La normativa antimafia di cui al capo secondo della L. n. 55 del 1990 non si applica alle vendite fallimentari
Pubblicato il 01/10/18 00:00 [Doc.5225]
di Redazione IL CASO.it


Fallimento - Liquidazione dell'attivo - Modalità - Applicazione della normativa antimafia - Divieto di intestazione fiduciaria - Applicazione alle vendite fallimentari - Esclusione

La normativa antimafia di cui al capo secondo della L. n. 55 del 1990 fa riferimento a tutti i contratti mediante i quali l'amministrazione si assicura l'esecuzione di lavori e la fornitura di beni e servizi, essendo, questo, il solo ambito applicativo della previsione normativa complessivamente intesa.

Non può dunque sostenersi che detta norma abbia un'estensione applicativa tale da comprendere procedure competitive non contraddistinte dalla funzione, vale a dire procedure non finalizzate all'approvvigionamento di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione, rispetto alle quali (oltre tutto) non rileva l'iscrizione a un particolare Albo.

Ne consegue che l'art. 17, comma 3, della L. 19 marzo 1990, n. 55, in tema di divieto di interposizione fiduciaria nei pubblici appalti, non si applica alle procedure competitive di vendita svolte in ambito fallimentare regolate dall'art. 107 legge fall.


Cass. civ. sez. I, 24 settembre 2018, n. 22472.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio - Presidente -
Dott. TERRUSI Francesco - rel. Consigliere -
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - Consigliere -
Dott. VELLA Paola - Consigliere -
Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Svolgimento del processo
1. - La L. s.r.l. propose reclamo ai sensi della L. Fall., art. 26 nei confronti del decreto col quale il giudice delegato al fallimento di (*) s.r.l., disponendo l'aggiudicazione in suo favore di un complesso immobiliare della fallita al prezzo di Euro 2.400.000,00, aveva ordinato al curatore fallimentare di richiedere alla locataria G. s.r.l. se intendesse esercitare il diritto di prelazione riconosciuto nell'ordinanza di vendita. Dedusse, per quanto in effetti ancora rileva, l'illegittimità della procedura di vendita per la parte attinente alla partecipazione della società G., con conseguente illegittimità dell'esercizio della prelazione da parte sua, poichè era stato violato la L. n. 55 del 1990, art. 17, comma 3, in tema di divieto di interposizione fiduciaria nei pubblici appalti, visto che tra i soci della G. s.r.l. compariva la Monte Paschi Fiduciaria s.p.a. con quota pari all'80 % del capitale.
1.1. - Il tribunale di Napoli respinse il reclamo, reputando il divieto in oggetto giustificato nella prospettiva dell'appalto pubblico, ma non applicabile alle procedure competitive di vendita svolte in ambito fallimentare.
1.2. - Avverso il decreto del tribunale, depositato il 30-5-2014, la società L. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un unico mezzo, al quale hanno replicato con distinti controricorsi il Fallimento di (*) s.r.l. e la società G., quest'ultima proponendo a sua volta un motivo di ricorso incidentale nel capo afferente la disposta compensazione delle spese processuali.
2. - Nel frattempo la G., che aveva esercitato la prelazione rendendosi così aggiudicataria definitiva del medesimo complesso immobiliare giusta decreto 29-4-2014 del giudice delegato, proponeva reclamo ai sensi della L. Fall., 26 nei confronti dell'ulteriore provvedimento in data 16-9-2014 col quale il medesimo giudice delegato aveva sospeso l'emissione del decreto di trasferimento, in ragione della pendenza del menzionato ricorso per cassazione da parte di L. s.r.l.
2.1. - Il tribunale di Napoli rigettava il reclamo, ritenendo consentito al giudice delegato sospendere l'efficacia dei propri provvedimenti in pendenza del procedimento L. Fall., ex art. 26, e ritenendo altresì giustificata, nella specie, la sospensione dell'emissione del decreto di trasferimento per la ricorrenza di gravi motivi rilevanti à sensi della L. Fall., art. 108; motivi segnatamente dedotti dalla pendenza del ricorso per cassazione avverso il provvedimento col quale era stato consentito a G. s.r.l. di esercitare la prelazione e di rendersi quindi a sua volta aggiudicataria.
