Sequestro penale di azienda e liquidazione del compenso al custode ausiliario giudiziale
Pubblicato il 26/11/18 00:00 [Doc.5531]
di Redazione IL CASO.it


Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2018, n. 29903

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice - Presidente -
Dott. GUIDO Federico - Consigliere -
Dott. CARRATO Aldo - rel. Consigliere -
Dott. ABETE Luigi - Consigliere -
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Svolgimento del processo
Con ricorso depositato presso il Tribunale civile di Brescia e ritualmente notificato alle controparti, i dottori commercialisti C.S. ed G.E. proponevano opposizione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 e nelle forme previste dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, avverso il decreto del Tribunale di Brescia - prima sezione penale emesso il 9-22/10/2013, con il quale, in relazione alla richiesta di liquidazione del compenso finale per l'attività svolta in qualità di curatori delle aziende sequestrate di cui al procedimento penale rubricato al n. R.G. 2680/2012 Mod. 16 dello stesso Tribunale, era riconosciuta in loro favore la soma somma di Euro 1.545,78, a titolo di spese di trasferta, nel mentre l'istanza era per il resto integralmente respinta.
Il Tribunale adito, nella costituzione delle parti controinteressate, con ordinanza adottata ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c., in data 12 agosto 2014, previa valutazione dell'ammissibilità in rito (sul piano della tempestività) della formulata opposizione e definita, in via preliminare, l'attività professionale svolta dai due opponenti come riconducibile a quella di controllo di conformità degli atti assunti dagli amministratori delle società delle tre aziende sottoposte a sequestro conservativo, accoglieva per quanto di ragione l'avanzata opposizione.
In primo luogo, il giudice designato riteneva che non potevano essere più contestate le liquidazioni parziali di volta in volta operate con i provvedimenti antecedenti a quelli oggetto di opposizione, siccome non impugnati nei termini di legge, anche se non poteva ravvisarsi come giustificato il totale rigetto dell'istanza di liquidazione proposta il 3 luglio 2013, dal momento che sulla stessa occorreva provvedere quantomeno per il periodo non coperto dalle liquidazioni pregresse, ovvero per l'intervallo temporale decorrente dal 3 dicembre 2010 e fino alla data di chiusura delle operazioni coincidente con quella dei sopravvenuti dissequestri di ciascuna delle aziende.
Ciò premesso, lo stesso giudice rilevava che, ai fini della liquidazione dell'invocato compenso, si sarebbe dovuto ritenere che l'attività prestata dai due predetti ausiliari giudiziali rientrava nell'ambito di quella di custodia disciplinata dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58 e che la conseguente quantificazione avrebbe dovuto essere effettuata secondo il criterio equitativo, richiamando - ma solo in via parametrica (e non con sua applicazione diretta) il disposto del D.P.R. n. 645 del 1994, art. 29, con i necessari temperamenti da ricollegarsi alla natura pubblica della funzione svolta dagli opponenti.
Pertanto, il medesimo giudice dichiarava l'ammissibilità dell'opposizione avverso il decreto di liquidazione limitatamente al riconoscimento della spettanza dei richiesti compensi in ordine al periodo compreso tra il 3 dicembre 2010 e la data di chiusura delle operazioni e, con riferimento alla conseguente liquidazione da quantificare secondo i criteri precedentemente richiamati, disponeva c.t.u..
Avverso la suddetta ordinanza resa ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c., proponevano ricorso per cassazione - in virtù dell'art. 111 Cost., comma 7 e dell'art. 361 c.p.c. - C.S. e G.E., articolato in due complessi motivi, al quale resistevano con autonomi controricorsi la Faeco s.r.l., la Becker Italia s.r.l. in liquidazione e la Ferriera Valsabbia s.p.a., mentre l'intimato Ministero della Giustizia non svolgeva attività difensiva.
