No al condono di condono: violerebbe la parità di trattamento
Pubblicato il 18/04/18 08:27 [Doc.4559]
di Redazione IL CASO.it


La definizione agevolata della pendenza fiscale (articolo 9-bis, legge 289/2002) non è ammissibile in relazione alla mancata definizione prevista dall'articolo 9 della stessa legge

La legge n. 289/2002 disciplinava diverse ipotesi di definizione agevolata prevedendo, all'articolo 9, quella "automatica per gli anni pregressi" per i contribuenti che avessero presentato, a pena di nullità, una dichiarazione integrativa relativa a tutti i periodi d'imposta per i quali i termini per la presentazione delle relative dichiarazioni fossero scaduti entro il 31 ottobre 2002, per la definizione di tutte le imposte sui redditi, relative addizionali e Irap, nonché, anche separatamente, per l'imposta sul valore aggiunto.
Nessun dubbio che si tratta di una disciplina di per sé compiutamente disciplinata, tanto che il dodicesimo comma prevedeva che l'omesso versamento entro le date ivi indicate non determina l'inefficacia della integrazione e che, per il recupero delle relative somme non corrisposte, si applicava l'articolo 14 del Dpr n. 602/1973, e erano altresì dovuti una sanzione amministrativa pari al 30% delle somme non versate, ridotta alla metà in caso di versamento eseguito entro i trenta giorni successivi alla scadenza medesima, e gli interessi legali.

Nel caso di specie, la società non aveva provveduto al pagamento di tutte le some dovute chieste dall'Agenzia delle entrate con cartella di pagamento con applicazione anche degli interessi e sanzioni, ma la contribuente eccepì di aver aderito all'ulteriore condono di cui all'articolo 9-bis della stessa legge n. 289, "ritenendo pertanto che non fossero dovuti né interessi né sanzioni".

La pronuncia della Corte di cassazione n. 1317/2018 esclude l'ammissibilità di un tale condono di condono evidenziando, in primo luogo, che l'articolo 9-bis riguarda un'altra fattispecie premiale, perché relativa alla definizione delle sanzioni per i ritardati od omessi versamenti "delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate entro il 31 ottobre 2002". Si tratta di quelle sanzioni pecuniarie irrogabili ai sensi dell'articolo 13 del Dlgs n. 471/1997, che l'articolo 9-bis aveva previsto non comminabili ai contribuenti e ai sostituti d'imposta che, alla data del 16 aprile 2003, avessero provveduto ai pagamenti dei tributi o delle ritenute per le quali ultime il termine di versamento fosse scaduto anteriormente al 31 ottobre 2002.
Peraltro, aggiunge il Supremo collegio, aderendo alla tesi dell'Agenzia delle entrate, neppure vale richiamare l'articolo 1, comma 2, del Dl n. 143/2003, perché esso dispone soltanto una riapertura dei termini per i condoni previsti, fra gli altri, dagli articoli 9 e 9-bis, ma non permette di accedere a un condono diverso da quello di cui si è usufruito in precedenza, essendosi voluto permettere unicamente al contribuente la correzione, l'integrazione o l'ampliamento della stessa precedente opzione.

In secondo luogo, la decisione della Corte di legittimità che si annota esclude che l'articolo 9-bis possa essere applicato in via analogica così da consentire la definizione dei ritardati od omessi pagamenti relativi ad altri e diversi condoni perché, in primo luogo, non si riscontra alcun vuoto normativo, presupposto indispensabile per l'applicazione in via analogica. Inoltre, la Corte regolatrice del diritto rileva che "(e soprattutto) manca quella identità di ratio che sola consente l'esercizio del potere di applicazione analogica da parte del giudice", atteso che il procedimento di applicazione in via analogica (pur astrattamente possibile qualora si ammettesse che le norme in tema di condono abbiano natura non eccezionale ma speciale in quanto si armonizzano pur sempre con il resto dell'ordinamento giuridico e si giustificano per le esigenze di cui agli articoli 81 e 111 della Costituzione) non giustifica un condono sul condono.
Proprio il riferimento alla Costituzione e al delicato bilanciamento di valori degli articoli 3, sulla parità di trattamento, e 53, sulla capacità contributiva, sancito dalla Corte costituzionale nella sentenza, citata da questa in nota, n. 219/2013, esclude il condono su condono, altrimenti il contribuente verrebbe irragionevolmente a usufruire due volte, per la stessa imposta, di un atto clemenziale dettato da contingenti ed eccezionali esigenze finanziarie e di carico giudiziario.

Sull'inammissibilità del "condono di condono"; si veda la giurisprudenza della Corte di cassazione espressa nelle sentenze, citate da questa in commento, 24 ottobre 2005, n. 20573 e 24 ottobre 2011, n. 22065, secondo cui la definizione agevolata di cui all'articolo 9-bis della legge n. 289/2002 non può avere a oggetto le rate di una precedente istanza di definizione, presentata ai sensi della medesima norma, rimaste insolute.
Una diversa soluzione ermeneutica si rinviene soltanto in ipotesi di definizione agevolata della lite pendente sulla controversia avente a oggetto l'applicazione o meno di un precedente condono, come affermato dal Supremo collegio nella decisione 3 dicembre 2008, n. 28670.


a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME

pubblicato Martedì 17 Aprile 2018


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