2.2. - Anche il citato decreto del tribunale di Napoli, depositato il 191-2015, è stato impugnato per cassazione, questa volta da parte della società G., la quale ha articolato cinque motivi ai quali la L. s.r.l. ha replicato con controricorso.
3. - Le cause, inizialmente avviate alla trattazione in camera di consiglio (con deposito di memorie di parte ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c.), sono state in ultimo fissate in pubblica udienza.
L. s.r.l. ha depositato un'ulteriore memoria in entrambe le cause, ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione
1. - I ricorsi vanno riuniti per connessione. Quello proposto da L. s.r.l. è infatti pregiudiziale, perchè alla sua sorte è legata la persistenza dell'interesse a impugnare il secondo provvedimento da parte della società G.
2. - Il ricorso proposto da L. s.r.l. nei confronti del decreto del tribunale di Napoli in data 30-5-2014 è tuttavia inammissibile, perchè inteso a denunziare il vizio di motivazione del provvedimento in relazione a una questione giuridica, quale indubbiamente è quella che concerne l'ambito applicativo della L. 19 marzo 1990, n. 55, art. 17, comma 3, in rapporto alle vendite fallimentari.
Questa Corte è ferma nel considerare che il vizio di motivazione, riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l'interpretazione o l'applicazione di norme giuridiche. In questo secondo caso, che invece ricade nella previsione dell'art. 360 c.p.c., n. 3, il vizio di motivazione in diritto non possiede alcun rilievo e dunque non può essere oggetto di censura in sè e per sè: se il giudice del merito ha deciso correttamente le questioni di diritto sottoposte al suo esame, ancorchè supportando la decisione con argomentazioni inadeguate o anche senza motivazione di sorta, l'erroneità (o la mancanza) della motivazione è rimediabile mediante l'esercizio del potere correttivo di cui all'art. 384 c.p.c. (cfr. ex multis Cass. n. 11883-03, Cass. n. 13358-04, Cass. n. 3038/05, Cass. n. 13435-06; e v. pure Cass. Sez. U n. 21702-04, Cass. n. 26292-14 e via seguitando).
Tanto sta a significare che, se si ritengano esistenti errori di diritto, proprio tali errori - e non un ipotetico vizio motivazionale - vanno denunziati in cassazione, sul versante della violazione ovvero su quello della falsa applicazione di norme o principi.
3. - Ciò nondimeno la Corte reputa di esaminare egualmente, ai sensi dell'art. 363 c.p.c., la questione giuridica sottesa, considerata l'importanza della stessa sul piano pratico, per le potenziali ricadute nel settore delle vendite fallimentari e posto che su di essa non si registrano precedenti.
La questione può essere sintetizzata nell'assunto di parte ricorrente secondo il quale la L. 19 marzo 1990, n. 55, art. 17, comma 3, andrebbe ritenuto espressivo di un principio generale, secondo il quale ogni volta che siano coinvolti interessi di carattere collettivo, le procedure pubbliche - e quindi anche quelle cd. competitive in ambito fallimentare - andrebbero uniformate ai criteri di trasparenza che consentano di individuare i soggetti che si rendano cessionari di beni o diritti. Donde - si sostiene - l'obbligo di comunicazione a carico di società fiduciarie circa l'identità dei fiducianti andrebbe ritenuto di valenza generale, non solo nei casi di partecipazione a pubblici appalti ma in quelli afferenti a qualunque procedura di evidenza pubblica.
4. - La tesi della ricorrente non è fondata.
