La Corte Ue, interpellata, fissa i confini della direttiva "servizi"
Pubblicato il 01/02/18 08:34 [Doc.4204]
di Redazione IL CASO.it


L'esame della normativa locale dei Paesi Bassi offre agli eurogiudici lo spunto per soffermarsi sui limiti e l'ambito di applicazione delle regole comunitarie in alcuni casi specifici

La sentenza riguarda due controversie riunite: la prima tra un comune olandese e una società, in merito al pagamento di tasse relative all'installazione di cavi in fibra ottica per una rete pubblica di comunicazione elettronica (C-360/2015), la seconda tra un'altra azienda e un altro comune dei Paesi Bassi, circa le norme contenute in un piano regolatore in base alle quali determinate aree periferiche sono riservate esclusivamente alla vendita al dettaglio di merci voluminose (C-31/2016).

Causa C?360/15
Una società, in forza di un contratto concluso nel mese di dicembre 2009 con un comune olandese, veniva incaricata di costruire nel territorio amministrato dall'ente locale una rete di fibre ottiche.
A tal fine, detta società chiedeva alla giunta, per ogni parte del tracciato della rete, un'autorizzazione relativa al luogo, al momento e alle modalità di esecuzione dei lavori di scavo per l'installazione di cavi in fibra ottica, conformemente alla legge nazionale sulle telecomunicazioni.
Il comune invitava la compagine al versamento delle consequenziali tasse.

Il contenzioso olandese e le questioni pregiudiziali
La società si rivolgeva al tribunale di Utrecht, Paesi Bassi, al fine di contestare l'importo dell'imposizione.
Dopo il rigetto di tale ricorso, la vertenza finiva avanti alla Corte d'appello di Arnhem?Leeuwarden, che riteneva illegittima la tassazione.
Il comune proponeva, allora, ricorso per cassazione dinanzi alla Corte suprema dei Paesi Bassi e la società interponeva ricorso incidentale.

La Corte, sospeso il processo, ha proposto ai togati comunitari una serie articolata di questioni pregiudiziali:
se l'articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 debba essere interpretato nel senso che tale disposizione si applica all'imposizione di tasse a opera di un organo di uno Stato membro per procedere all'esame di una domanda di autorizzazione circa il momento, il luogo e le modalità di esecuzione di lavori di scavo finalizzati alla posa di cavi per una rete pubblica di telecomunicazione elettronica
se la direttiva 2006/123, alla luce del suo considerando 9, debba essere interpretata nel senso che essa non si applica a una normativa nazionale secondo cui il proposito di effettuare lavori di scavo per la posa, la manutenzione e l'eliminazione di cavi, per una rete pubblica di telecomunicazione elettronica, venga comunicato al sindaco e alla giunta e che questi ultimi non abbiano il potere di vietare tali lavori, bensì quello di fissare norme relative al luogo, al momento e alle modalità di esecuzione dei lavori nonché alla promozione dell'utilizzo congiunto delle strutture e al coordinamento dei lavori con i gestori delle altre opere presenti nel terreno.
Venivano, inoltre, proposte ulteriori tre questioni pregiudiziali, poi rimaste assorbite.

Lo spazio applicativo della direttiva 2006/123
All'esito di un esame delle disposizioni di riferimento, la Corte ritiene che l'articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che quest'ultima non si applica a tasse il cui fatto generatore è legato ai diritti, in capo alle imprese autorizzate a fornire reti e servizi di comunicazione elettronica, di installare cavi per una rete pubblica di comunicazione elettronica.

In proposito, la Corte osserva che, in tal caso, i fornitori di reti di comunicazione elettronica possono essere tenuti a versare alle autorità pubbliche tasse del tipo di quelle di cui si discute, in modo da ottenere le autorizzazioni necessarie relative al luogo, al momento e alle modalità di esecuzione dei lavori, conformemente all'articolo 5.4, paragrafo 1, lettera b), della legge sulle telecomunicazioni.

Occorre, in argomento, considerare che il fatto generatore di tali tasse è legato al diritto, in capo alle imprese autorizzate a fornire reti di comunicazione elettronica, di installare strutture ai sensi dell'articolo 13 della direttiva "autorizzazioni".
Il fatto che il comune non costituisca una Autorità nazionale di regolamentazione, continua la Corte, non osta a che le tasse il cui pagamento è stato chiesto alla società debbano essere esaminate alla luce dell'articolo 13 della direttiva "autorizzazioni".
In ogni caso, come risulta da una giurisprudenza costante della Corte, nell'ambito della direttiva "autorizzazioni" gli Stati membri non possono riscuotere tasse o canoni sulla fornitura di reti e di servizi di comunicazione elettronica diversi da quelli previsti da tale direttiva. È, quindi, tenendo conto della direttiva in questione che occorre determinare gli oneri pecuniari che le autorità nazionali competenti possono, o meno, riscuotere sulla fornitura di reti e servizi siffatti.