Successivamente al deposito della relazione del c.t.u. nominato con la predetta ordinanza del 12 agosto 2014 (oggetto del precedente ricorso per cassazione), lo stesso Tribunale di Brescia, con altra conseguente ordinanza del 7 giugno 2016, dopo aver richiamato il contenuto del pregresso provvedimento e riconfermate le ragioni addotte a sostegno del rigetto della richiesta di sospensione del giudizio in attesa della decisione di questa Corte in relazione al suddetto ricorso per cassazione (iscritto al n. R.G. 23975/2014), pronunciando in via definitiva sull'opposizione avanzata da C.S. e G.E., in parziale accoglimento della stessa, condannava il Ministero della Giustizia a corrispondere, in favore degli stessi opponenti, in solido e a titolo complessivo, la somma di Euro 109.591,81, oltre interessi al tasso legale dalla data della istanza di liquidazione al saldo, nonchè alla rifusione delle spese di lite e di quelle occorse per l'espletamento della stessa c.t.u. (quantificate come da separato decreto), compensando le spese giudiziali relative agli altri rapporti processuali instauratisi a seguito della proposta opposizione.
A fondamento di questa seconda ordinanza il giudice bresciano riteneva che fossero condivisibili le valutazioni compiute dal c.t.u. nella parte in cui si era motivatamente assegnata all'attività svolta dai due professionisti una rilevanza che non giustificava l'attribuzione del diritto ad un compenso eccedente quello minimo, da abbattere congruamente nella misura della metà, senza il riconoscimento del compenso aggiuntivo di cui al D.P.R. n. 645 del 1994, art. 19 (non sussistendone i presupposti).
Anche avverso questa ulteriore ordinanza proponevano ricorso per cassazione i predetti Dottori C.S. ed G.E., articolato in tre complessi motivi, avverso il quale hanno resistito con distinti controricorsi (contenenti, a loro volta, ricorso incidentale) la Faeco s.r.l. e la Ferriera Valsabbia s.p.a., mentre la Becker Italia s.r.l. in liquidazione e il Ministero della Giustizia si sono costituiti depositando soltanto controricorso.
I ricorrenti principali hanno, inoltre, depositato - ai sensi dell'art. 371 c.p.c., comma 4 - controricorso ai ricorsi incidentali formulati nell'interesse della Ferriera Valsabbia s.p.a. e della Faeco s.r.l..
La difesa della s.r.l. Faeco ha anche depositato memoria illustrativa ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
1. Rileva il collegio che deve ravvisarsi, in via pregiudiziale, l'ammissibilità del formulato ricorso incardinato correttamente dinanzi a questa Sezione civile (cfr. Cass. Sez. U. n. 19161/2009 e Cass. n. 15813/2010, ord. interloc.) siccome proposto avverso un'ordinanza (da ritenersi autonoma ancorchè conseguente ad altra riguardante gli aspetti inerenti all'an debeatur della pretesa) riferita alla definizione di una controversia di opposizione prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 e disciplinata dal rito contemplato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, il cui ultimo comma stabilisce l'inapplicabilità del regime impugnatorio dell'appello con la conseguente sottoposizione anche di tale ricorso al rimedio del ricorso straordinario per cassazione di cui all'art. 111 Cost., comma 7 (cfr., per riferimenti, Cass. n. 7699/2014).
2. Ciò premesso, si osserva che, con il primo motivo, i ricorrenti principali hanno dedotto - ponendo riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione dell'art. 65 c.p.c., nonchè la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell'art. 321 c.p.p., artt. 104 e 104-bis disp. att. c.p.p. e art. 259 c.p.p., oltre alla violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4).
3. Con la seconda doglianza gli stessi ricorrenti principali hanno prospettato avuto sempre riguardo all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione del D.P.R. n. 645 del 1994, artt. 27 e 29 e della L. n. 575 del 1965, art. 2-octies, comma 4 e succ. modif. e integr., oltre alla violazione dell'art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4).
4. Con il terzo motivo i medesimi ricorrenti principali hanno dedotto - con riferimento alla liquidazione disposta in concreto con il provvedimento impugnato e sempre in ordine all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 645 del 1994, art. 29, nonchè degli artt. 114, 115, 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., b. 4 e art. 195 c.p.c..
