Risarcimento ex art. 2059 c.c. del danno catastrofale
Pubblicato il 12/04/19 08:15 [Doc.6163]
di Redazione IL CASO.it


Segnalazione del Dott. Corrado Carnevale

In caso di illecito civile che abbia determinato la morte della vittima, il danno cosiddetto "catastrofale", conseguente alla sofferenza dalla stessa vittima patita nell'assistere, nel lasso di tempo compreso tra l'evento che le ha provocate e la morte, alla perdita della propria vita deve includersi nella categoria del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 cod. civ., ed è autonomamente risarcibile in favore degli eredi del defunto.

* * *
Tribunale di Lecce, 16 gennaio 2019. Giudice MELE.

I sig.ri * * * hanno esposto che il proprio congiunto (rispettivamente marito e padre), sig. * * * in data 10.01.2005 si è recato presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale * * * Novella di Galatina per un dolore forte al fianco sinistro, ricevendo la diagnosi di "sospetta colica renale sinistra". Gli attori hanno poi dedotto che il congiunto è stato trasferito presso il Presidio Ospedaliero * * *, dove è stato sottoposto ad alcuni accertamenti, fino a che il giorno 14.01.2005 non è stato colto da malore improvviso, decedendo poco dopo. Solo all'esito del decesso si è accertato che il sig. D. aveva avuto un arresto cardiocircolatorio da verosimile rottura di aneurisma dissecante dell'aorta addominale. Gli attori hanno quindi lamentato l'inadempimento da parte dei sanitari dei due presidi ospedalieri e, in particolare, di quello di Copertino, per l'errore nella diagnosi iniziale, per la mancata immediata esecuzione di RX addominale, per il ritardo nell'esecuzione degli accertamenti e nell'intervento del rianimatore, nonché la mancata acquisizione del consenso informato da parte del paziente. Gli attori hanno quindi chiesto il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale e, iure hereditatis, quello patito dal congiunto per la mancata acquisizone del consenso informato e per l'attesa lucida della morte. Con propria comparsa si è costituita la * * * La convenuta ha anche contestato an e quantum dell'avversa richiesta e ne ha chiesto il rigetto. La causa è stata istruita con produzione documentale e CTU medico-legale. All'esito, la causa è stata trattenuta in decisione, con concessione del termine massimo di legge per conclusionali e repliche.
In via preliminare va rigettata l'eccezione di difetto di legittimazione attiva, sollevata dalla * * *. con riferimento agli attori e motivata con la mancanza di prova della loro qualità di eredi del sig. * * * Gli attori hanno prodotto infatti lo Stato di famiglia da cui risulta che sono rispettivamente la moglie e i figli del paziente. L'introduzione del giudizio in cui essi si sono qualificati quali eredi costituisce indubbiamente accettazione tacita dell'eredità. L'eccezione è dunque rigettata. Va anche rigettata l'eccezione di prescrizione con riferimento alla domanda presentata dal sig. S.D.. In linea generale si ricorda che "Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità medico-chirurgica decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, primo comma, cod. civ., non dal giorno in cui il comportamento del terzo provoca il danno, né dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può esserlo, con l'uso dell'ordinaria diligenza, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo" (Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 21715 del 23/09/2013). Nel caso di specie parte attrice ha provato - mediante produzione documentale non contestata - che in data 18.12.2014 e in data 15.03.2015 gli attori non avevano ancora ricevuto la cartella clinica inerente il ricovero del padre e che solo nel maggio 2015 hanno ottenuto la relazione del proprio consulente, dott. * * * con riconoscimento della responsabilità * * * Il dies a quo, dunque, va individuato nel momento in cui, con accertamento tecnico, gli attori hanno potuto verificare l'esistenza di responsabilità nella condotta dei sanitari, dunque nel maggio 2015. L'eccezione di prescrizione è dunque rigettata. Venendo al merito, si ricorda che la presente controversia attiene all'individuazione dell'eventuale responsabilità del personale sanitario della A. per il decesso del sig. A.D., sottoposto a prime cure presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale Santa Caterina Novella di Galatina e poi trasferito presso il Presidio Ospedaliero di Copertino. Prima di esaminare il merito della questione, occorre delineare in linea generale i presupposti per l'affermazione della responsabilità della struttura sanitaria e la ripartizione del relativo onere probatorio. Sul punto la Cassazione ha precisato che "In tema di responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente per danni derivanti dall'esercizio di attività di carattere sanitario, il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze, in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del debitore convenuto l'onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che - nell'accogliere l'eccezione di inadempimento e la domanda risarcitoria avanzate da un paziente nei confronti di un sanitario con riguardo all'esecuzione di prestazioni di natura dentistica - aveva escluso che il dentista avesse usato la diligenza e la perizia necessarie nel progettare e nel realizzare gli impianti dentari oggetto di contratto, provocando al paziente lesioni permanenti)" (Cass. N. 15993 del 21.7.2011).
