Rifiuto del padre di sottoporsi ad indagini ematologiche per l'accertamento della paternità naturale
Pubblicato il 27/01/20 09:01 [Doc.7135]
di Redazione IL CASO.it


Cass. Civ., Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 28886 del 08/11/2019.

Filiazione - Rifiuto di sottoporsi ad esami ematologici - Valenza probatoria indiziaria - Prova della fondatezza della domanda - Sufficienza.

Nel giudizio promosso per l'accertamento della paternità naturale, il rifiuto del preteso padre di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile dal giudice, ex art. 116, comma 2, c. p.c., di così elevato valore indiziario da consentire, esso solo, di ritenere fondata la domanda.





REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio - Presidente -
Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere -
Dott. IOFRIDA Giulia - Consigliere -
Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere -
Dott. NAZZICONE Loredana - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 863-2018 proposto da:
I.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato S. M.;
- ricorrente -
contro
R.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato P. A.;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 795/2017 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 23/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. NAZZICONE LOREDANA.

Svolgimento del processo
- che è stato proposto ricorso, sulla base di due motivi, avverso la sentenza della Corte d'appello di Bari n. 795 del 23 giugno 2017 la quale ha respinto l'impugnazione contro la decisione di primo grado, che aveva dichiarato la paternità giudiziale dell'odierno ricorrente e accolto anche le conseguenti domande accessorie avanzate da R.E., aventi ad oggetto l'obbligo di mantenimento e il risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti a causa dell'assenza della figura paterna;
- che si difende con controricorso R.E.;
- che il ricorrente ha depositato memoria;
- che è stata formulata la proposta per la trattazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., avverso cui non sono stati espressi rilievi.

Motivi della decisione
- che i motivi di ricorso possono essere così riassunti:
1) violazione e falsa applicazione dell'art. 2946 c.c., poichè il giudice di secondo grado ha riconosciuto all'odierna controricorrente il diritto al mantenimento sin dalla nascita;
2) nullità della sentenza e violazione e falsa applicazione dell'art. 269 c.c., comma 2, e dell'art. 116 c.p.c., comma 2, poichè la corte barese ha fondato la propria decisione sul rifiuto del ricorrente di sottoporsi all'esame ematico, senza valutare le ragioni di tale rifiuto (timore del nocumento fisico e psicologico arrecato da un esame così invasivo) e senza consentirgli di provare la propria estraneità alla vicenda attraverso prove testimoniali o, comunque, ricorrendo ad accertamenti che non implicassero prelievi ematici;
- che il primo motivo è inammissibile, poichè la corte di merito non ha operato il riconoscimento del diritto al mantenimento della controparte sin dalla nascita e nessuna domanda risultava formulata a tal titolo;
- che il secondo motivo è manifestamente infondato;
- che la decisione della corte d'appello risulta pienamente conforme ai principi elaborati da questa Corte per cui, "nel giudizio promosso per l'accertamento della paternità, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116 c.p.c., comma 2, di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda" (e multis Cass. 16226/2015; Cass. 6025/2015);
- che, peraltro, la corte di appello ha anche dato atto dell'acquisizione di elementi di confronto che suffragano l'attendibilità della ricostruzione fornita dalla R., quali la precedente azione -poi non coltivata - intrapresa diversi anni prima dalla madre della stessa al fine di ottenere una dichiarazione giudiziale di paternità;
- che, pertanto, la corte ha dato atto delle ragioni, conformi ai principi affermati, del proprio convincimento e non è, d'altronde, stato neppure addotto il vizio di cui all'art. 360 c.p.c. n. 5, comma 1;
- che la condanna alle spese segue la regola della soccombenza.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte costituita, di Euro 3.100 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, sono omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 53.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto disposto d'ufficio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019


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