L'accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182-bis l.fall. appartiene agli istituti del diritto concorsuale
Pubblicato il 11/06/18 00:00 [Doc.4801]
di Redazione IL CASO.it
Accordo di ristrutturazione dei debiti - Natura - Procedura concorsuale - Conseguenze - Crediti contestati - Sindacato del giudice dell'omologa - Limiti
L'accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 182-bis l.fall. appartiene agli istituti del diritto concorsuale, sicchè in sede di omologa dell'accordo non può determinarsi alcun giudicato sull'esistenza, entità o rango dei crediti contestati, i quali andranno accertati nelle forme contenziose ordinarie, restando al giudice dell'omologa soltanto il compito di verificare la non arbitrarietà della contestazione sollevata, al fine di ricomprendere il credito nella procedura e di valutare l'eventuale manifesta inidoneità del piano a soddisfarlo.
Cass. civ. sez. I, 24 maggio 2018, n. 12965
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio - Presidente -
Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -
Dott. TERRUSI Francesco - Consigliere -
Dott. PAZZI Alberto - rel. Consigliere -
Dott. FICHERA Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Svolgimento del processo
1. Con decreto del 22 novembre 2016 il Tribunale di Lecce omologava l'accordo di ristrutturazione concluso da S. s.r.l. (ora Gioielli d'Italia s.r.l.) con i creditori titolari del 96,85% della sua complessiva esposizione debitoria e nel contempo respingeva l'opposizione proposta da Leo C. S.p.A.
2. La Corte d'Appello di Lecce, con decreto depositato il 15 giugno 2017, rigettava il reclamo proposto da Leo C. S.p.A. e respingeva l'opposizione dalla stessa proposta all'omologa dell'accordo di ristrutturazione per sopravvenuta carenza di interesse.
In particolare la corte distrettuale dapprima precisava che la presenza di una contestazione del credito vantato da Leo C. S.p.A. non privava quest'ultima società della legittimazione a proporre opposizione all'omologa dell'accordo di ristrutturazione ma imponeva al giudice di svolgere una valutazione prognostica incidenter tantum sulla serietà della contestazione al fine di verificare se l'accordo fosse idoneo ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei, quindi rilevava, nell'intento di assicurare un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti affinchè al creditore non fosse attribuita una posizione di privilegio prevedendo che le sue pretese fossero sempre e comunque soddisfatte e al debitore non fosse consentito di sottrarsi ai propri obblighi semplicemente negando la sussistenza degli stessi, che le contestazioni mosse da S. s.r.l. in ordine al credito vantato nei suoi confronti da Leo C. S.p.A. non erano manifestamente pretestuose.
La Corte d'Appello constatava peraltro che nelle more del procedimento di reclamo la compagine proponente l'accordo aveva documentato l'intervenuto versamento su un proprio conto di un finanziamento funzionale all'eventuale soddisfazione del credito vantato dall'opponente; la sopravvenuta disponibilità di tale somma, idonea a garantire, unitamente al compendio immobiliare di recente acquisito da Gioielli d'Italia, il concreto esercizio del diritto di porre in esecuzione il decreto ingiuntivo già ottenuto, aveva comportato, a parere del collegio del reclamo, una sopravvenuta carenza di interesse di Leo C. S.p.A. a coltivare l'opposizione all'omologa proposta, in presenza di sufficienti garanzie delle sue ragioni creditorie.
3. Ha proposto ricorso per cassazione contro questa statuizione Leo C. S.p.A. affidandosi a cinque motivi di impugnazione.
Ha resistito con controricorso Gioielli d'Italia s.r.l. (già S. s.r.l.). Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
4. E' necessario rilevare in via preliminare l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività dell'impugnazione sollevata da parte controricorrente.
S. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione con ricorso spedito in data 18 luglio 2017 avverso un decreto non notificatole depositato il 15 giugno 2017.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che il decreto con il quale la Corte d'Appello, decidendo sul reclamo ai sensi della L. Fall., art. 183, comma 1, richiamato dalla L. Fall., art. 182-bis, comma 5, provvede, in senso positivo o negativo, in ordine all'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti è impugnabile con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7; questo provvedimento infatti, oltre ad essere decisorio, poichè emesso all'esito di un procedimento, di natura contenziosa, destinato a produrre il giudicato sull'omologazione (o non omologazione) dell'accordo, è anche definitivo, in quanto non altrimenti impugnabile (Cass. Sez. U., 27/12/2016 n. 26989).