Da quanto precede risulta, in definitiva, che l'imposizione di tasse il cui fatto generatore è legato ai diritti, in capo alle imprese autorizzate a fornire reti e servizi di comunicazione elettronica, di installare cavi per una rete pubblica di comunicazione elettronica costituisce un settore disciplinato dalla direttiva "autorizzazioni" ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/123.

Causa C?31/16
Nel territorio di un altro comune dei Paesi Bassi, in periferia, si trova una zona commerciale, che comprende esercizi di vendita al dettaglio di merci voluminose.
In forza di una norma del piano regolatore del comune, detta zona è stata destinata esclusivamente alla vendita al dettaglio di merci voluminose.
Una società olandese, proprietaria di aree commerciali in detta zona, tuttavia, intendeva concederne una in locazione a un'altra società, che gestiva una catena di grandi magazzini self service di calzature e di abbigliamento a buon mercato.
Ciò veniva ostacolato dalla decisione della giunta comunale, che riteneva detta intenzione contrastante con il piano regolatore.

Il processo nazionale e le questioni pregiudiziali
La locatrice ricorreva, quindi, avanti al Consiglio di Stato dei Paesi Bassi, invocando la violazione degli articoli 9 e 10 della direttiva 2006/123.
La giunta comunale richiamava, di contro, esigenze relative all'assetto del territorio.

Alla luce delle suesposte considerazioni, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali, così richiamabili:
interrogativo circa la nozione di "servizio"
conformità o meno alla direttiva "servizi" della norma del piano regolatore
carattere transfrontaliero o meno della vicenda
conferenza o meno della giurisprudenza della Corte relativa alle disposizioni del Trattato sulla libertà di stabilimento e sulla libera circolazione dei servizi in situazioni puramente interne. Ampiezza delle nozioni di riferimento di "requisito" e di "autorizzazione"
conferenza o meno del regime in questione con le norme del Tfue.
La nozione di servizio
Anzitutto, la Corte osserva, dopo aver ribadito l'ambito di applicazione della direttiva 2006/123, che per "servizio" si intende qualsiasi attività economica non salariata di cui all'articolo 57 Tfue, fornita normalmente dietro retribuzione.
Nel caso di specie, continuano i togati comunitari, non vi sono dubbi che l'attività di vendita al dettaglio di cui al procedimento principale, da un lato, costituisca un'attività economica non salariata fornita dietro retribuzione e, dall'altro, non faccia parte delle esclusioni dall'ambito di applicazione della direttiva 2006/123 previste all'articolo 2, paragrafi 2 e 3, della medesima. Inoltre, le attività di carattere commerciale sono espressamente menzionate all'articolo 57 Tfue nell'elenco esemplificativo delle prestazioni che tale norma definisce come servizi.
In sostanza, l'attività di vendita al dettaglio di prodotti quali calzature e abbigliamento rientra nella nozioni di "servizio", ai sensi dell'articolo 4, punto 1, di tale direttiva.

Libertà di stabilimento e sussistenza di elementi "esteri"
La Corte passa, poi, a scrutinare se le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123, relativo alla libertà di stabilimento dei prestatori, debbano o meno essere interpretate nel senso che si applichino anche a una situazione i cui elementi rilevanti si collochino tutti all'interno di un solo Stato membro.
La risposta positiva a tale questione passa attraverso l'interpretazione coordinata della normativa di riferimento, che, riscontrano i togati comunitari, in sintesi, non enuncia alcuna condizione relativa alla sussistenza di un elemento di carattere estero.
Infatti, inferisce la Corte, la piena realizzazione del mercato interno dei servizi richiede che vengano soppressi gli ostacoli incontrati dai prestatori per stabilirsi negli Stati membri, a prescindere dal fatto che si tratti del proprio Stato membro o di un altro, e che sono tali da pregiudicare la loro capacità di fornire servizi a destinatari che si trovano in tutta l'Unione.

Piano regolatore e periferie
Successivamente, la Corte osserva che si deve intendere per "regime di autorizzazione", ai fini della direttiva 2006/123, "qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un'autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all'accesso ad un'attività di servizio o al suo esercizio".

