Contratti di swap e applicazione della disciplina sul diritto di recesso per i contratti stipulati fuori sede
Pubblicato il 05/11/18 00:00 [Doc.5413]
di Redazione IL CASO.it


Corte di Appello di Torino Sezione I, sentenza - Collegio: presidente dott.ssa Renata Silva relatore dott.ssa Tiziana Maccarone , consigliere dott. Marco Leone Coccetti;

Avv. Massimiliano Elia partner Leading Law

Contratti derivati swap - Nullità del contratto swap ex art.30 tuf - art. 56-quater comma 1, del D.L. 21 giugno 2013, n. 69

Sulla scorta della pronuncia delle SS. UU. la disciplina del diritto di recesso si applica non soltanto alle operazioni compiute nell'ambito della prestazione di un servizio di collocamento in senso proprio, ma anche a qualsiasi altra ipotesi in cui l'intermediario venda fuori sede strumenti finanziari ad investitori al dettaglio, sia pure nell'espletamento di un servizio d'investimento diverso.

Le SS. UU. hanno quindi utilizzato il termine "collocamento" di cui all'art. 30 del tuf in senso ampio, come sinonimo di atto negoziale mediante il quale lo strumento finanziario viene fatto acquisire al cliente e quindi inserito nel suo patrimonio o nel suo portafoglio, a prescindere dalla tipologia del servizio d'investimento che abbia dato luogo a tale operazione. Dunque, la disciplina del recesso riguarda i singoli rapporti negoziali in base ai quali, di volta in volta, l'investitore si trova a sottoscrivere uno strumento finanziario offertogli

Alla luce di tale arresto, per molti aspetti innovativo, l'art. 30 del Tuf può certamente essere applicato anche alla fattispecie in esame (che non rappresenta un servizio di collocamento in senso stretto ma un servizio di investimento diverso, ove la Banca si pone come controparte diretta del cliente nella negoziazione dello strumento finanziario), dovendo darsi a detta disposizione un'interpretazione la più ampia possibile a tutela dell'investitore.

Con riferimento all'art. 56-quater, comma 1, del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, la modifica apportata da tale norma non rileva nel caso di specie, e ciò in quanto la valenza retroattiva ed interpretativa della norma è stata già esclusa dalla Suprema Corte (cfr. Cfr. Cass. Civ., sez. III, 03 Aprile 2014, n. 7776, confermata dalla Cass.1368/2016): nell'esercizio della propria funzione di nomofiliachia, la Cassazione ha motivatamente escluso la possibilità di ritenere l'art. 56 quater richiamato come norma di interpretazione autentica, evidenziando come a tale qualificazione osti una lettura costituzionalmente orientata dalla norma stessa con riferimento all'art. 47 Cost., comma I nella parte in cui introdurrebbe un regime di favore per gli istituti di credito i quali abbiano stipulato contratti di negoziazione fuori sede prima del 1.09.2013.

Per quanto concerne il citato art. 56-quater del decreto del fare, e la possibilità o meno che possa configurarsi quale norma di interpretazione autentica, la Corte Costituzionale (sentenza 7-11 giugno 2014, n. 168) ha avuto modo di chiarire che "il legislatore può porre norme che retroattivamente precisino il significato di altre norme preesistenti, ovvero impongano una delle possibili varianti di senso del testo originario, purché compatibile con il tenore letterale di esso"; si è inoltre precisato che "in tali casi il problema da affrontare riguarda non tanto la natura della legge, quanto piuttosto i limiti che la sua portata retroattiva incontra alla luce del principio di ragionevolezza rispetto di altri valori ed interessi costituzionalmente protetti".

Riguardo a questi ultimi, "l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica - essenziale elemento dello Stato di diritto - non può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori".

È dunque evidente che indipendentemente dalla autodefinizione di norma di interpretazione autentica (che peraltro sembra mancare nella documentazione relativa alla conversione del decreto del fare, cfr. dossier del Servizio Studi sull'A.S. n. 974, disponibile sul sito Istituzionale del Senato della Repubblica Italiana), quello che manca è la retroattività della norma (almeno per parte di essa): quest'ultima infatti si limita a stabilire che lo ius poenitendi è esteso "per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 [...] anche ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a)" (e cioè alla negoziazione in conto proprio).
Il che non implica una efficacia sanante per i contratti, che non prevedono il diritto di recesso per l'investitore, stipulati prima della suddetta data.


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