Il socio nudo proprietario non ha diritto di partecipare all'assemblea
Pubblicato il 13/06/19 09:03 [Doc.6332]
di Redazione IL CASO.it


Il socio nudo proprietario di quote di società a responsabilità limitata non ha diritto di partecipare all'assemblea.

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Trib. Firenze, 27.4.2019.

Con ricorso depositato il 17.4.2019, [*], sulla premessa di essere socio di [*] (d'ora in poi anche solo [*]) ed in particolare di detenere la nuda proprietà di quote di partecipazione pari al 42,50% del capitale sociale il cui usufrutto è attribuito essenzialmente al padre [*] (nella misura corrispondente al 40% del capitale sociale) e in misura residuale alla madre [*] (per il 2,5% del capitale sociale), ricorre a questo Tribunale ai sensi dell'art. 700 c.p.c. domandando di accertare il proprio diritto a partecipare all'assemblea della società - che si terrà il 29.4.2019 come specificato dal ricorrente in sede di udienza di discussione - per l'approvazione del bilancio di esercizio di [*]. A sostegno della domanda cautelare il ricorrente deduce, quanto al fumus boni iuris, che il diniego più volte opposto dalla società per il tramite del proprio legale a consentire la partecipazione dei socio nudo proprietario alle assemblee di [*] contrasta col disposto di cui all'art. 2352, comma VI, c.c.; in ordine al periculum in mora, che la mancata partecipazione pregiudicherebbe i diritti del socio laddove solo una puntuale e dettagliata informativa circa l'andamento della gestione di [*] e delle società da questa controllate consentirebbe alla parte di realizzare pienamente il proprio diritto di informativa e eventualmente di impugnativa della delibera. A conforto del proprio assunto il ricorrente evidenzia che in analoga fattispecie tra le medesime parti questo Tribunale ha già riconosciuto il diritto del socio nudo proprietà no di partecipare ad un'assemblea di [*].
Costituendosi in giudizio la resistente contesta le deduzioni avversarie, eccependo in primo luogo l'inammissibilità del ricorso per difetto di residualità e rilevando nel merito che l'orientamento maggioritario in dottrina e giurisprudenza è nel senso di negare il diritto di intervento al socio nudo proprietario in ragione delia strumentalità della partecipazione all'esercizio del diritto di voto. La resistente contesta, quindi, la sussistenza del fumus boni iuris oltre che del periculum in mora, evidenziando sotto tale ultimo profilo che nessun danno irreparabile deriverebbe alla controparte in conseguenza della mancata partecipazione all'assemblea di approvazione del bilancio di [*].
All'udienza del 26.4.2019 le parti hanno discusso la causa e all'esito il Tribunale ha riservato la decisione.

