Contrasto ai paradisi fiscali: norma sostanziale o procedimentale?
Pubblicato il 09/03/19 00:00 [Doc.6040]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


6 Marzo 2019

L'articolo 12 del decreto legge 78/2009 è finito al centro di un contrastante dibattito giurisprudenziale, prima di merito e ora anche di legittimità

Secondo gli insegnamenti della dottrina, il rapporto giuridico tributario è composto da un duplice tipo di norme sovrapposte che presentano un profilo sostanziale e uno procedimentale.
Il primo profilo poggia le sue basi sulle norme positive impositrici, vale a dire su quelle che individuano il soggetto attivo, quello passivo nonché l'an e il quantum del rapporto tributario, sancendo, dunque, gli elementi essenziali e necessari per il sorgere dell'obbligazione tributaria.
Il profilo procedimentale, invece, concerne tutti quegli aspetti giuridici operativi che coinvolgono sia il soggetto attivo sia quello passivo al fine della compiuta realizzazione del prelievo tributario. Dal lato del contribuente, si tratta degli adempimenti afferenti alla presentazione della dichiarazione, alla tenuta della contabilità, al pagamento dei tributi, mentre, per quanto attiene l'ambito dell'amministrazione finanziaria, essi riguardano l'attività di controllo e di verifica, di collaborazione tra soggetti, enti e altri Stati, quelli dell'accertamento dei tributi e della riscossione coattiva.
Sulla base di tale distinzione, ai fini della determinazione dell'applicazione delle norme tributarie nel tempo, viene attribuita efficacia retroattiva alle norme procedimentali, in base al criterio tempus regit actum, ma non anche a quelle di natura sostanziale.

Ebbene, l'articolo 12 del Dl 78/2009, la cui epigrafe è "Contrasto ai paradisi fiscali", è finito al centro di un contrastante dibattito giurisprudenziale, prima di merito e ora anche di legittimità. Infatti, a seconda della qualifica di natura sostanziale o procedimentale da attribuire alla norma, la giurisprudenza sta cercando di fornire una risposta al quesito sul se l'amministrazione finanziaria possa emettere in maniera tempestiva avvisi di accertamento dei tributi derivanti dalla omessa dichiarazione di investimenti e attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato per annualità non più controllabili sulla base degli ordinari termini di decadenza, bensì solo grazie a quelli raddoppiati ex comma 2-bis dell'articolo citato.

Con l'ordinanza 30742/2018, la Corte di cassazione, pur affrontando una vicenda che non era incentrata sull'omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi di investimenti detenuti all'estero, sembra delineare al momento un isolato orientamento pro amministrazione finanziaria sul tema del termine di decadenza del potere accertativo ex articolo 5, commi 4 e 5, Dl 167/1990.

Tale norma, in particolare, contempla il caso della omissione della dichiarazione annuale per gli investimenti e le attività finanziarie all'estero di cui all'articolo 4 del citato decreto. In tal caso, il potere di controllo dell'ufficio deve essere individuato, tra quelli indicati dall'articolo 20 del Dlgs 472/1997, non nel termine che fa riferimento al tempo della violazione, ma in quello maggiore previsto per l'accertamento del tributo dovuto, tenuto conto del raddoppio dei termini introdotto dall'articolo 12, commi 2-bis e 2-ter, Dl 78/2009, applicabile, trattandosi di norma di carattere procedimentale, anche nei periodi d'imposta precedenti a quello della loro entrata in vigore.

Una pronuncia di grande peso se si considera che sia prima della sua pubblicazione, la medesima sezione VI della Corte suprema con ordinanza 2662/2018, sia poco dopo la sezione V, con sentenze 33223/2018 e 2562/2019, hanno ribadito il principio opposto: in queste occasioni, è stata esclusa l'applicazione retroattiva ai fini del raddoppio dei termini di decadenza ex articolo 12 citato, sulla base della asserita natura sostanziale della norma, anziché procedimentale, la qual cosa servirebbe a salvaguardare una pluralità di principi costituzionali, quali la certezza del diritto, il legittimo affidamento, quello di ragionevolezza, nonché il diritto alla difesa e della capacità contributiva.

Seppur attualmente isolata, l'ordinanza n. 30742/2018 ha precisato come sia il termine per l'accertamento di tributi sia quello per l'applicazione delle sanzioni sono stati raddoppiati dai commi 2-bis e 2-ter dell'articolo 12 del Dl 78/2009, in quanto tali norme "hanno natura procedimentale, sono retroattive e, quindi, sono applicabili anche ai periodi di imposta precedenti al 30/12/2009, data della loro entrata in vigore".
In sede di motivazione, i giudici hanno evidenziato come l'uso dei poteri attribuiti dalla suddetta norma vale anche ai fini dell'accertamento delle imposte dirette e dell'Iva per annualità precedenti alla sua entrata in vigore, la qual cosa "non configura affatto una applicazione retroattiva della disposizione in quanto non determina una modificazione sostanziale della posizione soggettiva del contribuente atteso che gli obblighi di questo nei confronti del fisco restano quelli separatamente contemplati dalle leggi in vigore al tempo della dichiarazione" vale a dire l'articolo 4, comma 1, del Dl 167/1990 secondo cui "Le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate ai sensi dell'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, residenti in Italia che, nel periodo d'imposta, detengono investimenti all'estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi".