La L. n. 55 del 1990, art. 17 - abrogato dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 256 con decorrenza 1° luglio 2006, ma ancora potenzialmente rilevante nella specie per quanto infra - è fondamentalmente inteso a disciplinare la partecipazione alle procedure di pubblico appalto delle imprese singole nonchè (e soprattutto) dei consorzi e dei raggruppamenti temporanei d'imprese. In tale contesto l'art. 17, comma 1, prevede che "per l'esecuzione di opere e lavori di competenza di amministrazioni, enti pubblici e società a prevalente capitale pubblico o che comunque derivino da una qualsiasi forma di convenzionamento con soggetti privati, fino all'integrale recepimento delle direttive comunitarie in materia di contratti per l'esecuzione di opere pubbliche ed in attesa della disciplina organica dei sistemi di aggiudicazione di opere pubbliche, si applicano le disposizioni di cui all'art. 18"; le quali giustappunto presuppongono la possibilità di presentare offerte o comunque di partecipare a gare per gli appalti di opere o lavori pubblici per i cui importi e categorie sono iscritte all'Albo nazionale dei costruttori "le imprese singole, ovvero associate o consorziate, ai sensi della normativa vigente", con conseguente applicazione delle specifiche norme dettate dai susseguenti commi del citato articolo.
L'art. 17, in particolare, si inscrive all'interno della specifica ratio alla quale, nella materia degli appalti pubblici, sono rispettivamente informate la tradizionale disciplina pubblicistica e la normativa comunitaria. Tale ratio dal primo punto di vista, sin dalle originarie previsioni della contabilità di stato, si palesa rivolta a tutelare la pubblica amministrazione, avvinta dalla necessità di un perseguimento effettivo dell'interesse pubblico, con correlata spendita economica del danaro pubblico e conseguente scelta del miglior contraente; mentre, dal secondo punto di vista, si muove nel solco della tutela della concorrenza, in ragione della quale il favore comunitario per le imprese in forma associata o i raggruppamenti temporanei d'imprese viene ritenuto in generale connesso alla loro funzione latamente antimonopolistica. E' per lo più condivisa l'affermazione che, in presenza di appalti di rilevanti dimensioni, proprio la formula dei raggruppamenti d'impresa consente l'alleanza temporanea di imprese medio-piccole, e dunque la loro partecipazione alle gare altrimenti riservate alle imprese più grandi, che finirebbero così per rafforzare oltre misura la loro posizione dominante nel mercato di riferimento.
In siffatto ambito si collocano le specifiche disposizioni dettate dall'art. 17, comma 3, a proposito della trasparenza dell'attività in materia di appalti pubblici. E' invero previsto che nello stesso termine di cui al comma 2 (vale a dire entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge) "con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del tesoro, d'intesa con il Ministro dei lavori pubblici, sono altresì, definite disposizioni per il controllo sulle composizioni azionarie dei soggetti aggiudicatari di opere pubbliche, ivi compresi i concessionari, e sui relativi mutamenti societari"; e con lo stesso decreto "sono comunque vietate intestazioni ad interposte persone, di cui deve essere comunque prevista la cessazione entro un termine predeterminato, salvo le intestazioni a società fiduciarie autorizzate ai sensi della L. 23 novembre 1939, n. 1966, a condizione che queste ultime provvedano, entro trenta giorni dalla richiesta effettuata dai soggetti aggiudicatari, a comunicare alle amministrazioni interessate l'identità dei fiducianti; in presenza di violazioni delle disposizioni del presente comma, si procede alla sospensione dall'Albo nazionale dei costruttori o, nei casi di recidiva, alla cancellazione dall'Albo stesso".
5. - Occorre adesso rammentare che, ratione temporis, viene in rilievo il D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, contenente il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, e in particolare l'art. 38 di tale codice (più volte modificato e infine abrogato dall'attuale D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 217).
Secondo il citato art. 38: "1. Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, nè possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti (.): d) che hanno violato il divieto di intestazione fiduciaria posto alla L. 19 marzo 1990, n. 55, art. 17".
In stretta correlazione con la norma richiamata, il D.P.C.M. 11 maggio 1991, n. 187, art. 1 prevede l'obbligo di comunicare all'amministrazione committente o concedente prima della stipula del contratto la composizione societaria.