Anche nell'ipotesi di intervento di speciale difficoltà, la Suprema Corte ha ricordato che "Il paziente che alleghi di aver patito un danno alla salute in conseguenza dell'attività professionale del medico, ovvero di non avere conseguito alcun miglioramento delle proprie condizioni di salute nonostante l'intervento del medico, deve provare unicamente l'esistenza del rapporto col sanitario e l'insuccesso dell'intervento, e ciò anche quando l'intervento sia stato di speciale difficoltà, in quanto l'esonero di responsabilità di cui all'art. 2236 cod. civ. non incide sui criteri di riparto dell'onere della prova. Costituisce, invece, onere del medico, per evitare la condanna in sede risarcitoria, provare che l'insuccesso dell'intervento è dipeso da fattori indipendenti dalla propria volontà e tale prova va fornita dimostrando di aver osservato nell'esecuzione della prestazione sanitaria la diligenza normalmente esigibile da un medico in possesso del medesimo grado di specializzazione" (Cass. Civ., n. 24791 dell'8.10.2008).
Anche in tempi recenti, la Corte di Cassazione ha ribadito che "In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalità tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla paziente e dai suoi stretti congiunti, in relazione a un ictus cerebrale che aveva colpito la prima a seguito di un esame angiografico, sul rilievo che era mancata la prova, da parte degli attori, della riconducibilità eziologica della patologia insorta alla condotta dei sanitari, ed anzi la CTU espletata aveva evidenziato l'esistenza di diversi fattori, indipendenti dalla suddetta condotta, che avevano verosimilmente favorito l'evento lesivo)" (Cass. Civ., Sez. 3 -, Ordinanza n. 26700 del 23/10/2018).
Anche la recente legge Gelli-Bianco, nel riconoscere la natura contrattuale della responsabilità della struttura ospedaliera (in linea con l'interpretazione giurisprudenziale precedente), conferma siffatta ripartizione dell'onere probatorio. Al fine di accertare la responsabilità per omissione, poi, si ricorda che "In tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio". Ne consegue, con riguardo alla responsabilità professionale del medico, che, essendo quest'ultimo tenuto a espletare l'attività professionale secondo canoni di diligenza e di perizia scientifica, il giudice, accertata l'omissione di tale attività, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell'evento stesso" (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 16123 del 08/07/2010).

Anche in tempi recentissimi, Cass. Civ., Sez. 3 -, Ordinanza n. 21008 del 23/08/2018, ha ribadito che occorre accertare il nesso causale secondo la regola del "più probabile che non": "La prova dell'inadempimento del medico non è sufficiente ad affermarne la responsabilità per la morte del paziente, occorrendo altresì il raggiungimento della prova del nesso causale tra l'evento e la condotta inadempiente, secondo la regola della riferibilità causale dell'evento stesso all'ipotetico responsabile, la quale presuppone una valutazione nei termini del c.d. "più probabile che non"". Premesso quanto sopra in linea generale, può ora procedersi all'esame della responsabilità * * * per il caso in esame. Al riguardo, si fanno proprie le conclusioni cui è giunto il CTU, dr. * * *, con l'ausilio dello specialista, dr. Arturo Baglivo. Costoro hanno infatti redatto perizia completa e motivata, dai cui risultati non vi sono ragioni per discostarsi. I CCTTUU hanno accertato che "L'analisi a posteriori degli elementi clinico-strumentali acquisiti dalla lettura della cartella clinica (che eufemisticamente potremmo descrivere in alcune parti quanto meno 'pasticciata'...) certamente consente di facilmente ipotizzare la drammatica sequenza ' ESPANSIONE - FISSURAZIONE - ROTTURA ' di un aneurisma dell'aorta addominale, elemento questo chiaramente descritto in un esame ecografico eseguito in regime d'emergenza che acclarò il grosso aneurisma: ritenendo tale ricostruzione quale 'guida' dei successivi considerata medico legali, ecco che si osserva come l'inquadramento iniziale del Pronto Soccorso dell'Ospedale di Galatina, che la mattina del 10 Gennaio 2005 prese in carico il D. che lamentava algie al fianco sinistro, certamente può essere stato indirizzato dal dato anamnestico acquisito in detta occasione, deponente appunto per precedenti urologici: tuttavia appare opportuno osservare come tale ipotesi non sia stata di fatto supportata da un esame ecografico eseguito in pronto soccorso, pur ricordando che in presenza di una segnalata microlitiasi si possono avere coliche renali pur in assenza di dilatazione calicopielica; proprio in relazione a detto esame del 10/1/2005 si osserva ancora come normalmente durante lo studio radiologico ecografico di reni e vescica il radiologo sempre valuta le arterie renali e di conseguenza l'origine sull'aorta addominale: orbene