Sotto il profilo del rispetto del principio di eguaglianza ex articolo 3 e del diritto di difesa del contribuente ex articolo 24 della Costituzione, i giudici hanno richiamato la sentenza della Corte costituzionale 260/2000, che esclude qualsivoglia violazione al riguardo sotto il profilo dell'applicazione della norma anche agli accertamenti relativi alle annualità precedenti alla sua entrata in vigore, in quanto "norme sostanzialmente analoghe sono previste ai fini dell'accertamento nei confronti di tutti i contribuenti" e "il contribuente è tempestivamente informato delle richieste di acquisizione delle copie dei conti e può pienamente esercitare già in sede ammnistrativa e quindi in sede giurisdizionale il suo diritto a fornire documenti, dati, notizie e chiarimenti idonei a dimostrare" la non imponibilità delle risultanze dei conti.

Con riferimento al rispetto dell'articolo 53 della Costituzione, i giudici di legittimità hanno evidenziato come la portata retroattiva della norma finalizzata a far emergere la reale capacità contributiva del contribuente, lungi dal violarlo, si coniughi in pieno con tale principio.

Infine, nell'escludere anche che l'applicazione retroattiva di tale fattispecie normativa potesse violare il principio nulla poena sine lege ex articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che non si applica alle norme procedimentali, conclude affermando che "l'estensione retroattiva deve ritenersi applicabile sia alle norme incidenti in materia probatoria, che a quelle regolanti i tempi di accertamento e contestazione delle violazioni tributarie".

Qualche ulteriore considerazione è da farsi anche al di fuori di quanto già emerso ed espresso sino a ora nelle aule giudiziarie, fermo restando che, se è vero che la funzione della Corte di cassazione è quella di dare certezza nell'interpretazione della legge, è altrettanto vero che il compito di verificare se il contenuto di una norma sia conforme ai principi costituzionali spetta solo alla Corte costituzionale.
Ebbene, da una lettura dei lavori preparatori della norma sul contrasto ai paradisi fiscali, emanata per dare attuazione alle intese già raggiunte tra gli Stati aderenti all'Ocse, emerge chiaramente come essa sia rivolta a fornire all'amministrazione finanziaria degli strumenti più incisivi per far emergere redditi sottratti a tassazione, in quanto oggetto di evasione fiscale, sulla base di una presunzione iuris tantum, avverso la quale il contribuente può difendersi con una prova contraria.

In questa medesima sede, è stato altresì affrontato il tema della compatibilità del raddoppio dei termini di accertamento con quanto previsto dalla legge 212/2000, all'articolo 3, comma 3, secondo cui "i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati": sul punto, è stato precisato che, se è vero che l'articolo 1, comma 1, dello Statuto prevede che le disposizioni da esso dettate, in ossequio agli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario, è altrettanto vero che possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali.
Ebbene, l'articolo 12, dopo aver illustrato al comma 1 la sua natura e la sua portata di norma di attuazione finalizzata alla cooperazione, allo sviluppo economico, alla trasparenza fiscale e alla collaborazione tra Stati ai fini della emersione di attività economiche e finanziarie detenute in Paesi aventi regimi fiscali privilegiati, et ergo, presuntivamente frutto di evasione fiscale, al comma 2 esordisce sancendo "in deroga ad ogni vigente disposizione di legge": una formula che chiaramente costituisce una eccezione alla regola dell'articolo 3 dello Statuto, che afferisce alle sole norme sostanziali e non anche a quelle procedurali in materia di accertamento del tributo.

L'Agenzia delle entrate, con prassi consolidata, considera l'articolo 12, comma 2, del decreto e il successivo comma 2-bis quali norme di natura procedimentale e, pertanto, applicabili a tutti gli anni d'imposta in relazione ai quali i termini per l'accertamento ordinario, di cui all'articolo 43, commi 1 e 2, Dpr 600/1973, e all'articolo 57, commi 1 e 2, del decreto Iva, non siano scaduti al momento di entrata in vigore del decreto 78/2009 (circolari 43/2009, 6/2015, 27/2015 e 19/2017).

In conclusione, l'accoglimento della tesi sostanzialista sulla irretroattività della norma crea una evidente discriminazione tra i contribuenti diligenti, che hanno già regolarmente versato le imposte dovute sui redditi esteri, e coloro che si sono volontariamente sottratti a tale dovere, continuando a restare esenti dal pagare i tributi per gli anni non più accertabili, in violazione del principio costituzionale della eguaglianza di fronte alla legge, oltre che di quello della capacità contributiva, che sancisce un dovere inderogabile di solidarietà economica e sociale.


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