In particolare, con tale doglianza, la difesa dei ricorrenti principali ha inteso censurare l'ordinanza impugnata nella parte in cui - pur essendo stato individuato il parametro di riferimento per il pagamento dei compensi al custode nel D.P.R. n. 645 del 1994, art. 29 (che prevede un range tra il minimo ed il massimo del valore dei beni o, se trattasi di aziende, dell'attivo lordo risultante dalla situazione patrimoniale) - sul relativo importo erano stati disposti ulteriori illegittimi abbattimenti siccome fondati sull'erroneo presupposto che l'attività svolta da essi curatori nel periodo dedotto in controversia, per le società Faeco, Ferriera Valsabbia e Becker Italia, fosse circoscritta alla mera custodia, in contrasto con quanto emergente dalla documentazione processuale.
5. La Faeco s.r.l. ha proposto ricorso incidentale basato su due motivi.
5.1. Con il primo motivo ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., art. 2697 c.c., art. 702 bis c.p.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15 e D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, oltre che con riferimento all'art. 101 e 111 c.p.c., avuto riguardo alla supposta illegittimità dell'impugnata ordinanza nella parte in cui ha dichiarato ammissibile e valutato, ai fini della decisione, la documentazione tardivamente depositata (e, perciò, inammissibile) dai ricorrenti principali in sede di ammissione ed espletamento della c.t.u. nel corso del procedimento di opposizione.
5.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la Faeco s.r.l. ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell'art. 265 c.p.p., artt. 100, 11, 90 e 91 c.p.c., oltre che dell'art. 53 disp. att. c.p.c., del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 280, anche con riferimento all'art. 163 c.p.c., comma 3, n. 3), posto che essa società non avrebbe dovuto rivestire la qualità di controinteressata nel procedimento oppositivo (non essendo, peraltro, nè parte nè imputata nel processo penale, in cui erano stato coinvolte le sole persone fisiche), spettando il ruolo di parte passivamente legittimata al solo Ministero della Giustizia.
6. Con l'unico motivo di ricorso incidentale la Ferriera Valsabbia s.p.a. ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 100 c.p.c., nonchè del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 150, 154, 155, 205, 299 e 302, oltre che dell'art. 535 c.p.p., per assunta violazione del principio della soccombenza e delle norme regolanti la legittimazione passiva nel giudizio di opposizione instaurato ai sensi del citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170.
7. I primi due motivi proposti con il ricorso principale - esaminabili congiuntamente siccome tra loro connessi - sono fondati nei sensi di cui in appresso.
Il Tribunale di Brescia, adito in sede di opposizione, ha escluso - adottando una motivazione obiettivamente apparente - che l'incarico conferito ai due ausiliari giudiziari, sulla scorta della documentazione acquisita in atti, avesse implicato anche l'espletamento di un'attività di amministrazione attiva o sostitutiva, oltre che meramente conservativa, delle tre aziende sottoposte a sequestro preventivo e, sulla base di tale presupposto, ha riconosciuto ai due attuali ricorrenti principali i compensi riconducibili all'attività di mera custodia, provvedendo alla liquidazione degli stessi (oltretutto ponendo illegittimamente riferimento al solo periodo non coperto dalle liquidazioni pregresse riconosciute a titolo di anticipazioni) applicando le correlate indennità computate secondo i criteri stabiliti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58, ancorchè con il richiamo, ma solo in via parametrica e secondo equità, del D.P.R. n. 645 del 1994, art. 29 (ma non procedendosi alla sua diretta applicazione).
