Società di comodo: è irrilevante il mero incremento del patrimonio
Pubblicato il 09/04/19 00:00 [Doc.6153]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


1 Aprile 2019
Le operazioni che non esprimono redditività non smentiscono la natura fittizia dell'ente; spetta al contribuente provare l'esistenza di situazioni straordinarie che hanno impedito di raggiungere il reddito minimo
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La sentenza della Cassazione n. 33002/2019 ritiene irrilevante ai fini della determinazione del minimo dei ricavi per l'esclusione della qualificazione della società come non operativa dettata dall'articolo 30 della legge n. 724/1994 dei "canoni derivanti da affitto di azienda relativo all'attività alberghiera, oggetto dell'impresa sociale, e da contratti di locazione del lastrico solare del suddetto albergo".

Come noto, il cennato articolo 30, al primo comma, qualifica come non operative le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, se l'ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le percentuali successivamente individuate.
Il successivo terzo comma dell'articolo 30 individua una presunzione che il reddito del periodo di imposta non sia inferiore all'ammontare della somma degli importi derivanti dall'applicazione, ai valori dei beni posseduti nell'esercizio, delle percentuali successivamente individuate, presunzione nei riguardi delle quale il contribuente può offrire la prova contraria (come già riconosciuto dal Supremo collegio con la sentenza citata, da questa che si annota, 21 ottobre 2015, n. 21358).

La suprema Corte, con la pronuncia in commento, afferma che il test di operatività e la presunzione di inoperatività agiscono sul diverso piano del reddito, nei termini della comparazione tra i ricavi effettivi a conto economico e i ricavi figurativi proiettati dagli asset, richiamando la sua precedente pronuncia 10 marzo 2017, n. 6195.
In tale decisione, veniva affermato che "un'operazione di mero incremento del patrimonio è di per sé irrilevante" e che "un'operazione isolatamente patrimoniale non esprime redditività societaria e quindi non smentisce la natura fittizia dell'ente, potendo anzi darne la più chiara dimostrazione di cui al primo comma". Ma, in quel caso, l'operazione era, di certo, soltanto patrimoniale perché di acquisizione del capannone, ossia di quel bene sul quale viene effettuato il test di operatività della società stessa e dal quale viene, poi, desunta la reddittività minima che si richiede all'imprenditore, mentre nella controversia oggetto della sentenza che si annota l'operazione evidenziava elementi reddituali in quanto "canoni derivanti da affitto di azienda relativo all'attività alberghiera, oggetto dell'impresa sociale, e da contratti di locazione del lastrico solare del suddetto albergo".
Per completezza di informazioni sul tema, la cennata sentenza n. 6195/2017, emessa ai fini del rimborso Iva, aveva rilevato, peraltro, che il rimborso Iva eseguito dal concessionario della riscossione nella qualità di gestore del conto fiscale e su istanza della società titolare non preclude all'ufficio finanziario il successivo accertamento circa la natura non operativa della società stessa quale causa ostativa al rimborso ex articolo 30 della cennata legge n. 724.

La giurisprudenza di legittimità aveva anche evidenziato, con la recente decisione n. 21106/2018, come il giudice tributario investito del ricorso del contribuente contro un avviso di accertamento che si fondi sulla riclassificazione delle poste del bilancio sia tenuto a valutare, sulla scorta delle risultanze di causa, se detta riclassificazione debba o meno ritenersi corretta e sia idonea a giustificare la maggiore pretesa impositiva o il diniego di rimborso.
Tale conclusione risultava giustificata sul rilievo che la possibilità per l'Agenzia delle entrate di rettificare il bilancio, contestando i criteri utilizzati dal contribuente nella sua redazione, al fine di far emergere la sussistenza di un credito tributario evaso o l'insussistenza di quello chiesto a rimborso, sia implicitamente prevista da tutte le norme antielusive che consentono all'ufficio non solo di procedere a ispezioni e verifiche sulle scritture contabili, ma anche, in presenza di determinati presupposti", di operare l'accertamento in via presuntiva.

a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME


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