Rapporti tra avvocato e cliente: le Sezioni Unite chiariscono la nozione di conflitto di interessi
Pubblicato il 17/04/21 00:00 [Doc.8975]
di Redazione IL CASO.it


Nei rapporti tra avvocato e cliente, la nozione di conflitto di interessi, ai sensi e per gli effetti dell'art. 24 del vigente codice deontologico forense (già art.37 del codice deontologico forense approvato dal CNF in data 17 aprile 1996) non va riferita, restrittivamente, alla sola ipotesi in cui l'avvocato si ponga in contrapposizione processuale con il suo assistito in assenza di un consenso da parte di quest'ultimo, ma comprende tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, il professionista si ponga processualmente in antitesi con il proprio assistito, come quando, nell'ambito di una procedura esecutiva, chieda l'attribuzione di somme del proprio assistito senza sostanzialmente cessarne la difesa, potendo essere il conflitto anche solo potenziale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza del CNF che aveva sanzionato un avvocato, il quale, con il patrocinio di un collega di studio, era intervenuto per il recupero di un proprio credito professionale nella procedura esecutiva iniziata contro il suo assistito, la cui difesa aveva affidato ad altro collega di studio, circostanza ritenuta sintomatica di una rinuncia solo fittizia al mandato).

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Cassazione civile sez. un. - 12/03/2021, n. 7030. Pres. DI IASI, Rel. CRISCUOLO.
Fatto
1. Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 170 del 2020, confermò il provvedimento del Consiglio Distrettuale di Disciplina del Veneto che aveva irrogato all'avv. T.G. la sanzione disciplinare della sospensione per mesi tre, ritenendolo responsabile dei capi di incolpazione sub 2 e 4 della contestazione disciplinare, e, specificamente: 2) per aver prestato, nell'interesse del sig. B.A., attività professionale consistita nella redazione e notifica dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo n. 1999/13, pronunciato dal Tribunale di Vicenza su richiesta di B.L., dopo che aveva agito nei confronti dello stesso B.A. per il recupero di un credito professionale intervenendo, con il patrocinio del collega di studio F.M., nell'esecuzione presso terzi n. 3040/13 R.E. del Tribunale di Vicenza - CE Dott. P. S. che era stata promossa in danno del predetto B.A. dal cugino B.L., in forza del sopradetto decreto ingiuntivo e, quindi, in conflitto con gli interessi della parte assistita. Così violando l'art. 37 del Codice Deontologico Forense approvato dal CNF in data 17.4.1996 (art. 24, comma 1, del vigente Codice Deontologico) In Schio e Vicenza nell'ottobre 2013; 4) per aver affidato alla collega di studio Avv. Z.M. la difesa di B.A. con cui era in conflitto di interessi per essere intervenuto, con il patrocinio dell'avv. F.M. pure collega di studio, per un proprio credito nell'esecuzione presso terzi n. 3040/14 del Tribunale di Vicenza GE Dott. P. S., che era stata promossa in suo danno dal cugino B.L. al fine di invocare in compensazione un credito del debitore esecutato nei confronti del procedente, facendola agire, in tal modo, in regime di conflitto di interessi, così violando gli artt. 1-5-6 del Codice deontologico forense approvato dal CNF in data 17.4.1996 (art. 24 comma 1 del vigente Codice Deontologico) in (OMISSIS).
2. Dalla sentenza emergono i seguenti fatti: l'avv. T., per conto del suo cliente B.A., aveva notificato a B.L. un atto di precetto per ottenere il pagamento delle spese di lite liquidate in favore del suo assistito all'esito di un contenzioso civile; B.L. aveva ottenuto dal Tribunale di Vicenza decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nei confronti di B.A. per la somma capitale di Euro 55.000,00, in forza del quale, con atto di pignoramento presso terzi notificato il 10 settembre 2013, aveva provveduto a pignorare su conto corrente bancario intestato al debitore la somma di Euro 37.156,33; nella procedura esecutiva originata dall'atto di pignoramento intervenivano: lo stesso T., rappresentato e difeso dal collega di studio F.M., per un credito professionale di Euro 14.000,00, fondato su assegno bancario tratto da B.A. il 25 agosto 2013, costituito dalle spese e competenze maturate nella causa per la quale B.A. aveva notificato il precedente atto di precetto; V.L., madre dell'esecutato B.A., sempre a ministero dell'avv. F.M., per un credito di Euro 70.000,00, fondato su un assegno bancario tratto in data (OMISSIS), consegnato dall'esecutato alla madre a saldo di un pregresso debito derivante da mutuo in precedenza concesso al figlio; si costituiva anche il debitore esecutato, rappresentato e difeso dall'avv. Z.M. - che collaborava stabilmente con l'avv. T. nello stesso studio professionale - per opporre in compensazione il proprio credito derivante dall'atto di precetto prima citato.
Successivamente l'avv. T.G., difeso dall'avv. F., interveniva nella medesima procedura per un ulteriore credito professionale di Euro 6.000,00 per le competenze maturate per aver predisposto, nell'interesse di B.A., l'opposizione al decreto immediatamente esecutivo in forza del quale B.L. aveva dato avvio alla procedura di pignoramento.