A tal proposito il giudice bresciano ha completamente omesso di considerare anche in base alla necessaria (ed, invece, obliterata) valorizzazione del provvedimento di nomina dei due ausiliari in sede penale (laddove essi erano stati nominati anche amministratori giudiziari delle aziende assoggettate a sequestro preventivo) - l'effettiva natura ed entità del complessivo incarico attribuito ai predetti, limitandolo alla sola attività di custodia, per poi, contraddittoriamente (e, quindi, in modo perplesso ed antitetico), sostenere (v. pag. 2 dell'ordinanza impugnata) che tale attività aveva ricompreso anche l'assunzione di determinazioni in via sistematica che si erano sostanziate in controlli di conformità degli atti adottati dagli amministratori delle società titolari delle tre aziende sottoposte a sequestro preventivo, con frequenza anche delle riunioni dei Consigli di amministrazione, il tutto in un'ottica finalizzata all'efficace svolgimento di un'opera di controllo preventivo finalizzato ad impedire che dall'esercizio delle tre imprese potesse derivare il rischio della commissione di ulteriori reati della medesima indole di quelli per i quali già si procedeva e per evitare che la prosecuzione di questi ultimi potesse provocare ulteriori danni.
Da questo accertamento - ancorchè sommario - sembrerebbe da escludersi che l'incarico assegnato ai due ausiliari sia consistito nella sola custodia delle aziende assoggettate a sequestro, essendosi concretato (oltre che nella loro conservazione) anche nella prosecuzione della loro amministrazione (ancorchè - per effetto dell'esame superficiale compiuto dal giudice di merito - non è dato sapere in che modo ed in quali limiti essa si sia realmente svolta), senza potersi escludere la possibile effettuazione di operazioni che potevano garantire una certa redditività dei beni stessi costituenti le rispettive aziende. Tuttavia, per stessa ammissione del Tribunale bresciano, l'attività degli ausiliari era - come già posto in risalto - consistita anche nel controllo di conformità degli atti assunti dagli amministratori delle società titolari delle tre aziende sequestrate, era finalizzata ad impedire che dall'esercizio delle relative imprese potesse derivare il rischio della commissione di ulteriori reati del tipo omologo a quelli per i quali si procedeva o della perpetuazione di questi ultimi.
Pertanto, non può escludersi che l'attività degli ausiliari (oggi ricorrenti principali) - per effetto delle attribuzioni che erano state loro conferite con l'adottato provvedimento di sequestro - fosse venuta a sovrapporsi (e, comunque, ad affiancarsi a titolo di autorità vigilante) su quella degli organi societari, assumendo, così, la connotazione di attività necessaria e funzionale all'amministrazione dell'attività aziendale, risultando essa integrativa della validità e dell'efficacia dell'operato degli amministratori rimasti in carica. E ciò parrebbe confortato dalla circostanza che gli acconti liquidati agli stessi ausiliari erano stati riconosciuti per l'amministrazione delle aziende sottoposte a sequestro.
Oltretutto, proprio per la natura complessiva del compito assegnato ai due ricorrenti e delle caratteristiche dei beni sottoposti a sequestro (coincidenti con aziende commerciali), le funzioni di custodia, conservazione, amministrazione e gestione si configuravano (presumibilmente) tra loro necessariamente interconnesse (per come appare dimostrato anche dalle complessive distinte attività espletate indicate alle pagg. 11-15 del ricorso). Ciò sembrerebbe risultare confermato anche dalla sentenza n. 18790/2008 della Cassazione penale con la quale, proprio decidendo sul ricorso del legale rappresentante di una delle tre aziende sottoposte a sequestro preventivo (specificamente la Faeco s.r.l.), nel rigettarlo, si chiarì - ravvisando la legittimità dell'incarico conferito ai due attuali ricorrenti principali - che esso, proprio per la natura del bene (azienda commerciale) assoggettato alla misura cautelare reale, non poteva esaurirsi nel solo compito di provvedere alla sua custodia, non potendosi prescindere anche da una correlata attività di conservazione e di amministrazione giudiziaria, anche allo scopo di incrementare la redditività dei beni che componevano il complesso aziendale (v., per riferimenti, anche Cass. pen. n. 28336/2013).
Del resto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58, comma 1, ritenuto applicabile nel caso di specie dal Tribunale bresciano così recita:
"Al custode, diverso dal proprietario o avente diritto, di beni sottoposti a sequestro penale probatorio e preventivo, e, nei soli casi previsti dal codice di procedura civile, al custode di beni sottoposti a sequestro penale conservativo e a sequestro giudiziario e conservativo, spetta un'indennità per la custodia e la conservazione".
