Le dichiarazioni rese dall'imputato nel dibattimento penale sono soggette al libero apprezzamento del giudice civile
Pubblicato il 20/09/19 00:00 [Doc.6610]
di Redazione IL CASO.it


Le dichiarazioni rese dall'imputato nel dibattimento penale sono soggette al libero apprezzamento del giudice civile e non possono integrare una confessione giudiziale nel giudizio civile, atteso che questa ricorre, ai sensi dell'art. 228 c.p.c., soltanto nei casi in cui sia spontanea o provocata in sede di interrogatorio formale, quindi all'interno del giudizio civile medesimo.

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Cass. civ. Sez. VI - 1, Ord., 25 luglio 2019, n. 20255. Pres. Scaldaferri. Rel. Falabella.

Svolgimento del processo
1. - Con citazione notificata il 18 ottobre 2011 Finanza & Futuro Banca s.p.a. conveniva in giudizio innanzi alla Corte di appello di Bologna P.R. per sentire pronunciata la riforma della sentenza, resa tra le parti, dal Tribunale di Bologna: sentenza con cui era stata respinta l'opposizione a decreto ingiuntivo promossa dalla banca appellante. Infatti P. aveva agito in via monitoria deducendo che un promotore finanziario della banca oggi ricorrente, D.G.R., aveva posto in atto una truffa ai suoi danni per Euro 32.587.050, utilizzando somme provenienti da un precedente investimento effettuato dalla di lui madre, la quale era deceduta e di cui era erede.
In esito al giudizio di gravame la Corte emiliana respingeva l'appello.
2. - Ricorre per la cassazione della sentenza resa dal giudice distrettuale, facendo valere due motivi, Finanza & Futuro Banca, incorporata da Deutsche Bank. Resiste con controricorso P.R.. Parte ricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Motivi della decisione
1. - Col primo motivo è lamentata la motivazione apparente sulla questione concernente la prova dell'investimento che sarebbe stato eseguito dalla madre del ricorrente. Osserva l'istante che il Tribunale aveva affermato che l'asserita condotta distrattiva si era consumata in occasione di un non meglio precisato investimento della madre di P.R. contrassegnato con il numero 323682. Viene ricordato che essa banca aveva impugnato la sentenza contestando la prova della sussistenza di un investimento, così rubricato, a nome della madre dell'odierno controricorrente: infatti di tale asserito investimento non si rinveniva alcuna traccia nella documentazione prodotta da controparte e essa istante aveva dimostrato come la madre di P. avesse disinvestito tutte le somme precedentemente impiegate in operazioni finanziarie. Aggiunge la ricorrente che la controparte non aveva prodotto in giudizio un modulo sottoscritto dalla di lui madre riconducibile all'operazione identificata con il numero sopra richiamato. Ad avviso di Finanza & Futuro la motivazione spesa sul punto dalla Corte di appello risultava essere apparente, non risultando assolutamente chiaro sulla base di quali elementi il giudice del gravame avesse ritenuto esistente la condotta distrattiva ascritta al promotore finanziario.
Col secondo mezzo è denunciata la violazione dell'art. 2735 c.c., art. 2733 c.c., comma 3, e art. 1292 c.c.. La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha valorizzato le dichiarazioni confessorie rese dal promotore D.G. innanzi alle autorità inquirenti: dichiarazioni che l'istante asserisce essere inopponibili alla banca avendo riguardo al rilievo per cui, venendo in questione un'obbligazione solidale (tra l'intermediario e il detto promotore finanziario), si configurerebbe un litisconsorzio facoltativo fra gli obbligati in solido, di modo che la dichiarazione resa da uno dei litisconsorti non avrebbe potuto avere alcun effetto nei confronti degli altri.
2. - I due motivi di censura non appaiono fondati.
