Risarcimento del danno: concorso colposo del creditore ed eccezioni ex art. 1227 c.c.
Pubblicato il 20/09/18 00:00 [Doc.5157]
di Redazione IL CASO.it


Risarcimento del danno - Concorso colposo del creditore - Esame d'ufficio - Ammissibilità - Ipotesi di cui all'art. 1227, comma 2, c.c. - Natura di eccezione in senso stretto - Sussistenza - Fondamento.

In tema di risarcimento del danno, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (di cui al primo comma dell'art. 1227 c.c.) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacché - mentre nel primo caso il giudice deve procedere d'ufficio all'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso - la seconda di tali situazioni forma oggetto di un'eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede.


Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2018, n. 19218.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente -
Dott. SESTINI Danilo - Consigliere -
Dott. IANNELLO Emilio - rel. Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere -
Dott. PELLECCHIA Antonella - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Messina, in parziale accoglimento dell'appello proposto dalla Nuova Tirrena S.p.A. di Assicurazioni, Riassicurazioni e Capitalizzazioni, ha ridotto l'importo riconosciuto alla società C. & C. S.r.l. a titolo di risarcimento del danno subito dal pullman di proprietà della stessa a seguito di sinistro stradale imputato a responsabilità esclusiva del conducente del pullman della ditta Giuntabus, assicurata dalla predetta compagnia, liquidandolo nell'importo di Euro 8.551 per le riparazioni e nell'ulteriore somma di Euro 14.100 per il danno da fermo tecnico, oltre rivalutazione e interessi compensativi.
Rispetto alla liquidazione operata in primo grado, la Corte ha, tra l'altro, per quel che ancora in questa sede interessa:
- rapportato il danno da fermo tecnico alla minor durata di 60 giorni lavorativi effettivamente necessari per ripristinare il mezzo, escludendo quindi dal computo l'ulteriore periodo di 59 giorni in cui il veicolo è rimasto inutilmente fermo in officina, considerando, agli effetti di cui all'art. 1227 c.c., comma 2, che tale prolungamento avrebbe potuto essere evitato dalla società appellata con gli opportuni solleciti;
- escluso del tutto l'esistenza di un danno risarcibile da deprezzamento del bene (invece liquidato equitativamente dal primo giudice nell'importo di Euro 15.493,71), sulla scorta delle conclusioni in tal senso rassegnate dal c.t.u., avuto riguardo alla immatricolazione del mezzo risalente a ben 13 anni prima del sinistro.
2. Avverso tale decisione C. & C. S.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
L'intimata compagnia d'assicurazioni non svolge difese nella presente sede.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. in relazione alla statuita riduzione del danno da fermo tecnico, in quanto fondata, in applicazione della norma di cui all'art. 1227 c.p.c., comma 2, sul ritenuto concorso del danneggiato all'aggravamento del danno mai eccepito da controparte nè dedotto a fondamento dell'appello.
Rileva che la decisione sul punto viola anche l'art. 115 c.p.c., posto che in atti non è mai stata acquisita alcuna prova dell'omessa effettuazione di solleciti da parte della società danneggiata.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per avere la Corte d'appello determinato il danno da fermo tecnico postulando un costo giornaliero di noleggio di un pullman avente le stesse caratteristiche pari a Euro 235,00, in acritica adesione alle conclusioni del c.t.u., a loro volta sul punto apodittiche, basate sulle mere asserzioni contenute nella perizia di parte avversa e senza dar conto delle allegazioni di essa appellante che, sulla scorta di una consulenza tecnica d'ufficio redatta in analoga causa su incarico del Tribunale di Palermo, all'esito di adeguata indagine di mercato, aveva indicato tale costo in quello di Euro 502,86 più Iva.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia infine violazione o falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione alla ritenuta insussistenza di un danno da deprezzamento del bene.
Lamenta che la Corte d'appello ha omesso di dare risposta alle specifiche critiche formulate alle conclusioni del c.t.u., con riferimento alla formula impiegata per determinare il coefficiente di rivalutazione del mezzo e alla determinazione, all'interno di essa, del numero di ore lavorative presuntivamente impiegate per le riparazioni (dato utilizzato come numeratore).
4. E' fondato il primo motivo di ricorso.
Secondo indirizzo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di risarcimento del danno, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (di cui all'art. 1227 c.c., comma 1) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacchè - mentre nel primo caso il giudice deve procedere d'ufficio all'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso - la seconda di tali situazioni forma oggetto di un'eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede (Cass. 25/05/2010, n. 12714; 02/03/2012, n. 3240).
Nel caso di specie non risulta che una tale eccezione sia stata tempestivamente sollevata e, per vero, la stessa sentenza non la indica nemmeno tra le questioni poste a fondamento del motivo di gravame sul punto proposto dalla compagnia appellante.
Trattasi pertanto di un rilievo officioso di eccezione riservata invece alla parte e sottoposta ai relativi oneri di allegazione e prova, che come tale integra il dedotto error in procedendo.
5. Il secondo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili poichè si risolvono nella riproposizione di critiche alle conclusioni del c.t.u., fatte proprie dal giudice d'appello, sono inammissibili.
La ricorrente richiama implicitamente il principio di diritto espresso da Cass. n. 10688 del 2008, secondo il quale "allorchè ad una consulenza tecnica d'ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte il giudice che intenda disattenderle ha l'obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte (incorrendo, in tal caso, nel vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5)".
Un tale principio non è però in realtà applicabile alla fattispecie in esame, facendo esso riferimento ad una nozione di vizio di motivazione più ampia rispetto a quella attualmente vigente.
Il detto principio esprime peraltro un indirizzo superato già nel 2009, con la sentenza n. 282 del 2009, il cui principio di diritto è stato integralmente richiamato e fatto proprio dalla sentenza n. 1815 del 2015 e da numerose altre successive, secondo cui "il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive" (v. Cass. 09/01/2009, n. 282; 02/02/2015, n. 1815; cui adde tra le più recenti, Cass. 27/12/2017, n. 30953; 29/01/2018, n. 2067; 27/03/2018, n. 7539).
In tale prospettiva, occorrendo rapportare le critiche alle valutazioni espresse dall'ausiliario, la censura si espone al detto rilievo di inammissibilità, dal momento che la ricorrente omette di trascrivere le valutazioni espresse dal c.t.u. in merito alle questioni oggetto di critica, onde non è possibile valutare in questa sede se queste abbiano oppure no natura di mera argomentazione difensiva da considerarsi già implicitamente disattesa (v. tra le tante Cass. n. 26827 del 2017, cit.; 03/6/2016, n. 11482).
Rimane sotto tale profilo non assolto l'onere, posto a pena di inammissibilità della doglianza, imposto dall'art. 366 c.p..c, comma 1, n. 6.
6. E' comunque certamente da escludere che sul punto la sentenza impugnata possa essere tacciata di motivazione omessa o apparente (dedotta con il terzo motivo).
Questa è invero configurabile quando manchi del tutto una motivazione ovvero questa non consenta in nessuna misura di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata mentre non può configurarsi nel caso in cui la dedotta omissione riguardi solo una o alcune delle questioni poste.
Nel caso di specie non può comunque dubitarsi che, anche sul punto, una motivazione esista e che non sia meramente apparente, consentendo la stessa di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata.
7. Il ricorso in definitiva merita accoglimento in relazione al solo primo motivo; la sentenza impugnata va dunque, in tali limiti, cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; rigetta i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d'appello di Messina in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2018.


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