nel caso in questione nulla viene segnalato in tal senso, ma la dinamica a posteriori consente di poter affermare la contestuale sussistenza almeno di un 'expanding aneurism', e dunque sostenere come proprio questa espansione fosse la causa del dolore lamentato dal D.; ne deriva dunque argomentare come il sanitario addetto all'emergenza (che comunque, in mancanza di una certezza diagnostica, ha bene agito nel ricoverare il paziente per ulteriori indagini) proprio in quanto addetto all'emergenza avrebbe dovuto porre in diagnosi differenziale il dolore lombare/ fianco sinistro con una patologia aneurismatica complicata dell'aorta addominale, atteso come la maggior parte di casi similari della relativa sintomatologia d'esordio sia ingannevole, esprimendosi appunto con dolori lombari od ad un fianco e per giunta talvolta con sintomatologia urinaria. Passando indi alla descrizione dei fatti avvenuti presso l'Urologia di Copertino, appare opportuno sottolineare come verosimilmente l'assenza di segni clinici di shock - come costantemente desumibile dai riscontri grafici dei parametri quotidiani - abbia indotto a non considerare la possibilità di una patologia aneurismatica addominale complicata, ma per vero lo specialista urologo esperto sa che sovente la diagnosi di colica renale nasconde problematiche vascolari di rilievo, ed avrebbe dunque dovuto porla in diagnosi differenziale, facendo quindi eseguire una ecografia addominale od una radiografia diretta addominale (a margine se ne osserva l'ampia facilità di esecuzione praticamente in qualsivoglia nosocomio e la non pericolosità per il paziente..), esami che con rilevante probabilità avrebbero evidenziato da subito alterazioni del profilo del muscolo psoas e financo una dilatazione aneurismatica dell'aorta; l'esperienza peritale motiva indi l'osservazione di come per un congruo periodo di tempo (ricovero per cinque giorni!) ed a fronte solo di una 'verosimile' diagnosi di colica renale da nefrolitiasi (per microlitiasi al rene sinistro?), i Sanitari della U.O. di Urologia di Copertino, di fatto, pur dinanzi ad assenza di una oggettività clinica suggestiva prevalentemente per problematiche dell'emuntorio renale - ad esempio: ematuria, positività alla manovra di Giordano, irradiazione scrotale, idronefrosi da ostacolo- non abbiano sollecitato alcun tipo di approfondimento od indagine clinico-strumentale, come rilevasi nell' estremamente scarno documento acquisito: ancora, per completezza di indagine si deve altresì sottolineare come il ritardo della esecuzione di indagini (come anzidetto, ordinarie, economiche e diffusissime..) che avrebbero potuto documentare tempestivamente la presenza dell'aneurisma, possa effettivamente dipendere non già da ritardi nella prescrizione da parte degli urologi, bensì dal gravame lavorativo tipico dei servizi ospedalieri (radiologia) di piccoli centri come l'Ospedale in essere, per cui siamo dell'avviso che il ritardo della corretta diagnosi sia comunque imputabile a quanto sopra indicato: del pari, ancora, non è in alcun modo giustificabile l'evidente aggiunta postuma di annotazioni (peraltro redatte con grafia diversa) dal compilatore del diario clinico nell'intento di rimarcare la mancanza di sintomi cogenti nei giorni 11 e 12 Gennaio 2005!" I CCTTUU hanno poi chiarito che "la natura dell'attività del sanitario rientrava senza dubbio nella prestazione professionale stimabile quale ' media', per sostanziale assenza di problematiche dai profili tecnici di particolare difficoltà: appare tuttavia opportuno evidenziare da subito che le condizioni cliniche e la paucisintomaticità del decuius, desumibili dallo studio della Cartella Clinica, possono avere rivestito ruolo cogente nel comportamento attendista posto in essere: in altri termini dunque non sussistevano elementi di gravità tali da motivare indagini od approfondimenti diverse da quelle routinarie, comunque reputabili sufficienti ad una diagnosi: gli Urologi avrebbero comunque dovuto attivarsi per un disbrigo più veloce delle indagini essenziali ad una diagnosi differenziale, che come abbiamo descritto era serenamente richiesta dalle circostanze descritte: purtroppo l'esame radiografico 'diretta' addome sarà eseguito solo il 14/1/05, data dell'exitus ; in relazione al disposto di cui al punto 5 (che riteniano sia l'ultimo quesito effettivamente concernente - in rapporto cogente ed esaustivo con la vicenda in essere-), e facendo seguito a quanto argomentato in precedenza, si osserva la sussistenza del nesso causale valutabile con il criterio ' del più probabile che non', attesa la esaustiva ricostruzione delle tappe dell'evento: (punto 6 e segg.) in altri termini, si chiarisce nuovamente che, pur riconsiderando in ogni evidenza l'assenza di elementi clinicamente evidenziabili forieri di una particolare gravità delle condizioni del decuius, una auspicabile (e possibile...) diagnosi più tempestiva dell'aneurisma aortico in espansione, con grado di probabilità serenamente superiore al 50%, avrebbe consentito la presa in carico del paziente presso strutture sanitarie territoriali (Brindisi o Tricase) all'epoca attrezzate (non Lecce, la cui principale struttura ospedaliera nel 2005 era attrezzata per la sola emodinamica cardiologica ma non vascolare ed inoltre sprovvista di Chirurgia d'Urgenza) per simili criticità, ponendo in essere misure chirurgiche tali da affrontare validamente la grave problematica vascolare aortica che condusse a morte il xxxx". Alla luce di quanto sopra, sussiste indubbiamente la responsabilità della xxxx nella determinazione dell'evento morte che ha colpito il sig. A* * *
Chiarito quanto sopra in punto di an, si procede ora alla determinazione del quantum. Gli attori hanno chiesto, in primo luogo, il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. Non vi sono dubbi sulla circostanza che la morte del congiunto abbia leso i diritti fondamentali degli attori, in primo luogo il diritto alla famiglia e alla realizzazione di sé all'interno del proprio nucleo familiare. Nel rapporto tra padre e figlio, così come nel rapporto di coniugio di lunga durata, la perdita del congiunto dà vita ad un danno che si presume, secondo l'id quod plerumque accidit. Si deve tuttavia procedere alla determinazione del quantum tenendo conto dell'età della vittima (68 anni al momento del decesso), dell'età dei congiunti (per i figli, età compresa tra 27 e 46 anni), del rapporto di convivenza (esistente solo per il coniuge e per la sig.ra * * *.), del nucleo familiare residuo (sono ancora in vita la madre e i quattro figli), parametrando il danno in relazione alle caratteristiche di ciascuno. In ragione di un tanto, al coniuge, tenendo conto dell'esistenza di un rapporto di coniugio durato 50 anni (come risulta dallo Stato di famiglia) e del rapporto di convivenza, si liquida l'importo di Euro 230.000,00, tenendo conto altresì dell'età delle parti interessate. Alla figlia * * * che ha perso il padre quando aveva soli 27 anni e che all'epoca conviveva con costui, è riconosciuto il danno nella misura di Euro 200.000,00. Ai figli * * * che erano ormai adulti quando il padre è venuto a mancare (avevano rispettivamente 42 e 46 anni) e che avevano cessato la convivenza con lo stesso da anni, si riconosce il danno nella somma di Euro 180.000,00. Si precisa che tutti gli importi di cui sopra sono stati liquidati, con valutazione equitativa, comprendendo in essi anche la rivalutazione monetaria e gli interessi in misura legale sulla somma di volta in volta maturata, con liquidazione omnicomprensiva. Su tali importi sono dunque dovuti solo interessi legali, dalla data odierna al soddisfo. Gli attori hanno poi chiesto il risarcimento del danno iure hereditatis, sub specie di danno per mancato consenso informato e per attesa lucida della morte. In punto di diritto è stato precisato che "In materia di responsabilità sanitaria, l'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se nel primo caso l'omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell'interesse all'autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo l'incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell'atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall'opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l'allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell'onere della prova - che, in applicazione del criterio generale di cui all'art. 2697 c.c., grava sul danneggiato - del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito con la quale era stata respinta la domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale sul presupposto che non solo gli attori non avevano allegato il presunto dissenso del congiunto, ma dalle risultanze istruttorie erano emersi elementi, come l'assenza di soluzioni terapeutiche alternative e il fatto che in precedenza il paziente si era sottoposto ad interventi analoghi, che deponevano per la presunzione di consenso al trattamento sanitario)" (Cass. Civ., Sez. 3 -, Ordinanza n. 19199 del 19/07/2018). Con l'ulteriore precisazione che "In tema di responsabilità professionale del medico, l'inadempimento dell'obbligo di informazione sussistente nei confronti del paziente può assumere rilievo a fini risarcitori - anche in assenza di un danno alla salute o in presenza di un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all'informazione - a condizione che sia allegata e provata, da parte dell'attore, l'esistenza di pregiudizi non patrimoniali derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in sè considerato, sempre che essi superino la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e non siano futili, ovvero consistenti in meri disagi o fastidi" (Cass. Civ., Sez. 3 -, Ordinanza n. 20885 del 22/08/2018).