Osserva il Tribunale che il ricorso è infondato e non merita accoglimento. In disparte le questioni societarie evidenziate dalle parti nei rispettivi scritti difensivi, dirimente si profila la questione puramente giuridica relativa alla sussistenza o meno del diritto di intervento all'assemblea del socio nudo proprietario di quote societarie.
Questo giudice, nella consapevolezza dell'esistenza di orientamenti interpretativi contrapposti e di un precedente di questo stesso Tribunale che ha riconosciuto al socio nudo proprietario il diritto di partecipare all'assemblea, ritiene di dover far propria la tesi che nega la sussistenza di tale diritto in forza di una interpretazione sistematica delle norme che regolano la fattispecie di usufrutto di quote e di esercizio del diritto di voto, interpretazione che si ritiene preferibile e più coerente con la ratio del sistema assembleare per le seguenti ragioni.
Le norme di riferimento sono l'art. 2352 c.c. e l'art. 2370 c.c.: la prima disposizione, richiamata dall'art. 2471-bis c.c. dettato in materia di s.r.l., prevede che nel caso di usufrutto di azioni (e dunque anche nell'ipotesi di partecipazioni di s.r.l.) il diritto di voto spetta all'usufruttuario; il sesto comma della norma in parola prevede, inoltre, che "salvo che dal titolo o dal provvedimento del giudice risulti diversamente, i diritti amministrativi diversi da quelli previsti nel presente articolo spettano, nel caso di pegno o usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio o all'usufruttuario; nel caso di sequestro sono esercitati dal custode". L'art. 2370 c.c. dispone che "possono intervenire all'assemblea coloro ai quali spetta il diritto di voto".
La disposizione da ultimo richiamata sancisce la stretta strumentalità tra la partecipazione all'assemblea e l'esercizio del diritto di voto, principio che, come osservato da attenta dottrina, si evince dalla medesima relazione al DLgs. 6/2003 ("il diritto di intervento in assemblea è stato reso funzionale all'espressione del voto; si è perciò circoscritto il diritto di intervento ai soli azionisti cui spetta il diritto di voto, così escludendo l'intervento dei nudi proprietari delle azioni"). Detta funzionalizzazione del diritto di intervento all'esercizio del diritto di voto evidenzia l'utilità intrinseca della partecipazione assembleare volta non tanto a favorire la partecipazione al dibattito assembleare a fini informativi, quanto piuttosto ad agevolare la formazione della volontà sociale. Ritiene, dunque, questo giudice che l'art. 2370 c.c. esprima un principio di carattere generale derogabile solo nelle ipotesi espressamente previste dal legislatore. La norma in esame deve, quindi, essere interpretata restrittivamente: fuori dai casi nominati in cui il legislatore per varie ragioni ha attribuito il diritto di partecipazione ad altri soggetti - si veda, ad esempio, l'ipotesi di cui all'art. 2418 c.c. ove la partecipazione del rappresentante comune è funzionale all'informativa nei confronti degli azionisti, così come l'art. 147, comma 111, TUF che, nel caso degli azionisti di risparmio privi del diritto di voto, prevede la partecipazione dei rappresentante comune di categoria a tutela dell'informazione assembleare e della legalità delle deliberazioni -, possono partecipare alle assemblee solo gli azionisti (o titolari di partecipazioni di s.r.l.) che hanno diritto di voto. Ebbene, quello richiamato costituisce il principio in forza del quale deve essere interpretata la norma invocata dal ricorrente a sostegno della domanda cautelare spiegata in questa sede, ovvero l'art. 2352, ultimo comma, c.c. Ivi é enunciato che i diritti amministrativi diversi dal diritto di voto (e secondo certa interpretazione anche dal diritto di opzione) spettano disgiuntamente, per quanto qui più interessa, al socio e all'usufruttuario. La lettera della norma è piuttosto generica e foriera di possibili interpretazioni divergenti, tant'è che la dottrina si è interrogata su alcuni profili ambigui quali, tra l'altro, il diritto di intervento in assemblea da parte del socio nudo proprietario (analogamente si pongono interrogativi in ordine al diritto di impugnativa della delibera assembleare e al il diritto di recesso). Detta disposizione, alla luce del dettato di cui all'art. 2370 c.c., non può essere interpretata come ricomprensiva del diritto di partecipazione tra i diritti amministrativi "innominati" di cui all'ultimo comma; ciò in quanto si ritiene maggiormente conforme al sistema assembleare vigente interpretare l'art. 2370 c.c. come espressione di un principio generale derogabile solo in forma espressa. E al riguardo la formulazione generica di cui all'art. 2352, u.c., c.c. non pare certo utile ad enucleare una deroga al principio generale richiamato in quanto nulla dice espressamente in tema di partecipazione all'assemblea. L'interpretazione volta a riconoscere la legittimazione all'intervento in assemblea al solo usufruttuario poggia, dunque, sulla ratio sottesa all'art. 2370 c.c. che vede la partecipazione all'assemblea strettamente funzionale all'esercizio del voto e trova una indiretta conferma nell'art. 2372 c.c. - come