Autentica da parte del difensore della copia analogica della sentenza impugnata
Pubblicato il 10/05/18 08:40 [Doc.4654]
di Redazione IL CASO.it


Processo civile telematico - Ricorso per cassazione - Impugnazione - Deposito in cancelleria della copia autentica della sentenza impugnata - Sentenza redatta in formato digitale - attestazione di conformità della copia analogica redatta, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter, dal difensore che ha assistito la parte nel precedente grado di giudizio

In tema di ricorso per cassazione, ai fini dell'osservanza di quanto imposto, a pena di improcedibilità, dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, nel caso in cui la sentenza impugnata sia stata redatta in formato digitale, l'attestazione di conformità della copia analogica predisposta per la Corte di cassazione (fintantochè innanzi alla stessa non sia attivato il processo civile telematico) può essere redatta, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter, dal difensore che ha assistito la parte nel precedente grado di giudizio, i cui poteri processuali e di rappresentanza permangono, anche nel caso in cui allo stesso fosse stata conferita una procura speciale per quel singolo grado, sino a quando il cliente non conferisca il mandato alle liti per il giudizio di legittimità ad un altro difensore.


Cass. civ., Sez. VI - 3, 8 maggio 2018, n. 10941.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide - Presidente -
Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -
Dott. VINCENTI Enzo - Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere -
Dott. D'ARRIGO Cosimo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA

RITENUTO:
D.P. e L., danti causa degli odierni ricorrenti, convenivano innanzi al Tribunale di Marsala, sezione distaccata di Castelvetrano, B.G., chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 351.190,70 ed accessori, costituente la quota di corrispettivo loro spettante per la vendita di un fondo di cui essi erano comproprietari. La convenuta si costituiva chiedendo il rigetto della domanda.
Il tribunale rigettava la domanda degli attori, che venivano condannati al pagamento delle spese processuali. Contro tale sentenza i D. proponevano appello, al quale resisteva la controparte. La Corte d'appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l'impugnazione e condannava gli appellanti al pagamento delle spese del grado.
Tale sentenza è stata fatta oggetto di ricorso per cassazione da parte degli eredi di D.P. e L., nel frattempo deceduti. B.G. ha resistito con controricorso.
Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 380 bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.
I ricorrenti hanno depositato successive memorie.

RITENUTO:
Il ricorso è inammissibile.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che - ai fini del rispetto di quanto imposto, a pena di improcedibilità, dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, - il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche, deve depositare nella cancelleria della Corte di cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonchè della relazione di notifica del provvedimento impugnato, allegati al messaggio (da ultimo: Sez. 6 - Ordinanza n. 30765 del 22/12/2017). In atti si rinviene una copia analogica della sentenza impugnata, la cui conformità all'originale telematico è asseverato dal difensore che aveva assistito i D. nel giudizio d'appello.
Tale attestazione deve essere ritenuta rituale, in quanto la L. n. 53 del 1994, citato art. 9, non prescrive che l'attestazione di conformità debba essere sottoscritta dal medesimo difensore che assiste le parti nel grado di giudizio nel quale la copia analogica del documento digitale viene prodotta.
Invero, il potere di certificare la conformità della stampa cartacea all'originale digitale va ravvisato in capo al difensore che è munito di procura alle liti al momento in cui l'attestazione viene redatta.
In particolare, occorre distinguere a seconda che il difensore sia munito di procura generale o speciale. Nel primo caso lo ius postulandi viene meno solamente per effetto di espressa revoca del mandato difensivo. Nel secondo caso, ai sensi dell'art. 83 c.p.c., u.c., la procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell'atto non è espressa una volontà diversa, sicchè i poteri rappresentativi del difensore si esauriscono nel momento in cui viene introdotto il grado successivo di giudizio con l'assistenza legale di un diverso avvocato. Consegue che, nell'uno quanto nell'altro caso, il difensore che ha assistito la parte nel grado di giudizio appena conclusosi, conserva il potere di estrarre copie analogiche dagli originali digitali presenti negli nei registri telematici di cancelleria, giacchè, pure nell'ipotesi più restrittiva (cioè che egli sia munito di una procura speciale valevole solo per quel grado di giudizio) egli conserva la rappresentanza processuale della parte (ad esempio, anche ai fini dell'eventuale notificazione dell'impugnazione proposta da controparte) fintanto che il cliente non conferisca, per il grado successivo, il mandato alle liti ad altro difensore.
Va quindi affermato il seguente principio di diritto:
"In tema di ricorso per cassazione, ai fini dell'osservanza di quanto imposto, a pena di improcedibilità, dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, nel caso in cui la sentenza impugnata sia stata redatta in formato digitale, l'attestazione di conformità della copia analogica predisposta per la Corte di cassazione (fintantochè innanzi alla stessa non sia attivato il processo civile telematico) può essere redatta, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter, dal difensore che ha assistito la parte nel precedente grado di giudizio, i cui poteri processuali e di rappresentanza permangono, anche nel caso in cui allo stesso fosse stata conferita una procura speciale per quel singolo grado, sino a quando il cliente non conferisca il mandato alle liti per il giudizio di legittimità ad un altro difensore".
Così risolta la questione dell'attestazione di conformità all'originale della quale deve essere munita la sentenza impugnata, resta fermo il fatto che l'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, prescrive, a pena di improcedibilità, la produzione anche della relata di notificazione. E qualora la sentenza d'appello venga notificata a mezzo PEC, l'attestazione di conformità prevista dalla L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter, deve riguardare anche il messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonchè la relazione di notifica del provvedimento impugnato allegata al messaggio.
Tale requisito difetta nel caso di specie. Nè può considerarsi succedaneo dell'attestazione di conformità che avrebbe dovuto redigere l'avvocato che ha ricevuto la PEC, l'attestazione contenuta nella relata di notificazione predisposta dal notificante; quest'ultima, infatti, non riguarda i messaggi di posta elettronica certificata (che alla stessa sono ovviamente successivi), bensì il documento (la sentenza) che viene inviato in allegato.
La rilevata omissione è rilevante nel caso di specie, poichè, in difetto di prova circa la data di decorrenza del termine di cui all'art. 325 c.p.c., il ricorso risulta tardivamente proposto, avuto riguardo alla circostanza che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 29 luglio 2016, mentre il ricorso è stato passato per la notificazione in data 31 ottobre 2016 (lunedì). Invero, non potendo tener conto a causa del difetto di attestazione di conformità, della data in cui la sentenza impugnata è stata notificata ai ricorrenti, la prova "di resistenza" avrebbe dato esito favorevole solamente qualora il ricorso fosse stato comunque notificato nel rispetto del termine per impugnare "breve" di cui all'art. 325 cod. proc. civ. a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza, ossia entro il 28 ottobre 2016 (venerdì). In conclusione, il ricorso è inammissibile perchè tardivo.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti in solido, ai sensi dell'art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.
Ricorrono altresì i presupposti per l'applicazione della D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell'impugnante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2017.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2018.


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