6. - Tale essendo il quadro normativo di riferimento, si deve alla giurisprudenza amministrativa l'affermazione - da condividere in questa sede - secondo la quale il divieto di intestazione fiduciaria di cui alla L. n. 55 del 1990, art. 17, comma 3, ha la funzione di impedire in assoluto la partecipazione alle pubbliche gare di società fiduciarie che non siano autorizzate ai sensi della L. n. 1966 del 1939, e di imporre a tali società fiduciarie, comunque autorizzate, l'obbligo di comunicare all'Amministrazione committente o concedente, prima della stipula del contratto o della convenzione, la propria composizione societaria (cfr. C. Stato n. 264-11). Ciò per evidenti esigenze di trasparenza e soprattutto di prevenzione di fenomeni criminosi legati anche all'utilizzo di siffatte società in rapporto ai contratti con la pubblica amministrazione (v. C. Stato n. 5279-12). Donde il principio per cui la normativa antimafia di cui al capo secondo della L. n. 55 del 1990 - sotto il quale sono rubricati gli art. 17 e 18 - ha a riferimento tutti i contratti mediante i quali l'amministrazione si assicura l'esecuzione di lavori e la fornitura di beni e servizi (in proposito, C. Stato n. 4010-02).
7. - Come peraltro ben si trae dalla disciplina sanzionatoria afferente, quello indicato (vale a dire quello dei contratti con la pubblica amministrazione volti ad assicurare l'esecuzione di lavori e la fornitura di beni e servizi) è anche il solo ambito applicativo della previsione normativa complessivamente intesa. Il che emerge, oltre che dalla riferita ratio, anche dalla sanzione per la ravvisata esistenza di violazioni delle disposizioni citate: sanzione costituita dalla sospensione dell'impresa dall'Albo nazionale dei costruttori o, nei casi di recidiva, dalla cancellazione dall'Albo stesso.
Ne segue che non può sostenersi che la norma abbia un'estensione applicativa tale da comprendere procedure competitive non contraddistinte dalla funzione, vale a dire procedure non finalizzate all'approvvigionamento di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione, rispetto alle quali (oltre tutto) non rileva l'iscrizione a un particolare Albo.
8. - L'inapplicabilità della disposizione alle procedure di vendita in sede fallimentare è del resto sorretta dalla affatto specifica differente finalizzazione delle procedure competitive.
Nel caso del fallimento, viene in considerazione il programma di liquidazione previsto dalla L. Fall., art. 104-ter, atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità e ai termini previsti per la realizzazione dell'attivo nel quale si devono individuare le modalità di vendita dei singoli cespiti e prevedere se si ritenga possibile cedere l'intera azienda o singoli rami di azienda in blocco.
Ebbene le vendite devono essere effettuate secondo modalità competitive (L. Fall., art. 107), e può essere previsto che vi provveda il giudice secondo le disposizioni del codice di rito civile in materia di esecuzione individuale.
L'elemento qualificante della prevista modalità di vendita è che essa, salvo il caso di beni di modesto valore, avvenga sulla base "di stime effettuate (.) da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati".
Il criterio guida è dunque ben diverso da quello caratterizzante l'ambito dei contratti con la pubblica amministrazione, e si rinviene nella necessità di perseguire il fine di convenienza economica della vendita stessa in rapporto al soddisfacimento dei creditori, da apprezzare avendo riguardo alla presumibile entità del realizzo al netto delle spese di conservazione e di vendita. Questa regola è attenuata solo nella liquidazione di aziende socialmente rilevanti, ove il criterio viene temperato dall'esigenza di conservazione dell'azienda in funzione del mantenimento dei livelli occupazionali (L. Fall., art. 105 in relazione all'ambito delle consultazioni sindacali relative al trasferimento d'azienda).
