Investimenti all'estero: definizione di possesso e obbligo dichiarazione
Pubblicato il 12/03/18 00:00 [Doc.4368]
di Redazione IL CASO.it


Segnalazione e massima a cura dell'Avv. Luca Caravella

Commissione Tributaria Provinciale Napoli, sentenza 10 novembre 2017 - G. rel. A.S. Rabuano.

Art. 4 d.l. 167/90, conv. con modifiche con l. 227/90 - Investimenti all'estero - Definizione di possesso - Obbligo dichiarazione - Presupposti.
La ratio dell'art. 4 d.l. 167/90, conv. con modifiche con l. 227/90 e succ. modifica, risiede nella straordinaria necessità e urgenza di adottare disposizioni di natura fiscale atte a consentire la possibilità di controllo di talune operazioni finanziarie da e verso l'estero, anche in vista della predisposizione di meccanismi di cooperazione e di scambio d'informazioni tra i paesi comunitari, nonché di talune importazioni ed esportazioni al seguito di denaro, titoli o valori per contenere l'uso del contante. In tal modo è stato introdotto un complesso meccanismo di controlli che, senza ostacolare la libertà dei movimenti di capitale fra persone residenti negli Stati dell'Unione, potesse consentire a questi ultimi di assoggettare a tassazione, sulla base del principio del c.d. "reddito mondiale", anche i redditi di fonte estera posseduti dai rispettivi residenti.
L'obbligo della dichiarazione ex art. 4, il cui presupposto fonda sulla "detenzione" intesa come possesso di investimenti all'estero, è posto in capo: a) all'intestatario formale; b) al beneficiario effettivo di investimenti o attività di natura finanziaria all'estero; e c) tenuto conto della ratio della previsione normativa, a colui che, all'estero, abbia avuto la disponibilità di fatto di somme di danaro non proprie. La "logica reddituale" di tale norma fa sì che quest'ultima sia preordinata alla esatta ricostruzione della capacità contributiva dei residenti e la detenzione collegata espressamente dalla norma alla "suscettibilità di produrre redditi in Italia" di guisa che sono tenuti agli obblighi di monitoraggio: a) i titolari delle attività, cespiti patrimoniali o finanziari potenzialmente generatori di reddito in Italia; b) coloro che ne hanno la disponibilità o la possibilità di movimentazione effettiva nel proprio interesse. (Luca Caravella) (riproduzione riservata).

Art. 4 d.l. 167/90, conv. con modifiche con l. 227/90 - Investimenti all'estero - Trust - Interesse economico e mancata spendita nome - Obbligo dichiarazione - Sussistenza.
Il concetto di detenzione e titolarità effettiva assume particolare rilievo con riferimento al trust: il combinato disposto degli artt. 37 co. 3, 4 D.P.R. 600/73, art. 4 co. 1 D.L. 167/90 consente di superare tutte le forme giuridiche che possono precludere, tramite l'applicazione della relativa normativa, l'esatta individuazione del soggetto titolare effettivo del cespite capace di produrre reddito. Inoltre, la Circolare n. 10/E del 13 marzo 2015, contenente le prime indicazioni relative alla procedura di collaborazione volontaria, e la Circolare 27 dicembre 2010, n. 61/E che, nel caso in cui il potere di gestire e disporre dei beni permanga in tutto o in parte in capo al disponente, attribuisce al trust la natura di struttura meramente interposta rispetto a tale soggetto al quale vanno pertanto imputati, secondo i principi generali, i redditi solo formalmente prodotti dal trust. Questo si verifica, secondo le circolari in esame, nel caso di trust revocabile, di etero-direzione dell'attività del trustee o, nel caso di fixed trust non discrezionale, qualora il beneficiary abbia la "effettiva disponibilità" dei beni segregati. Inoltre, secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., sez. VI civ., ord. 24 febbraio 2015, n. 3735; conforme Cass., sez. VI civ., ord. 24 febbraio 2015, n. 3737), quando il trust sia un semplice schermo formale e la disponibilità dei beni che ne costituiscono il patrimonio sia da attribuire ad altri soggetti, disponenti o beneficiari del trust, lo stesso deve essere considerato come un soggetto meramente interposto e il patrimonio, nonché i redditi da questo prodotti, deve essere ricondotto ai soggetti che ne hanno l'effettiva disponibilità. Tuttavia, va precisato che, in tema di trust, il combinato disposto dell'art. 44 co. 1 lett. g) sexies TUIR n. 917/86 e della l. n. 97/13 del 2013, modificativa dell'art. 4 cit., estende gli obblighi dichiarativi ai beneficiari "determinati" di trust, se destinatari o controllanti più del 25% del patrimonio del trust, e persino ai beneficiari "indeterminati" purché sia individuata la categoria degli stessi (diversamente il trust sarebbe invalido), incombendo in quest'ultimo caso l'obbligo dichiarativo sulla categoria dei beneficiari indistintamente individuata. In sintesi, dalla lettura sistematica delle norme, si evince che il soggetto obbligato a rendere la dichiarazione di cui all'art. 4 d.l. 167/90, conv. con modifiche con l. 227/90, nel caso in cui il presupposto impositivo sia rappresentato dalla titolarità di partecipazioni in società con sede all'estero, è colui il quale, senza spendere il proprio nome, sia titolare dell'interesse di natura economica che il bene, rappresentato proprio dalla partecipazione, è diretto a soddisfare.
Sul piano del diritto tributario, quindi, l'art. 53 Cost. con il principio di capacità contributiva, l'art. 4 conv. con modifiche con l. 227/90, l'art. 37 commi 3 e 4, D.P.R. n. 600 del 1973 impongono di verificare con riferimento alle partecipazioni di società sedenti all'estero e al relativo patrimonio, il titolare effettivo dell'interesse economico superando il criterio della spendita del nome, con il logico corollario, secondo la tesi della gestione indirette dell'attività di impresa, che la qualità di imprenditore e, quindi, di titolare effettivo della partecipazione societaria e del relativo patrimonio deve riconoscersi a chi, pur non spendendo il proprio nome, assume la gestione dell'impresa e acquisisce i relativi risultati economici (Luca Caravella) (riproduzione riservata).


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