riformulato a seguito del DLgs. 27/2010 - che, in tema di rappresentanza assembleare, prevede che "coloro ai quali spetta il diritto di voto" possono farsi rappresentare in assemblea. L'esegesi fatta propria da questo giudice trova ulteriore conferma nella giurisprudenza di legittimità la quale, pur se espressasi in una fattispecie diversa da quella che ci occupa, è comunque chiara manifestazione del principio qui propugnato di funzionalizzazione della partecipazione all'assemblea all'esercizio del diritto di voto ("anche il diritto d'intervento in assemblea si configura, infatti, come uno di quei diritti amministrativi inerenti alla disponibilità dell'azione di cui è naturale ipotizzare che il sequestro penale, in coerenza con la propria stessa funzione, privi il titolare. Né, d'altronde, può farsi a metto di rilevare come un tal diritto sia naturalmente (ancorché non necessariamente) connesso col diritto di voto: di modo che solo in situazioni ben specificate dal legislatore (o altrimenti chiaramente desumibili dal sistema) potrebbe ipotizzarsi resistenza di un diritto del socio di partecipare ad un'assemblea in cui egli non possa invece votare, con conseguente invalidità della deliberazione alla quale non sia stato posto in grado d'intervenire" (Cass. sez. I, sentenza n. 13169 del 18.6.2005). In tale ottica si ritiene che dal sistema normativo delineato, vieppiù dalla generica lettera dell'art. 2352, u.c., c.c., non sia desumibile alcun indice idoneo ad attribuire al socio nudo proprietario il diritto di partecipare al l'assemblea. E tanto è possibile affermare anche alla luce dell'esame delle effettive utilità che possono derivare al socio nudo proprietario dalla partecipazione assembleare, utilità che, è bene chiarire subito, non paiono in alcun modo dirimenti, né risulta che non siano altrimenti conseguibili attraverso gli ordinari strumenti messi a disposizione del socio. Ritenuto, pertanto, insussistente il diritto a cautela del quale agisce in questa sede il ricorrente, va osservato che il dedotto diritto di informativa sulla gestione sociale e l'ulteriore diritto di impugnare la delibera assembleare - che secondo la prospettazione di parte sarebbero pregiudicati dal mancalo intervento - trovano piena attuazione indipendentemente dalla partecipazione all'assemblea, essendo attribuito al socio sia il diritto di in formazione e consultazione di cui all'art. 2476, comma li, c.c., sia, in ipotesi, il diritto di impugnazione della delibera (sotto tale ultimo profilo va comunque rilevata l'incertezza interpretativa in ordine alla sussistenza del diritto del socio nudo proprietario di impugnare delibere societarie, quantomeno laddove vi sia stato il voto favorevole del titolare del diritto parziario). Va, poi, osservato che la deduzione di parte ricorrente secondo cui la partecipazione all'assemblea sarebbe funzionale anche all'eventuale delibera in ordine all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità degli amministratori e alla conseguente possibile revoca degli stessi non appare dirimente ai fini che qui interessano. Invero, il socio di s.r.l. è legittimato aliunde alla proposizione dell'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori e può anche domandare al Tribunale l'adozione di provvedimenti cautelari di revoca degli amministratori medesimi (art. 2476, comma III, c.c.). Tali ultime considerazioni, da un lato, mettono in luce l'insussistenza di effettive utilità che potrebbero derivare al socio nudo proprietario dalla partecipazione all'assemblea, dando ulteriore conforto alla tesi secondo cui l'intervento è funzionale essenzialmente all'espressione del diritto di voto (in assenza del quale non ha alcun senso la partecipazione del nudo proprietario neppure a fini diversi - informativi o altro - come già evidenziato); dall'altro lato, evidenziano anche la carenza del requisito del periculum in mora, giacché i diritti a cautela dei quali il ricorrente deduce di agire non risultano irrimediabilmente pregiudicati dalla mancata partecipazione all'assemblea. Quanto, poi, al dedotto abuso del diritto dell'usufruttuario, la questione esula dall'esame svolto in questa sede riguardando semmai profili risarcitori azionabili dal nudo proprietario nei confronti dell'usufruttuario. In definitiva, nella fattispecie in esame difetta un apprezzabile interesse economico del socio nudo proprietario, interesse che deve pur sempre sottintendere ogni iniziativa nei confronti della società. Le considerazioni che precedono comportano il rigetto del ricorso.
Quanto alle spese di lite, atteso il contrasto interpretativo esistente in ordine alla questione di diritto sottesa alla fattispecie esaminata e considerata la sussistenza di un precedente di questo Tribunale di senso opposto, si ritengono sussistenti giusti motivi per la compensazione integrale delle spese di lite.

P.Q.M.
Il Tribunale di Firenze, visti gli artt. 669-septies e 700 c.p.c., così provvede: rigetta il ricorso e dichiara integralmente compensate le spese di lite. Manda alla cancelleria di comunicare il presente provvedimento alle parti.


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