Licenziamento disciplinare – Giusta causa - Permesso per l’assistenza di persone con handicap – Utilizzo per soddisfare proprie esigenze personali – Abusività- Giusta causa - Sussistenza
Pubblicato il 28/05/15 09:42 [Doc.540]
di Redazione IL CASO.it


CASSAZIONE CIVILE – SEZIONE LAVORO – SENTENZA 8784/2015, DEPOSITATA IN DATA 30 APRILE 2015.

Segnalazione e massima a cura di Fabrizio Daverio - Studio Daverio & Florio

Licenziamento disciplinare – Giusta causa - Permesso per l’assistenza di persone con handicap – Utilizzo per soddisfare proprie esigenze personali – Abusività- Giusta causa - Sussistenza
È legittimo il licenziamento disciplinare del lavoratore che usufruisce del permesso per assistere il genitore disabile per partecipare a una serata danzante. La condotta del lavoratore implica un disvalore sociale giacché il lavoratore usufruisce di permessi per l’assistenza a portatori di handicap per soddisfare le proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sull’intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda e i compagni di lavoro chiamati a sostituirlo e ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa

Nota
La Suprema Corte è tornata ad occuparsi di un caso riguardante la fruizione abusiva, da parte di un dipendente, dei permessi retribuiti per assistenza a disabili.
La sentenza in commento ribadisce e consolida l’orientamento che ravvisa la compromissione del rapporto fiduciario e la giusta causa di recesso nel caso del dipendente che, richiesti i suddetti permessi, li utilizza per finalità diverse rispetto a quelle stabilite dalla legge.
La vicenda in esame riguardava il caso di un dipendente licenziato “per aver, durante la fruizione del permesso, per assistere la madre disabile grave, partecipato ad una festa danzante”.
La Corte di Cassazione nel decidere la controversia ha ritenuto perfettamente legittime le argomentazioni della Corte del merito (la quale aveva riformato la sentenza emessa nel giudizio di primo grado).
In primo luogo la Corte ha osservato come ciò che doveva ritenersi rilevante non era tanto «il tipo di assistenza che il sig. * doveva fornire alla propria madre handicappata, quanto piuttosto la circostanza che il lavoratore aveva chiesto un giorno di permesso retribuito … per “dedicarsi a qualcosa che nulla aveva a che vedere con l’assistenza».
Secondo la Corte, infatti, il dipendente «aveva usufruito di una parte di questo permesso per finalità diverse da quelle a cui il permesso mirava, giacche, essendo il permesso richiesto finalizzato all’assistenza di persona portatrice di handicap, egli non poteva chiedere il predetto permesso per altra finalità del tutto estranea all’assistenza»;
La Suprema Corte ha confermato che un simile comportamento «implicava un disvalore sociale giacché il lavoratore aveva usufruito di permessi per l’assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa»;
Da ultimo la Cassazione ha fatto proprio l’assunto della Corte territoriale secondo cui «proprio per gli interessi in gioco, l’abuso del diritto, nel caso di specie, era particolarmente odioso e grave ripercuotendosi senz’altro sull’elemento fiduciario trattandosi di condotta idonea a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti».
Fermo quanto sopra (che rappresenta, come detto, una conferma di un precedente orientamento) la pronunzia in oggetto presenta un contenuto “innovativo” laddove afferma che, ai fini della configurabilità del recesso per giusta causa, non occorre la prova che il dipendente abbia del tutto omesso l’assistenza, bensì può ritenersi sufficiente la prova della fruizione “di una parte oraria del permesso in esame per finalità diverse da quelle per il quale il permesso è stato riconosciuto”.


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