3. Il Consiglio Distrettuale riteneva indimostrata la tesi, sottesa al primo capo di incolpazione, secondo cui l'avv. T. sarebbe stato il dominus di un'operazione volta alla creazione di titoli esecutivi fittizi finalizzati a ostacolare la soddisfazione del credito di B.L., escludeva inoltre la responsabilità per l'incarico dell'avv. F., non ravvisando nei confronti di quest'ultimo un conflitto di interessi. Riteneva sussistente la duplice violazione di cui ai residui capi di incolpazione, essendo provato che l'avv. T., benchè avesse formalmente rinunciato ai mandati nei confronti del sig. B.A., dopo l'intervento nell'azione esecutiva aveva proseguito la difesa del cliente provvedendo a redigere a suo vantaggio l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo che di quell'azione esecutiva costituiva il titolo e, inoltre, nella procedura esecutiva in cui era parte, quale creditore interveniente, formalmente e sostanzialmente opposta al sig. B.A., quest'ultimo era stato assistito dall'avv. Z.M., collaboratrice dell'avv. T., la quale all'epoca dei fatti esercitava la professione presso lo studio di quest'ultimo, incaricata per fornire "formalmente" un difensore diverso da lui.
4. Il Consiglio Nazionale Forense confermò la decisione rilevando, tra l'altro, che era ravvisabile la violazione dei canoni deontologici attinenti ai doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza e dell'assenza di conflitto di interessi nel comportamento di un avvocato che assiste il cliente, agisce contro di lui per le proprie spettanze rinunciando ai precedenti mandati, lo rappresenta contestando in opposizione lo stesso titolo in forza del quale agisce nella procedura esecutiva presso terzi contro di lui, si trova in posizione avversa alla collega di studio che assiste il vecchio cliente esecutato e infine riprende il mandato non appena concluso il procedimento esecutivo.
5. Avverso la sentenza veniva proposto ricorso per cassazione dall'avvocato sulla base di due motivi.
6. Il ricorrente formulava istanza di sospensione dell'esecutività della decisione del Consiglio Nazionale Forense ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6.
7. L'intimato Consiglio dell'ordine territoriale non ha compiuto attività difensiva in questa sede.
8. Il ricorso è stato quindi esaminato in Camera di consiglio senza l'intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, secondo la disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione 18 dicembre 2020, n. 176.

Motivi
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all'art. 37 del codice deontologico forense approvato il 17/4/1996 e dell'art. 24, comma 1 del vigente codice deontologico, nonchè dell'art. 34 del vigente codice deontologico - art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - nonchè dell'art. 2909 c.c. - Omessa valutazione di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5).
Osserva che, poichè nella decisione del CDD si legge che è vero che era obbligo dell'avv. T. proseguire la difesa del cliente per proporre opposizione all'ingiunzione in ragione dell'urgenza, stante la scadenza a breve dei termini, la condotta era stata ritenuta corretta da quell'organo e la decisione non impugnata sul punto, sicchè ne discendeva, per un verso, la legittimità del comportamento dell'incolpato, con violazione da parte del CNF della norma deontologica attinente al conflitto di interessi, per altro verso la violazione dell'art. 2909 c.c..
La sentenza, inoltre, riconosceva che l'attività nella procedura esecutiva era stata svolta con il consenso dell'assistito, sicchè non esisteva, neppure potenzialmente, un conflitto di interessi, anzi vi era convergenza di intenti circa l'an ed il quantum della pretesa a titolo di spese legali e le modalità di realizzazione del diritto di credito del legale.
Il conflitto di interessi, inoltre, non era ravvisabile perchè non vi era una situazione di effettivo contrasto tra il legale e l'assistito in ordine al pagamento delle competenze professionali.
Osservava che non poteva essere ritenuta fittizia una rinuncia solo perchè seguita dall'attribuzione di un nuovo incarico professionale, dal momento che il codice deontologico non vieta di riacquisire l'incarico in favore della parte assistita dopo la conclusione del recupero giudiziale del credito professionale. L'aver chiesto alla collega di studio la difesa del proprio assistito non integrava, poi, la condotta di cui al capo 4, poichè la collega non era intervenuta nell'esecuzione per contrastare il credito dell'avvocato T. ma per contrastare quello del creditore procedente, con eccezione conforme sia agli interessi dell'avv. T. che del debitore.
