Azione revocatoria dell'atto di cessione di polizze di pegno
Pubblicato il 23/01/19 00:00 [Doc.5814]
di Redazione IL CASO.it


Fallimento - Azione revocatoria - Cessione di polizze di pegno - Effetti

La cessione di polizze di pegno, al fine di estinguere un debito pecuniario scaduto ed esigibile, ove oggetto di revocatoria comporta, in caso di mancata loro restituzione, l'attribuzione dell'equivalente, consistente non già nell'originario valore di stima del bene, oggetto del pegno, ma nella differenza tra il valore stimato del bene e quanto dovuto per l'estinzione del debito all'istituto presso il quale il bene è stato pignorato.

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Cassazione civile, sez. I, 18 gennaio 2019, n. 1399. Presidente De Chiara. Relatore Falabella

1. - Il Tribunale di Marsala condannava S.C. al pagamento, in favore del fallimento di E.S. , della differenza tra il valore di stima di alcuni preziosi dati in pegno e quanto versato a titolo di riscatto, pari a Euro 18.768,46, oltre accessori e spese processuali; in tal modo accoglieva la domanda di revocatoria diretta alla declaratoria di inefficacia degli atti con i quali il fallito aveva ceduto al convenuto polizze di pegno relative ai suddetti preziosi, che lo stesso S. aveva poi riscattato presso Sicilcassa.
2. - Proponevano appello sia S. che la curatela del fallimento.
La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 28 febbraio 2013, accoglieva il gravame incidentale del fallimento mentre respingeva l'impugnazione di S. . Rilevava che E. , al fine di estinguere un debito che aveva nei confronti del predetto S. , aveva ceduto a quest'ultimo le polizze di pegno, intestate fittiziamente a terzi; osservava, in proposito, che i negozi compiuti ricadevano nella previsione della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, integrando atti estintivi di debiti pecuniari effettuati con mezzi anormali di pagamento e che, ai fini dell'azione revocatoria, doveva aversi riguardo al momento in cui era intervenuto il trasferimento delle polizze: momento che coincideva con quello della loro estinzione (marzo - luglio 1991). Precisava che, essendo la dichiarazione di fallimento intervenuta il 18 dicembre 1992, gli atti compiuti ricadevano nel periodo sospetto e che la conoscenza dello stato di insolvenza doveva ritenersi presunta. In conseguenza, la Corte palermitana dichiarati inefficaci gli atti di cessione delle polizze, condannava S. alla restituzione, in favore della curatela, dei gioielli indicati nelle singole polizze di pegno o, in caso di impossibilità, al pagamento dell'equivalente pecuniario del valore dei preziosi, pari a Euro 87.141,77. Condannava infine lo stesso S. al pagamento delle spese processuali.
3. - La sentenza è stata impugnata da S.C. con un ricorso per cassazione fondato su quattro motivi. La curatela non ha svolto difese.