Il termine per presentare l'impugnazione di una simile natura deve poi essere individuato in quello generale di sessanta giorni previsto dall'art. 325 c.p.c., mentre non può trovare applicazione al caso di specie il termine di maggior brevità previsto dalla L. Fall., art. 18, comma 14, in assenza del necessario presupposto per la sua applicabilità, costituito da una declaratoria di fallimento.
5. Nell'esame del ricorso proposto occorre prendere le mosse dal quarto motivo di doglianza, vertendo lo stesso sulla sussistenza di una delle condizioni dell'azione proposta.
La doglianza adduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 24 Cost., artt. 100 e 112 c.p.c., in quanto la reiezione dell'opposizione per sopravvenuta carenza di interesse sarebbe stata pronunziata dalla corte territoriale in via autonoma senza che fossero sopravvenuti fatti tali da eliminare le ragioni di contrasto, poichè le circostanze a questo fine valorizzate erano manifestamente inidonee a soddisfare il diritto per la cui tutela Leo C. aveva agito in giudizio.
Non compromette l'ammissibilità del motivo il fatto che lo stesso, pur denunciando la violazione di norme processuali, sia stato presentato in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Infatti la giurisprudenza di questa Corte ha a più riprese precisato che ai fini dell'ammissibilità del ricorso per cassazione non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell'ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purchè si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia; ne consegue che è ammissibile il ricorso per cassazione che lamenti la violazione di una norma processuale, ancorchè la censura sia prospettata sotto il profilo della violazione di norma sostanziale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anzichè sotto il profilo dell'error in procedendo, di cui al n. 4 del citato art. 360 (Cass. 6/10/2017 n. 23381; Cass. 29/8/2013 n. 19882; Cass. 21/1/2013 n. 1370).
La corte territoriale ha respinto l'opposizione proposta da Leo C. S.p.A. per sopravvenuta carenza di interesse dopo aver constatato l'intervenuta esistenza di sufficienti garanzie nel caso in cui l'odierna ricorrente avesse inteso porre in esecuzione il decreto ingiuntivo ottenuto.
Una simile statuizione non va esente da critiche.
In vero l'interesse ad agire in giudizio previsto dall'art. 100 c.p.c., consiste nel bisogno di tutela giurisdizionale derivante dall'affermazione dei fatti costitutivi e dei fatti lesivi compiuta da chi assume l'iniziativa processuale.
Siffatto interesse, quale condizione di ammissibilità della domanda, deve essere verificato alla luce del contenuto della stessa.
Ove ci si ponga in questa prospettiva si dovrà constatare come l'odierna ricorrente abbia lamentato non solo e non tanto l'impossibilità di veder soddisfatte le ragioni di credito portate dal decreto ingiuntivo ottenuto e dotato di autorità di cosa giudicata, ma piuttosto la lesione del suo diritto, in conseguenza delle modalità scelte dal suo debitore per porre rimedio alla propria crisi di impresa, a essere inclusa nel novero dei creditori non aderenti all'accordo e da soddisfare perciò nel termine di centoventi giorni previsto dalla L. Fall., art. 182-bis.
L'opposizione proposta costituiva pertanto l'unico mezzo processuale a disposizione del creditore estraneo all'accordo per rappresentare le proprie ragioni e l'esistenza del titolo già ottenuto, contestare la ricostruzione del ceto creditorio operata dal proponente e lamentare la propria arbitraria esclusione dall'elenco dei creditori da soddisfarsi nei termini caratterizzanti la procedura prescelta.
Il che equivale a dire che solo in sede di opposizione Leo C. S.p.A. avrebbe potuto dolersi della predisposizione di un accordo di ristrutturazione che, nella sua prospettiva, la trascurava tramite l'individuazione di dati contabili non veritieri.
Ne deriva che l'originario interesse ad agire di Leo C. S.p.A. non è venuto meno a seguito del finanziamento ottenuto da S. s.r.l., che, per quanto consta dal provvedimento impugnato, non era volto ad assicurare il pagamento diretto del creditore contestato nel termine di centoventi giorni previsto per i creditori non aderenti all'accordo ma poteva al più essere aggredito da un'iniziativa assunta in sede esecutiva.
La fondatezza del motivo non impone tuttavia la cassazione della statuizione impugnata, che, essendo comunque arrivata a una soluzione conforme a diritto, deve essere solo corretta in punto di motivazione ai sensi della L. Fall., art. 384, comma 4.
6.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 182-bis: secondo il ricorrente la corte territoriale, benchè la norma individui quali condizioni per l'omologa di un accordo di ristrutturazione l'indicazione di dati veritieri e l'idoneità dell'accordo ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei entro centoventi giorni dall'omologazione, aveva respinto l'opposizione proposta senza tener conto che il suo credito era consacrato in un decreto ingiuntivo avente autorità di cosa giudicata che era stato del tutto trascurato all'interno dell'accordo di ristrutturazione di cui S. s.r.l. aveva chiesto l'omologa.
