Moglie e anche avvocato: esercitare insieme fa scattare l'Irap
Pubblicato il 08/02/18 00:00 [Doc.4234]
di Redazione IL CASO.it


È possibile ritenere, infatti, che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio, ma di quella di entrambi i coniugi

Versa l'Irap l'avvocato che svolge la professione insieme alla moglie, anche lei legale: ciò in quanto - in materia di Irap - il presupposto "dell'autonoma organizzazione", richiesto dall'articolo 2, Dlgs 446/1997, ricorre quando il professionista responsabile dell'organizzazione si avvale, pur senza un formale rapporto di associazione, della collaborazione di un altro professionista, stante il presumibile intento di giovarsi delle reciproche competenze, ovvero della sostituibilità nell'espletamento di alcune incombenze, tanto da poter ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio.
Lo ha precisato la Cassazione con l'ordinanza n. 1089 del 18 gennaio 2018 con cui ha rigettato il ricorso di un professionista.

La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
La vicenda riguarda un avviso di accertamento Irap con cui l'Agenzia delle entrate contestava a un avvocato la debenza dell'imposta.
La Ctr Liguria, nel ribaltare l'esito di primo grado, accoglieva l'appello dell'ufficio: secondo i giudici d'appello, infatti, sulla base degli elementi acquisiti, il contribuente aveva utilizzato - in modo permanente - un altro professionista legale per l'espletamento dell'attività professionale, integrando in tal modo il requisito dell'autonoma organizzazione.

Col ricorso per cassazione, il contribuente denunciava violazione degli articoli 2 e 3 del Dlgs 446/1997, per non avere la Ctr considerato che il contribuente non si avvaleva di alcun collaboratore.

Nel rigettare il ricorso, la Cassazione ricorda un precedente, riguardante sempre un avvocato, secondo cui il requisito dell'autonoma organizzazione ricorre quando il professionista responsabile dell'organizzazione si avvalga, pur senza un formale rapporto di associazione, della collaborazione di un altro professionista (nella specie, del coniuge), stante il presumibile intento di giovarsi delle reciproche competenze, ovvero della sostituibilità nell'espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio (cfr Cassazione, 1136/2017).

In tal modo la questione si incentra tutta sull'onere probatorio: il professionista (sul quale tale onere gravava dato l'elemento presuntivo fornito dall'Agenzia delle entrate), nel caso di specie, avrebbe dovuto dimostrare l'assenza di rilevanza dell'attività del coniuge-avvocato rispetto alla produzione di reddito e, quindi, l'assenza di autonoma organizzazione desunta dalla presenza, all'interno del medesimo studio, di un altro legale capace di rafforzare, attraverso le proprie competenze, l'offerta dell'altro collega con il quale opera in regime di contitolarità.

Ulteriori osservazioni
Sul punto, si ricorda che l'Irap colpisce la capacità produttiva dell'obbligato se accresciuta e potenziata da un'attività autonomamente organizzata nel cui ambito assume rilevanza anche la presenza di un solo dipendente, quale elemento potenziatore e aggiuntivo di reddito.
In merito all'utilizzo, non occasionale, di lavoro altrui, sono emerse negli ultimi anni, nella giurisprudenza di legittimità, due diverse posizioni, che possono così sintetizzarsi:
il requisito dell'autonoma organizzazione sussiste in ogni caso tutte le volte in cui il contribuente che eserciti l'attività di lavoro autonomo ".... si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui", anche part time o tramite collaborazioni coordinate e continuative
la presenza di un dipendente non costituisce fattore di per sé solo decisivo e insuperabile per determinare il riconoscimento dell'autonoma organizzazione, ma il relativo giudizio è rimesso alla concreta valutazione del giudice di merito, "escludendo un automatismo dipendente-soggezione a IRAP (cfr. la sentenza n. 22592 dell'11 dicembre 2012)".
Al riguardo, con la sentenza 9451/2016 emessa a sezioni unite, la Corte di cassazione, con riferimento a un professionista (avvocato), ha affermato di condividere i principi espressi e l'impianto ricostruttivo operato nelle sentenze sin dal 2007 e sopra richiamato, che, tuttavia, meritano "più che una rivalutazione, delle precisazioni concernenti il fattore lavoro".
In particolare, le sezioni unite hanno affermato che il lavoro altrui, di cui il lavoratore autonomo può avvalersi, può garantire un apporto significativo ai fini dello svolgimento dell'attività (e quindi dell'affermazione dell'autonoma organizzazione) qualora "le mansioni svolte dal collaboratore non occasionale concorrano o si combinino con quel che è il proprium della specifica (professionalità espressa nella) «attività diretta allo scambio di beni o di servizi» …".
Al contrario, secondo la Corte di cassazione, "Diversa incidenza assume [e quindi non rileva ai fini dell'autonoma organizzazione] … l'avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui quando questo si concreti nell'espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive, che rechino all'attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o, appunto, generico".
Ciò in quanto, "Lo stesso limite segnato in relazione ai beni strumentali «eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione» - non può che valere, armonicamente, per il fattore lavoro, la cui soglia minimale si arresta all'impiego di un collaboratore".

Quanto all'esercizio in forma associata dell'attività, secondo l'ultimo e definitivo approdo della giurisprudenza della Cassazione, la stessa rileva in ogni caso ai fini dell'assoggettabilità a Irap.
Infatti, con la sentenza 7371/2016, le sezioni unite hanno chiarito che "quando l'attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell'imposta a norma del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3, comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l'esercizio in forma associata di arti e professioni - essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l'attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d'imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell'autonoma organizzazione".

In altri termini la struttura tipica degli studi associati renderebbe evidente, in ogni caso, l'esistenza di un'organizzazione di mezzi e persone volta al raggiungimento di uno scopo, e, quindi, la piena assoggettabilità alla norma. A tal fine, non è necessario la formalizzazione del rapporto associativo.

Al contrario, non rileva la corresponsione di compensi per domiciliazioni; infatti, secondo Cassazione 26332/2017 e 22695/2016 "In tema d'IRAP, non sono indicativi del presupposto dell'autonoma organizzazione i compensi corrisposti da un avvocato per le domiciliazioni presso i colleghi, trattandosi di prestazioni strettamente connesse all'esercizio della professione forense, che esulano dall'assetto organizzativo della relativa attività".
Francesco Brandi
pubblicato Mercoledì 7 Febbraio 2018


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