1.1 Il motivo è infondato.
In primo luogo, nessuna violazione della disciplina del giudicato è ipotizzabile in mancanza della presunta statuizione circa la legittimità, perchè giustificata dall'urgenza, della condotta dell'avv. T. relativa alla proposizione dell'opposizione a ingiunzione per il proprio assistito anche dopo l'intervento nella procedura esecutiva. Nella decisione del CDD, infatti, per come si legge nella sentenza impugnata, "è sottolineato come la concatenazione temporale di apparenti rinunce al mandato e l'immediata riassunzione dell'incarico subito dopo il termine dell'azione esecutiva rendesse evidente l'intento dell'odierno ricorrente di raggirare la norma deontologica che impone di rinunciare al mandato nei confronti del cliente nel momento in cui vi è l'intenzione di agire nei suoi confronti per il recupero di un credito professionale", così da far apparire la rinuncia al mandato "solo fittizia", come confermato dalla circostanza che lo stesso avvocato era poi intervenuto nell'esecuzione facendolo assistere da una collega di studio nella stessa procedura in cui egli era creditore (circostanze, queste, confermate, circa la consapevolezza del conflitto di interessi da parte del ricorrente e del suo intento di fornire "formalmente" un diverso difensore, dalla testimonianza della stessa collega di studio avv. Z.).
Il motivo è infondato anche sotto l'altro profilo evidenziato dal ricorrente, posto che la concatenazione degli eventi era stata ritenuta dal CNF significativa di una sostanziale assenza di rinuncia effettiva al mandato, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede, nè vale circoscrivere la nozione di conflitto di interessi al solo caso in cui l'avvocato si ponga in contrapposizione processuale con il suo assistito in assenza di un consenso da parte di quest'ultimo, poichè il conflitto si evidenzia in tutti i casi i cui, per qualsiasi ragione, ci si ponga processualmente in antitesi con il proprio assistito, il che avviene, specificamente, quando in una procedura esecutiva si chieda l'attribuzione di somme del proprio assistito senza sostanzialmente cessare la difesa di quest'ultimo, potendo essere il conflitto anche solo potenziale (si veda al riguardo i principi affermati in tema di invalidità del conferimento del secondo mandato in ipotesi di procure rilasciate a distinte parti in conflitto di interessi, anche solo potenziale, e precisamente Cass. n. 14634 del 14/07/2015, a mente della quale "Qualora la difesa di due parti, tra loro in conflitto anche solo potenziale di interessi, sia stata affidata allo stesso avvocato, la parte che abbia conferito per seconda la procura a quest'ultimo deve ritenersi non costituita in giudizio, perchè un difensore non può assumere il patrocinio di due parti che si trovino o possono trovarsi in posizione di contrasto").
Va poi ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 19705/2012) nei procedimenti disciplinari a carico di avvocati, la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare definite dalla legge mediante una clausola generale (abusi o mancanze nell'esercizio della professione o comunque fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale) è rimessa all'Ordine professionale, ed il controllo di legittimità sull'applicazione di tali norme non consente alla Corte di cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nell'enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, che attiene non alla congruità della motivazione, ma all'individuazione del precetto e rileva, quindi, ex art. 360 c.p.c., n. 3 (conf., ex multis, Cass. S.U. n. 20024/2004).
In particolare, Cass. S.U. n. 1414/2004 ha ribadito tale principio anche in relazione all'accertamento di fatti ritenuti idonei a configurare il conflitto di interessi tra cliente ed avvocato, sicchè la verifica in fatto operata dal giudice disciplinare, in quanto connotata da motivazione logica e coerente, è insuscettibile di censura in sede di legittimità.
2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all'art. 37 del codice deontologico forense approvato il 17/4/1996 e dell'art. 24, comma 1 del vigente codice deontologico, nonchè dell'art. 34 del vigente codice deontologico (già art. 46 previgente codice) - art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Rileva che, non configurando le condotte contestate violazione della norma in tema di conflitto di interessi, poichè la norma deontologica che fissa l'impossibilità di mantenere mandati conferiti alla parte assistita quando si agisce contro la stessa per ottenere il riconoscimento dei propri crediti professionali fa riferimento all'ipotesi in cui sussista una situazione di divergenza tra la parte e il legale in ordine all'esistenza e quantificazione degli onorari, anche a volere ipotizzare che l'attuale art. 34, sia stato violato, il consiglio nazionale forense avrebbe dovuto, in applicazione del principio fissato della L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5, irrogare la violazione prevista da tale norma, cioè la censura.
Le ragioni poste a fondamento del rigetto del primo motivo militano anche per il rigetto del secondo, nè può ravvisarsi la meno grave ipotesi di cui all'art. 34 nuovo codice, per la quale è prevista la censura, in ragione della significativa concatenazione di eventi posta in rilievo in sentenza al fine di mettere in evidenza il carattere sostanzialmente fittizio della rinuncia al mandato, posto che anche in tal caso la critica del ricorrente mira a porre in discussione un accertamento in fatto operato dal giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità.
L'esclusione poi della configurabilità della diversa fattispecie sanzionatoria di cui all'art. 34 del vigente codice deontologico, corrispondente all'art. 46 della previgente norma, esclude altresì la fondatezza della doglianza quanto alla pretesa di fare applicazione della norma sopravvenuta più favorevole.
3. Il ricorso è pertanto rigettato.
4. La decisione del ricorso determina poi l'assorbimento della richiesta del ricorrente di disporre la sospensione dell'esecutività della decisione gravata.
5. Nulla a disporre quanto alle spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell'intimato.
6. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso
Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dallaL. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021.


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