Il secondo mezzo lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. e art. 653 c.p.c., comma 1, perchè la Corte territoriale, sebbene avesse riconosciuto che il decreto ingiuntivo ottenuto da Leo C. S.p.A. aveva acquisito autorità di cosa giudicata e costituiva titolo idoneo per l'esecuzione, non aveva ritenuto che il medesimo facesse stato nella procedura avviata da S. s.r.l. L. Fall., ex art. 182-bis.
Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 182-bis, giacchè la corte territoriale aveva ritenuto che l'accordo di ristrutturazione fosse omologabile pur in mancanza dell'integrale pagamento di uno dei creditori estranei nel termine di centoventi giorni dall'omologazione, stante la presenza di beni del debitore su cui poter agire esecutivamente.
Tali motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in ragione della sostanziale sovrapponibilità degli argomenti illustrati, non sono fondati.
6.2 Con queste doglianze Leo C. S.p.A. lamenta di essere stata ingiustificatamente trascurata nell'accordo di ristrutturazione e nella relazione ad esso allegata sebbene fosse in possesso di un titolo avente autorità di cosa giudicata e contesta l'omologabilità di un accordo che non preveda il pagamento dei creditori rimasti ad esso estranei nei termini previsti dalla L. Fall., art. 182-bis, pur in presenza di beni che garantiscano sufficiente capienza in sede esecutiva.
Gli argomenti illustrati dall'odierna ricorrente si pongono tutti in una prospettiva distonica rispetto al contenuto del provvedimento impugnato e sono stati sviluppati come se il credito in questione non fosse stato contestato dall'imprenditore proponente gli accordi di ristrutturazione.
In realtà la corte territoriale ha preso coscienza della contestazione sollevata dal debitore rispetto al credito vantato da Leo C. S.p.A. (spiegando che quest'ultima era sì titolare di un decreto ingiuntivo oramai definitivo, per un credito che però era stato oggetto di due successive transazioni, la prima adempiuta solo parzialmente e la seconda stipulata in favore di S. s.r.l. da soggetti terzi) e si è preoccupata di valutare incidenter tantum la serietà delle critiche mosse dal debitore.
Si tratta dunque di valutare se la natura contestata del credito in questione implicasse comunque l'applicazione della disciplina generale riservata ai crediti non controversi estranei all'accordo, come pretende l'odierna ricorrente, o comportasse peculiarità tali da giustificare un diverso trattamento, nel senso ritenuto dai giudici territoriali.
6.3 La soluzione da offrire non può che prendere le mosse da una riflessione a più riprese compiuta da questa Corte ed oramai sedimentata secondo cui l'accordo di ristrutturazione appartiene agli istituti del diritto concorsuale ed è istituto affine al concordato preventivo nell'ambito delle procedure alternative al fallimento volte alla composizione della crisi d'impresa (Cass. 1182/2018 n. 1182, Cass. 23111/2014 e Cass. 16950), tanto da rientrare "tra le procedure concorsuali" (come affermato da ultimo da Cass. 9087/2018).
Del resto un simile approdo è imposto non solo dallo stesso legislatore nazionale che, nell'estendere - con il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 23, comma 43, convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2011, n. 111 - all'imprenditore agricolo l'applicabilità degli istituti degli accordi di ristrutturazione dei debiti e della transazione fiscale, ha espressamente qualificato il primo istituto come una "procedura" volta al superamento dello stato di crisi, ma anche dall'evoluzione del diritto eurounitario, che per l'Italia ha inserito, all'art. 1 del Regolamento 2015/848 e nell'allegato A, a cui lo stesso fa rinvio, l'accordo di ristrutturazione dei debiti nell'ambito delle "procedure concorsuali pubbliche".
Questa comune appartenenza consente, in via estensiva o analogica, l'applicazione agli accordi di ristrutturazione dei principi generali comuni alle procedure concorsuali anche se non direttamente richiamati dal legislatore.
6.3 Un tratto che accomuna le procedure concorsuali volte al superamento della crisi d'impresa è costituito dal rinvio alla competente sede contenziosa di ogni verifica circa la sussistenza del credito.
Tanto la proposta concordataria quanto gli accordi di ristrutturazione, ove omologati, creano un vincolo in ordine alla riduzione dei crediti, nella loro totalità o rispetto agli aderenti, in corrispondenza della percentuale offerta o stabilita ma non determinano alcun giudicato sull' esistenza, entità o rango di crediti, da accertarsi altrove.