Dal riportato disposto si desume che si può legittimamente ricorrere ai criteri di cui al successivo art. 59, per la liquidazione della sola attività di custodia dei beni sottoposti a sequestro penale, mentre questa disposizione normativa non è suscettibile si involgere anche la disciplina per la quantificazione dei compensi degli ausiliari la cui attività abbia implicato attività di controllo e di amministrazione di complessi di beni potenzialmente produttivi, come sono le aziende commerciali (fermo rimanendo che - contrariamente a quanto assunto dai ricorrenti principali - per le relative attività gestionali, siccome non riferibili propriamente alla commissione di delitti di mafia, in ordine ai quali sia stato disposto il sequestro preventivo in sede penale, non possono trovare applicazione i criteri stabiliti dalla L. n. 575 del 1965, art. 2-octies, comma 4).
Pertanto, poichè non possono ritenersi adattabili alla fattispecie i precedenti di cui a Cass. civ. n. 24106/2011 e a Cass. civ. 21649/2017 (i quali pongono riferimento ai soli incarichi implicanti mere attività di custodia), deve reputarsi fondato anche il secondo motivo del ricorso principale nella parte in cui, con l'ordinanza impugnata, si è falsamente applicato del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58 (in correlazione con il seguente art. 59) e non è stata ravvisata - in ordine ai criteri di liquidazione del compenso in favore dei due ausiliari - come applicabile (in via analogica) propriamente la disciplina di cui all'art. 27 - e, correlativamente, per quanto di ragione, del D.P.R. n. 645 del 1994, artt. 28 e 29, il quale, ancorchè abrogato dal D.M. 2 settembre 2010, n. 169, art. 57, era "ratione temporis" ancora vigente al momento - anno 2010 - della cessazione degli incarichi, poichè la nuova disciplina relativa alla determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi professionali di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140 è divenuta applicabile a decorrere dal 23 agosto 2012.
Pertanto, la liquidazione che dovrà essere operata in sede di rinvio in favore dei due ausiliari andrà rapportata a quest'ultimo parametro normativo e non ai criteri indicati dal richiamato del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58, procedendosi, tuttavia, alla ricognizione dei poteri effettivi conferiti agli stessi ausiliari con i provvedimenti della loro nomina e tenendo conto delle attività realmente svolte e compiutamente provate, con esclusione di qualsiasi automatismo.
All'accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale consegue l'assorbimento del terzo motivo dello stesso ricorso, che attiene ad aspetti secondari della quantificazione in concreto dei compensi spettanti ai due ausiliari per le attività effettivamente svolte, che saranno rimodulati all'esito della complessiva rivalutazione del dovuto in applicazione dei criteri generali di liquidazione che dovranno essere osservati.
8. Quanto ai motivi di ricorso incidentale svolti dalla s.r.l. Faeco, osserva il collegio che il primo è manifestamente infondato poichè, alla stregua della natura del giudizio di opposizione come disciplinato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15 (e, specificamente, per effetto della libera producibilità - ai sensi del comma 5 - dei documenti utili o necessari che il giudice ritiene di valutare ai fini della decisione, da ritenersi, perciò, acquisibili anche in dipendenza dell'eventuale c.t.u. disposta), anche i documenti prodotti in conseguenza della c.t.u. erano da qualificarsi come ammissibili in funzione della decisione della causa (cfr. Cass. n. 19690/2015, ord.).
Anche la seconda doglianza di ricorso incidentale di detta società è destituita di fondamento in virtù dell'affermazione dell'assorbente principio (v. Cass. S.U. n. 8516/2012) secondo cui, poichè il procedimento di opposizione D.P.R. n. 155 del 2002, ex art. 170, presenta, anche se riferito a liquidazioni inerenti ad attività espletate ai fini di giudizio penale, carattere di autonomo giudizio contenzioso avente ad oggetto controversia di natura civile incidente su situazione soggettiva dotata della consistenza di diritto soggettivo patrimoniale, parte necessaria dei procedimenti suddetti deve considerarsi ogni titolare passivo del rapporto di debito oggetto del procedimento (con la ulteriore conseguenza, che nei procedimenti di opposizione a liquidazione inerenti a giudizi civili e penali suscettibili di restare a carico dell'"erario", anche quest'ultimo, identificato nel Ministero della Giustizia, è parte necessaria).