Ebbene, nel caso di specie, tenuto conto degli elementi di cui la Corte dispone, risulta che il piano regolatore di cui al procedimento principale non rientri in tale nozione.
Infatti, sebbene detto piano offra ai prestatori la possibilità di sviluppare determinare attività di vendita al dettaglio in specifiche aree geografiche, siffatta circostanza deriva non da un atto formale ottenuto in esito a una pratica che tali prestatori sarebbero stati tenuti a espletare a tal fine, bensì dall'approvazione da parte della giunta comunale di norme di applicazione generale contenute nel suddetto piano regolatore.
Di conseguenza, gli articoli 9 e 10 della direttiva 2006/123, relativi ai regimi di autorizzazione, non sono applicabili a una normativa come quella di cui al procedimento principale.

Per quanto riguarda, poi, la nozione di "requisito", essa deve essere intesa, ai sensi dell'articolo 4, punto 7, di tale direttiva, come riguardante, in particolare, "qualsiasi obbligo, divieto, condizione o limite stabilito dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri".
Nel caso di specie, è pacifico che le norme del piano regolatore di cui trattasi nel procedimento principale hanno l'effetto di vietare l'attività di vendita al dettaglio di prodotti non voluminosi, quali calzature e abbigliamento, in un'area geografica situata al di fuori del centro cittadino del comune di cui si discute.
Ma la direttiva mira a sopprimere le restrizioni alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra questi ultimi, al fine di contribuire alla creazione di un vero mercato interno dei servizi.
Pertanto, la direttiva 2006/123 non è destinata ad applicarsi a requisiti che non possono essere considerati costitutivi di siffatte restrizioni, dal momento che essi non disciplinano o influenzano specificamente l'accesso a un'attività di servizi o il suo esercizio, ma devono essere rispettati dai prestatori nello svolgimento della loro attività economica, così come da persone che agiscono a titolo privato.

Ciò precisato, occorre constatare che le norme di cui trattasi, pur mirando a salvaguardare la vitalità del centro cittadino del comune in questione e a evitare che vi siano locali vuoti in un'area urbana, nell'ambito di una politica di assetto del territorio, hanno tuttavia l'oggetto specifico di stabilire le aree geografiche in cui determinate attività di vendita al dettaglio possono stabilirsi. Esse si applicano, quindi, esclusivamente alle persone che intendono sviluppare tali attività in dette aree geografiche, a esclusione delle persone che agiscono a titolo privato.
Nel caso di specie, inoltre, nel vietare l'attività di vendita al dettaglio di prodotti non voluminosi in un'area geografica situata al di fuori del centro cittadino del comune in questione, la normativa di cui trattasi nel procedimento principale contiene uno dei requisiti previsti dall'articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2006/123, in quanto subordina l'accesso a un'attività di servizio o il suo esercizio al rispetto di una restrizione territoriale, ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva.

Ebbene, la direttiva 2006/123 non osta a che l'accesso a un'attività di servizi o l'esercizio della stessa sia subordinato al rispetto di una tale restrizione territoriale, purché le condizioni di non discriminazione, necessità e proporzionalità di cui all'articolo 15, paragrafo 3, siano soddisfatte.

Le conclusioni della Corte
L'articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che quest'ultima non si applica a tasse il cui fatto generatore è legato ai diritti, in capo alle imprese autorizzate a fornire reti e servizi di comunicazione elettronica, di installare cavi per una rete pubblica di comunicazione elettronica.
L'articolo 4, punto 1, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che l'attività di vendita al dettaglio di prodotti costituisce un "servizio" ai fini dell'applicazione di tale direttiva.
Le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123, relativo alla libertà di stabilimento dei prestatori, devono essere interpretate nel senso che si applicano anche a una situazione i cui elementi rilevanti si collocano tutti all'interno di un solo Stato membro.
L'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che norme contenute in un piano regolatore di un comune vietino l'attività di vendita al dettaglio di prodotti non voluminosi in aree geografiche situate al di fuori del centro cittadino di tale comune, purché siano rispettate tutte le condizioni previste dall'articolo 15, paragrafo 3, di tale direttiva, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

Data della sentenza
30 gennaio 2018
Numero della causa
Cause riunite C-360/2015 e C-31/2016
Nome delle parti
College van Burgemeester en Wethouders van de gemeente Amersfoort
contro
X BV (C?360/15),
e
Visser Vastgoed Beleggingen BV
contro
Raad van de gemeente Appingedam (C?31/16).
Martino Verrengia
pubblicato Martedì 30 Gennaio 2018
fonte: www.fiscooggi.it


© Riproduzione Riservata