6.4 In sede concorsuale andrà invece accertata l'eventuale pretestuosità dell'esclusione operata dall'imprenditore con l'intento di comporre la propria crisi di impresa rappresentando il novero dei suoi creditori secondo criteri personali, se non addirittura abusivi, piuttosto che in conformità a canoni di veridicità.
Il giudice chiamato al controllo della legalità dello sviluppo della procedura dovrà dunque verificare incidenter tantum la non arbitrarietà della contestazione, allo scopo non di accertare l'eventuale esistenza del credito, da compiersi come detto in altra sede, ma di comprendere la medesima posizione creditoria nello sviluppo della procedura (come avviene nel concordato preventivo, art. 23, comma 43, ex art. 176, tramite la previsione della partecipazione al voto).
6.5 Oltre a ciò il giudice dell' omologa, essendo chiamato alla diretta verifica della effettiva realizzabilità della causa concreta (intesa come obiettivo specifico perseguito dal procedimento allo scopo di superare la crisi d'impresa), ben potrà apprezzare in via incidentale la probabile fondatezza della contestazione onde valutare la presenza dei fondi necessari al soddisfacimento della pretesa creditoria arbitrariamente contestata, perchè le risorse da liberare in questa direzione non rendano il piano manifestamente inidoneo a raggiungere gli scopi che l'imprenditore si è prefissato con l'accesso alla procedura.
6.6 n provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione di questi principi laddove, una volta constatata l'irrilevanza del credito contestato al fine del raggiungimento della percentuale minima di aderenti all'accordo, ha ritenuto di procedere a un vaglio, necessariamente incidentale, sulla eventuale pretestuosità della contestazione, è giunto alla conclusione, dopo un'ampia disamina degli argomenti illustrati da S. s.r.l. nel chiedere in sede contenziosa l'accertamento della insussistenza del credito vantato dalla controparte, che le contestazioni sollevate, pur presentando margini di opinabilità, non apparissero manifestamente arbitrarie e ne ha ricavato che l'accordo potesse perciò essere omologato anche se non ricomprendeva il credito di Leo C. S.p.A. fra quelli da soddisfare nei termini previsti dalla L. Fall., art. 182-bis.
Nel contempo la corte territoriale ha constatato che la contestazione sollevata non aveva alcun effetto sulla procedura in termini di manifesta inettitudine dell'accordo, in presenza, pur a fronte di contestazioni non manifestamente pretestuose, di garanzie sufficienti ad assicurare la soddisfazione delle pretese di Leo C. S.p.A.
7. Il quinto motivo di ricorso deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto il decreto impugnato sarebbe talmente contraddittorio e così palesemente illogico - laddove, dopo aver appurato l'infondatezza delle contestazioni sollevate da Gioielli d'Italia s.r.l., le aveva dichiarate dapprima non manifestamente pretestuose e subito dopo non manifestamente fondate - da indurre a ravvisare una assoluta carenza di motivazione.
Anche quest'ultima doglianza risulta infondata.
E' senza dubbio denunciabile in cassazione l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, e consista nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" ovvero nell'esistenza di una "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile" (Cass., Sez. U., 7/4/2014 n. 8053).
Una simile evenienza non corrisponde certo al contenuto del provvedimento impugnato.
Nessun contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili può essere ravvisato nel fatto che il giudice di merito si sia fatto carico di illustrare i punti di forza e di debolezza delle rispettive tesi difese.
La corte territoriale nel percorso motivazionale offerto per dare atto della non manifesta pretestuosità delle contestazioni sollevate, pur nella doviziosa ricostruzione delle problematiche poste da ambo le parti, ha peraltro tratto le proprie conclusioni dalla constatazione che:
1) al beneficiario stipulante la transazione intesa come negozio a favore di terzo resterebbe, nell'ipotesi di inadempimento dei promittenti, la sola azione verso questi ultimi per l'adempimento in favore del terzo;
2) la clausola risolutiva espressa contenuta nella seconda transazione doveva essere apprezzata tenendo conto che il mancato pagamento riguardava una frazione oggettivamente modesta del totale; 3) il decreto ingiuntivo ottenuto a suo danno non avrebbe potuto rivivere in assenza di una specifica diretta imputabilità dell'inadempimento di obbligazioni assunte da altri soggetti.
Il che dimostra come l'affermazione finale contenuta nell'ultimo capoverso di pagina 10 costituisca il frutto di un mero errore materiale chiaramente individuabile sulla scorta delle argomentazioni in precedenza sviluppate.
8. Una volta corretta la motivazione del provvedimento impugnato nei termini indicati al precedente punto 5 il ricorso presentato dovrà quindi essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 10.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2018.
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