Deve, quindi, ribadirsi che nel giudizio di opposizione al decreto di liquidazione del compenso al custode e/o amministratore di beni sequestrati nell'ambito del procedimento penale (gli stessi principi valgono per la liquidazione del compenso all'ausiliario del magistrato), sono contraddittori necessari, oltre al beneficiario, le parti processuali, compreso il P.M. e, tra esse, in particolare, i soggetti a carico dei quali è posto l'obbligo di corrispondere detto compenso.
Con la previsione di cui al citato art. 170 il legislatore, infatti, ha configurato un procedimento nel quale sono litisconsorti necessari i soggetti ivi menzionati e, per quanto rileva nel caso di specie, le parti del processo nel quale viene svolta la prestazione alla quale si riferisce il decreto di liquidazione oggetto di opposizione. Il procedimento, quindi, anche se riferito a liquidazioni inerenti ad attività espletate ai fini di giudizio penale, ha - come già posto in risalto carattere di autonomo giudizio contenzioso avente ad oggetto controversia di natura civile incidente su situazione soggettiva dotata della consistenza di diritto soggettivo patrimoniale e parte necessaria del procedimento deve considerarsi ogni titolare passivo del rapporto di debito oggetto del procedimento; nei procedimenti di opposizione a liquidazione inerenti a giudizi civili e penali suscettibili (in caso di mancata condanna degli imputati o di impossibilità di recupero) di restare a carico dell'erario, anche quest'ultimo, identificato nel Ministero della Giustizia, è parte necessaria; in caso di condanna degli imputati, trattandosi di spesa ripetibile (del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 5, lett. d)), deve essere pagata dai medesimi (se soggetti solvibili) ai sensi dello stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 204, che prevede l'obbligo del recupero nei confronti dei condannati delle spese ripetibili.
9. Anche l'unico motivo di ricorso incidentale formulato nell'interesse della s.p.a. Ferriera Valsabbia è infondato per le stesse ragioni di cui al secondo motivo del ricorso incidentale della Faeco s.r.l., oltre che in dipendenza della sufficiente giustificazione della disposta compensazione delle spese (anche alla stregua della portata della intervenuta sentenza di illegittimità costituzionale n. 77/2018 che ha inciso sull'art. 92 c.p.c., comma 2, nella sua versione come novellata dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162).
10. In definitiva, sulla scorta delle argomentazioni complessivamente esposte, devono essere accolti i primi due motivi del ricorso principale da cui conseguente l'assorbimento del terzo motivo dello stesso ricorso, mentre vanno respinti tutti i formulati ricorsi incidentali.
Pertanto, l'impugnata ordinanza va cassata in relazione ai motivi accolti, con il rinvio della causa al Tribunale di Brescia, in composizione monocratica ed in persona di altro magistrato, che si conformerà per la liquidazione dei compensi spettanti ai due ricorrenti principali ai criteri specificati avuto riguardo alle attività concretamente accertate come svolte dai due ausiliari giudiziari e provvederà a regolare anche le spese della prese fase giudiziale di legittimità. Ricorrono le condizioni, in virtù della loro soccombenza totale, per dare atto della sussistenza, nei confronti di ciascuna delle parti ricorrenti incidentali, dei presupposti per il versamento, ad opera delle stesse, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale e dichiara assorbito il terzo motivo dello stesso ricorso; rigetta tutti i ricorsi incidentali; cassa l'ordinanza impugnata in ordine ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Brescia, in composizione monocratica, in persona di altro magistrato.
Ricorrono le condizioni, in virtù della loro soccombenza totale, per dare atto della sussistenza, nei confronti di ciascuna delle parti ricorrenti incidentali, dei presupposti per il versamento, ad opera delle stesse, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018.


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