Nel caso di specie non è stato richiesto all'attore alcun consenso informato. Ciononostante, i soli interventi cui lo stesso è stato sottoposto sono semplici ecografie ed esami del sangue, per nulla invasivi, e RX. Si ritiene dunque che nella fattispecie in esame il sig. D. non abbia subito una lesione del proprio diritto all'autodeterminazione giuridicamente rilevante. È infatti opportuno ricordare che il risarcimento del danno non patrimoniale non può mai comportare la liquidazione di danni che, in quanto bagatellari e irrisori, non godono di cittadinanza giuridica. Nel caso di specie, il mancato consenso per semplici ecografie di routine, non invasive, non ha dato vita ad un danno risarcibile.
Gli attori hanno poi chiesto il risarcimento del danno patito dal proprio congiunto per attesa lucida della morte. La giurisprudenza ha chiarito che" In caso di illecito civile che abbia determinato la morte della vittima, il danno cosiddetto "catastrofale", conseguente alla sofferenza dalla stessa patita - a causa delle lesioni riportate - nell'assistere, nel lasso di tempo compreso tra l'evento che le ha provocate e la morte, alla perdita della propria vita (danno diverso sia da quello cosiddetto "tanatologico", ovvero connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute, sia da quello rivendicabile "iure hereditatis" dagli eredi della vittima dell'illecito, poi rivelatosi mortale, per avere il medesimo sofferto, per un considerevole lasso di tempo, una lesione della propria integrità psico-fisica costituente un autonomo danno "biologico", accertabile con valutazione medico legale) deve comunque includersi, al pari di essi, nella categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ., ed è autonomamente risarcibile in favore degli eredi del defunto" (Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 7126 del 21/03/2013).
Nel caso di specie, dalla cartella clinica prodotta in atti e dalla CTU è emerso che il sig. D. ha avuto meri dolori al fianco, riportando valori normali fino alle ore 12:35 del 14.01.2005. Solo in tale momento la situazione del paziente è precipitata, fino al decesso, constatato alle ore 12:48.
Orbene, il lasso di tempo di 13 minuti, durante i quali comunque il paziente è stato sotto le cure dei sanitari, non può ritenersi apprezzabile e considerevole e non può dunque ritenersi quale causa di un danno catastrofale. La domanda di risarcimento del danno iure hereditatis è dunque rigettata. La domanda è quindi accolta secondo quanto sopra indicato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Le spese di CTU sono poste in via definitiva a carico della A., soccombente.

P.Q.M.
Il Tribunale di Lecce - Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando nella causa N 12057/2015 RG, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa:
a) Rigetta le eccezioni preliminari presentate da parte convenuta;
b) Accerta e dichiara la responsabilità della * in ordine al decesso del sig * per l'effetto, la condanna al risarcimento del danno patito dagli attori iure proprio, liquidato in Euro 230.000,00 per la sig.ra * in Euro 200.000,00 per la sig.ra F.D., in Euro 180.000,00 per la sig. * e in Euro 180.000,00 per il sig. S.D., il tutto oltre interessi in misura legale dalla data odierna al soddisfo;
c) Rigetta le restanti domande degli attori;
d) Condanna parte convenuta alla refusione delle spese di lite in favore degli attori, liquidate in Euro 1.713,00 per spese ed Euro 27.804,00 per compenso, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge, con distrazione in favore dell'avv. *, che ha reso la dichiarazione di rito;
e) Pone le spese di CTU in via definitiva a carico di parte convenuta.
Così deciso in Lecce, il 15 gennaio 2019.
Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2019.


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