9. - Per quanto suggestivo, non può seguirsi neppure l'assunto della ricorrente finalizzato a sorreggere l'ipotizzata estensione della disciplina dettata dalla L. n. 55 del 1990, art. 17 con l'esigenza di individuazione del soggetto aggiudicatario nella vendita forzosa, per il divieto di partecipazione del debitore alla gara desunto dagli artt. 571 e 579 c.p.c.
Sia per la vendita senza incanto (art. 571) che per quella con incanto (art. 579) il codice di rito vieta al debitore di fare offerte per l'acquisto dell'immobile assoggettato a esecuzione.
Tuttavia ciò non costituisce argomento sufficiente per affermare il divieto di partecipazione alle offerte da parte di società fiduciarie, nè l'obbligo di comunicazione della compagine societaria ove alla vendita la società fiduciaria intenda prender parte.
Entrambe le previsioni del codice di rito, inibendo al debitore la legittimazione di fare offerte, hanno carattere di norma eccezionale, donde non possono trovare applicazione rispetto ad altri soggetti in esse non considerati, a meno che non ricorra un'ipotesi di interposizione fittizia o si configuri, in caso di accordo fra debitore esecutato e terzo da lui incaricato di acquistare per suo conto l'immobile, un negozio in frode alla legge. E questa Corte ha già affermato (con specifico riferimento all'art. 579 c.p.c.) che a più forte ragione le dette disposizioni non sono applicabili ove l'offerta provenga da una società di capitali, avuto riguardo alle complesse formalità di organizzazione e di attuazione che la caratterizzano, agli effetti che la pubblicità legale persegue e considerato che gli istituti dell'autonomia patrimoniale e della distinta personalità giuridica della società di capitali rispetto ai soci comportano la esclusione della riferibilità a costoro del patrimonio, anche nella ipotesi in cui uno dei soci possa essere considerato socio di larga maggioranza (v. Cass. n. 11258-07).
La conseguenza è che ogni questione incidente sul divieto di partecipazione alla vendita del debitore esecutato (o del fallito) va infine risolta all'interno del distinto tema dell' abuso della personalità giuridica, senza possibilità di ingresso a forzate estensioni di previsioni di segno diverso, implicanti - a tutt'altri fini - obblighi di comunicazione e/o impedimenti a gare di appalto.
10. - Nell'interesse della legge va quindi affermato il seguente principio: "la L. 19 marzo 1990, n. 55, art. 17, comma 3, in tema di divieto di interposizione fiduciaria nei pubblici appalti non si applica alle procedure competitive di vendita svolte in ambito fallimentare".
11. - Il ricorso incidentale della G. s.r.l. è infondato.
Tenuto conto della motivazione complessiva del provvedimento è possibile affermare che la decisione di compensare le spese per "giuste ragioni di equità" abbia avuto implicito fondamento nella complessità (oltre che nella novità) della questione giuridica affrontata. E in questa prospettiva l'apprezzamento non è sindacabile ed è anzi da condividere pienamente.
12. - Il ricorso riunito, autonomamente proposto dalla G. s.r.l., aggiudicataria definitiva, avverso la decisione di sospensione, va dichiarato inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse, attesa l'inammissibilità del ricorso della società L., al cui esito è stata ancorata la sospensione del trasferimento.
13. - Le spese processuali, considerata la assoluta novità della questione di diritto, debbono essere interamente compensate.
La G. s.r.l. non è tenuta, per il secondo ricorso, al pagamento del doppio del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Difatti la citata previsione ha la finalità di scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose, donde il meccanismo sanzionatorio, certamente applicabile per l'inammissibilità originaria del ricorso per cassazione, non pertiene all'inammissibilità per sopravvenuto difetto di interesse (cfr. Cass. n. 13636-15).

P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile quello di L. s.r.l. iscritto al n. 21418-14 r.g. e rigetta il ricorso incidentale; dichiara inammissibile quello di G. s.r.l. iscritto al n. 8115-15; compensa interamente le spese processuali.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il solo primo ricorso, da ciascuna proposto al n. 21418-14.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 21 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2018.


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