sui redditi o sul patrimonio dei rispettivi residenti.

Ebbene, ai sensi del modello di convenzione Ocse preso in esame dalla Corte, la persona fisica è da considerarsi residente nello Stato qualora, all’interno di esso, disponga di un’abitazione permanente da intendersi come una “situazione di fatto”.
Infatti, precisa la Cassazione, all’espressione “a permanent home available to him” riportata nel modello di convenzione, “non può essere attribuito altro significato se non quello di un alloggio di cui il contribuente può disporre stabilmente a qualsivoglia titolo, non potendo la caratteristica della permanenza identificarsi nella proprietà di essa ma nel fatto che il soggetto ne può disporre a suo piacimento per periodi temporali indeterminati”.

I giudici di legittimità hanno ritenuto, dunque, che l’espressione utilizzata dagli Stati contraenti, in merito al concetto di abitazione permanente quale criterio per individuare lo Stato in cui il contribuente ha la residenza, vada interpretata alla luce del tenore letterale del modello Ocse di riferimento cui si sono ispirati le stesse parti contraenti e, pertanto, tenendo conto della situazione di fatto che determina la stabile disponibilità di un’abitazione in capo al contribuente.

La Ctr – ad avviso della Corte – per verificare se il contribuente dovesse essere assoggettato a imposta nello Stato italiano, avrebbe dovuto applicare il secondo criterio previsto dall’articolo 4, lettera a), della Convenzione Italia-Russia, secondo cui, come detto, quando la persona dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti, è considerata residente nello Stato contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette.
Il ricorso è stato, dunque, accolto e la decisione impugnata è stata cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale in diversa composizione che, adeguandosi ai principi esposti, dovrà procedere alle necessarie verifiche e decidere nel merito, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.
Andrea Santoro
pubblicato Lunedì 27 Novembre 2017


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