1. - Il Collegio ha autorizzato la redazione dell'ordinanza in forma semplificata.
2. - Il primo motivo denuncia violazione della L. Fall., art. 67, avendo specificamente riguardo all'insussistenza della prova della conoscenza dello stato di insolvenza. Lamenta l'istante che la Corte di merito abbia individuato la data rilevante ai fini della conoscenza dello stato di insolvenza facendo riferimento al momento dell'esercizio del riscatto, dal momento che la curatela aveva mancato di fornire la prova della datazione della effettiva cessione delle polizze. In tal modo, secondo il ricorrente, il giudice distrettuale aveva basato il proprio ragionamento su di una doppia presunzione: quella relativa alla coincidenza tra cessione e riscatto delle polizze e quella posta dalla L. Fall., art. 67, comma 1.
Il motivo è inammissibile.
Esso non consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (il rubricato L. Fall., art. 67) e non implica, di conseguenza, un problema interpretativo della stessa, ma si concreta nell'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. Sez. U. 5 maggio 2006, n. 10313; in senso conforme, ad es.: Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315).
Quanto rilevato dall'istante con riferimento al divieto della doppia presunzione (praesumptio de paesumpto) appare del resto non conferente per due distinti ordini di considerazioni. Anzitutto la sentenza impugnata, nella parte in cui colloca nello stesso torno di tempo (marzo - luglio 1991) l'estinzione delle polizze e la cessione delle stesse da E. a S. non mostra di fondare il suo accertamento su di un ragionamento presuntivo. In secondo luogo - e comunque - il divieto di doppia presunzione attiene esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un'altra presunzione semplice, e non con una presunzione legale (Cass. 24 luglio 2013, n. 17953): ed è notoriamente presunzione legale quella, di conoscenza dello stato di insolvenza, che è posta dalla L. Fall., art. 67, comma 1.
3. - Il secondo motivo oppone la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2. Il ricorrente ricorda come la sentenza impugnata abbia ricondotto la cessione delle polizze di pegno del fallito alla figura della datio in solutum. Prosegue rilevando che la Corte di appello avrebbe però errato nel pronunciare condanna al pagamento dell'intero valore di stima dei gioielli costituiti in pegno. Osserva, al riguardo, che il depauperamento del patrimonio del fallito doveva essere semmai individuato nella differenza tra il valore di stima dei preziosi e quello corrisposto dal ricorrente alla banca per la liberazione dei medesimi.
Col terzo mezzo è dedotto l'omesso esame di un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti. La censura affronta da una diversa prospettiva la medesima questione oggetto del secondo motivo. Il ricorrente si duole che il giudice distrettuale abbia mancato di esaminare la propria deduzione, secondo cui la revocatoria avrebbe potuto riguardare la sola differenza tra il valore di stima dei gioielli e il prezzo corrisposto alla banca da parte del ricorrente.
Il secondo motivo è fondato, mentre il terzo rimane assorbito.
Ai fini della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, la cessione di polizze di pegno attuata allo scopo di estinguere un debito pecuniario scaduto ed esigibile costituisce certamente un mezzo anormale di pagamento; ove oggetto di revocatoria tale cessione comporta, in caso di mancata restituzione delle polizze, l'attribuzione dell'equivalente, che è però consistente non già nell'originario valore di stima del bene, oggetto del pegno, ma nella differenza tra il valore stimato dello stesso bene e quanto dovuto per l'estinzione del debito all'istituto presso il quale il bene è stato pignorato (Cass. 12 agosto 1982, n. 4568).
4. - Il quarto motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c.. Rileva il ricorrente che la condanna al pagamento delle spese emessa dal Tribunale fosse illegittima "sia per quanto attiene al merito che alla quantificazione, priva di motivazione".
Il motivo è assorbito.
Nel riformare la sentenza di primo grado, la Corte di appello - che era tenuta a provvedere, anche d'ufficio, ad un nuovo regolamento delle spese con riguardo al giudizio di primo grado (per tutte: Cass. 24 gennaio 2017, n. 1775) - ha nella sostanza ritenuto che l'importo liquidato dal Tribunale fosse congruo, in considerazione della soccombenza di S. , "che andava condannato a pagare una somma rilevante" (quella quantificata dalla stessa Corte distrettuale, è da ritenere). Se in tali termini deve leggersi la statuizione assunta in appello con riferimento alle spese del primo grado, è indubbio che essa si sia caducata per effetto della disposta cassazione della pronuncia di merito cui accedeva: pronuncia con cui, riesaminandosi il merito della vicenda, era stata riformata la sentenza del Tribunale. Spetterà pertanto al giudice del rinvio pronunciarsi nuovamente sul punto.
5 - In conclusione, va accolto il secondo motivo; il primo va dichiarato inammissibile, mentre il terzo e il quarto devono ritenersi assorbiti. La sentenza è cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Venezia, cui è demandato di decidere sulle spese del giudizio di legittimità.
Il giudice del rinvio dovrà conformarsi al seguente principio di diritto: "La cessione di polizze di pegno, al fine di estinguere un debito pecuniario scaduto ed esigibile, ove oggetto di revocatoria comporta, in caso di mancata loro restituzione, l'attribuzione dell'equivalente, consistente non già nell'originario valore di stima del bene, oggetto del pegno, ma nella differenza tra il valore stimato del bene e quanto dovuto per l'estinzione del debito all'istituto presso il quale il bene è stato pignorato".

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibile il primo e assorbiti i restanti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.


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