Le Sezioni Unite sul danno da nascita indesiderata e sul diritto a non nascere se non sani; statuto giuridico del concepito e “vita” come bene supremo
Pubblicato il 10/01/16 16:26 [Doc.854]
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Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 22 dicembre 2015 n. 25767 (Pres. Rovelli, rel. Spritio, est. Bernabai)

Danno da nascita indesiderata – Onere della prova gravante sulla donna – Sussiste – Possibilità di ricorrere alle presunzioni - Sussiste

In materia di danno da nascita indesiderata, al fine di ottenere il risarcimento del danno, la donna è tenuta ad allegare e provare che, ove informata di gravi malformazioni del concepito che avrebbero giustificato l'interruzione volontaria della gravidanza, non avrebbe portato a termine la gestazione, non potendosi tuttavia escludere la possibilità di assolvere il relativo onere in via presuntiva. È da escludere, peraltro, che tale indagine debba approdare ad un'elencazione di anomalie o malformazioni che giustifichino la presunzione di ricorso all'aborto.

Concepito – Soggettività – Esclusione – Concepito come oggetto di tutela - Sussiste

Tenuto conto del naturale relativismo dei concetti giuridici, alla tutela del nascituro si può pervenire, in conformità con un indirizzo dottrinario, senza postularne la soggettività - che è una tecnica di imputazione di diritti ed obblighi - bensì considerandolo oggetto di tutela (Corte costituzionale 18 febbraio 1975 n. 27; Cass., sez. 3, maggio 2011 n. 9700; Cass. 9 maggio 2000, n. 5881). In altri termini, «si può essere destinatari di tutela anche senza essere soggetti dotati di capacità giuridica ai sensi dell'art. 1 c.c.».

Diritto a non nascere se non sano – Esclusione – Vita come bene supremo protetto dall’ordinamento – Sussiste

Elemento indispensabile della fattispecie risarcitoria è il danno-conseguenza, consacrato all'art. 1223 c.c. e riassumibile, con espressione empirica, nell'avere di meno, a seguito dell'illecito. Nel danno da lesione del diritto a non nascere se non sani, il nocumento riuscirebbe pertanto legato alla stessa vita del bambino; e l'assenza di danno alla sua morte, così incorrendosi in una contraddizione insuperabile: dal momento che il secondo termine di paragone, nella comparazione tra le due situazioni alternative, prima e dopo l'illecito, è la non vita, da interruzione della gravidanza. E la non vita non può essere un bene della vita; per la contraddizione che non lo consente. Tanto meno può esserlo, per il nato, retrospettivamente, l'omessa distruzione della propria vita (in fieri), che è il bene per eccellenza, al vertice della scala assiologica dell'ordinamento. Anche considerando norma primaria l'art. 2043 c.c., infatti, viene meno, in radice, il concetto stesso di danno ingiusto; oltre che reciso il nesso eziologico, sia pure inteso in base ai principi della causalità giuridica e nella sua ampiezza più estesa, propria della teoria della condicio sine qua non (generalmente rifiutata, peraltro, in materia di illecito civile). Non si può dunque parlare di un diritto a non nascere; tale, occorrendo ripetere, è l'alternativa; e non certo quella di nascere sani, una volta esclusa alcuna responsabilità, commissiva o anche omissiva, del medico nel danneggiamento del feto. Allo stesso modo in cui non sarebbe configurabile un diritto al suicidio, tutelabile contro chi cerchi di impedirlo: che anzi, non è responsabile il soccorritore che produca lesioni cagionate ad una persona nel salvarla dal pericolo di morte (stimato, per definizione, male maggiore). Si aggiunga, per completezza argomentativa, che seppur non è punibile il tentato suicidio, costituisce, per contro, reato l'istigazione o l'aiuto al suicidio (art. 580 c.p.): a riprova ulteriore che la vita - e non la sua negazione - è sempre stata il bene supremo protetto dall'ordinamento. Del resto, il presupposto stesso del diritto è la vita del soggetto.

Massime a cura di Giuseppe Buffone


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