La Corte di merito ha ritenuto che P. abbia fornito idonea prova dell'operazione eseguita in proprio danno: con riguardo alla contestata appropriazione della somma versata al promotore dalla madre del predetto controricorrente, il giudice distrettuale ha osservato essere "plausibile che il D.G. non abbia inserito anche la madre dell'appellato nella lista delle persone offese con la sua illecita condotta, perchè ormai la signora B.G. era deceduta da oltre un decennio alla data della compilazione di detta lista e poi perchè, di fatto, con la successiva operazione di cui è causa, il danno era ricaduto sul P."; ha inoltre evidenziato che la prova dell'illecito era fornita dalla confessione operata in sede penale da D.G., oltre che dalla prova documentale fornita da P. e dalle affermazioni della società di intermediazione finanziaria, la quale aveva escluso fosse stata "mai trasmessa l'operazione di investimento riportata nella scheda" prodotta dall'appellato. La conclusione cui è pervenuta la Corte distrettuale si fonda, dunque, su quanto dichiarato dal promotore finanziario in sede penale e sulle risultanze della scheda di prenotazione di investimento, la quale dava conto di una operazione che l'odierna istante ha negato essere transitata attraverso di essa.
E' evidente, allora, che la censura finisca per investire l'apprezzamento del giudice del merito circa il valore rappresentativo dei suddetti elementi probatori. Ed è altrettanto evidente che sotto tale profilo non possa trovar riscontro il denunciato vizio motivazionale, dal momento che è deducibile in cassazione solo "l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in guanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali" (Cass. (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).
L'argomentazione posta a fondamento della decisione è, del resto,pienamente comprensibile, e tanto esclude la lamentata apparenza motivazionale. Infatti, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232).
Nè merita condivisione la doglianza formulata col secondo motivo, e incentrata sul valore probatorio conferito alle dichiarazioni rese, in sede penale, dal promotore finanziario. A prescindere dal rilievo per cui la censura non assume decisività, dal momento che non è questa l'unica evidenza probatoria valorizzata dal giudice di appello, mette conto di osservare che il giudice civile può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un procedimento penale (per tutte: Cass. 2 marzo 2009, n. 5009; Cass. 29 ottobre 2010, n. 22200; Cass. 20 gennaio 2017, n. 1593; Cass. 12 giugno 2017, n. 14570). Del resto, l'argomento fondato sul rilievo per cui le dichiarazioni confessorie rese dal promotore non potrebbero ridondare in pregiudizio dell'odierna istante va disatteso: e ciò non tanto perchè, in caso di litisconsorzio facoltativo, la confessione resa da uno dei litisconsorti ha valore di prova liberamente apprezzabile nei confronti delle altre parti del rapporto processuale (Cass. 4 maggio 2004, n. 8458; Cass. 6 dicembre 2005, n. 26686; Cass. 19 gennaio 2006, n. 1013), ma perchè, a monte, la disciplina della confessione è nella fattispecie inapplicabile e una dichiarazione di quel contenuto non potrebbe nemmeno vincolare il dichiarante nei termini propri di una confessione giudiziale o di una confessione stragiudiziale fatta all'altra parte: infatti, una confessione resa nel giudizio penale non ha efficacia di piena prova in sede civile, anche se può ivi essere considerata quale elemento indiziario (salvo che l'avversario abbia partecipato al giudizio penale come parte civile: circostanza in questa sede nemmeno dedotta, peraltro) (Cass. 27 luglio 2001, n. 10284; Cass. 6 aprile 2006, n. 8096); più in particolare, le dichiarazioni rese dall'imputato nel dibattimento penale sono soggette al libero apprezzamento del giudice civile e non possono integrare una confessione giudiziale nel giudizio civile, atteso che questa ricorre, ai sensi dell'art. 228 c.p.c., soltanto nei casi in cui sia spontanea o provocata in sede di interrogatorio formale, quindi all'interno del giudizio civile medesimo (Cass. 20 giugno 2013, n. 15464). In tal senso, l'obiezione basata sulla previsione dell'art. 2733 c.c., comma 3, non coglie affatto nel segno. Rettamente, quindi, la Corte di appello ha valutato la portata di tali dichiarazioni nel quadro dei complessivi elementi portati al suo esame.
3. - Il ricorso è respinto.
4. - Per le spese opera la regola della soccombenza.

P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 201, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6 Sezione Civile, il 26 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2019.


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