Confermata la sanzione al Consiglio Nazionale Forense - CNF per comportamento anti concorrenziale
Pubblicato il 25/03/16 08:28 [Doc.976]
di Redazione IL CASO.it


Consiglio di Stato 22 marzo 2016, n. 11064. Caringella, Presidente. Lopilato Estensore.

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Nella fattispecie concreta il CNF ha adottato atti che, per il loro contenuto, devono essere qualificati come “decisioni” di imprese in quanto idonee ad incidere sul comportamento economico dell’attività professionale svolta dagli avvocati. La negazione di un diritto alla diffusione di una peculiare forma di pubblicità rappresenta, infatti, una condotta in grado di limitare l’ambito di mercato da parte di chi esercita la professione di avvocato.
Ne consegue che, in applicazione dell’orientamento giurisprudenziale sopra riportato, deve ritenersi che, nella specie, la peculiare attività svolta dal CNF lo qualifica non come ente pubblico nell’esercizio di funzioni amministrative o sostanzialmente giurisdizionali ma come “associazione di imprese”.

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Il sistema «Amica Card», come correttamente rilevato dal primo giudice, è finalizzato a mettere a disposizione dell’avvocato, in cambio di un corrispettivo, un spazio on line nel quale questi può presentare l’attività professionale svolta e proporre uno sconto al cliente che decide di avvalersi dei suoi servizi. La circostanza che l’accesso sia assicurato a tutti gli utenti ovvero, come ritenuto dall’appellante, solo agli affiliati al circuito, non è di per sé, in assenza della dimostrazione di elementi qualificanti incompatibili con la deontologia e con il decoro della professione, idonea ad assegnare valenza illecita all’operazione. Allo stesso modo non rilevante, nella prospettiva in esame, è il rilievo difensivo relativo alla mancata indicazione dello sconto e dell’attività svolta. Né risulta che «Amica Card» svolga un’attività di intermediazione dai connotati diversi da quelli sopra esposti.
In definitiva, si è in presenza di una nuova modalità di pubblicità dell’attività professionale che, per quanto si discosti, in alcune sue componenti, dai modelli tradizionali, presenta i caratteri di una attività lecita espressione dei principi di libera concorrenza.

omissis...
Nella fattispecie in esame, l’intesa contestata è “per oggetto”. Il CNF ha, infatti, ritenuto non consentita una modalità di pubblicità che è finalizzata a tutelare la concorrenza tra professionisti. L’ “oggetto” dell’intesa è stato, pertanto, quello di rendere più difficoltoso l’accesso al mercato delle professioni di avvocato. Non occorreva, conseguentemente, che l’Autorità svolgesse accertamenti concreti volti a stabilire se, in effetti, il parere avesse inciso sulla libera concorrenza. Né potrebbe ritenersi che, avendo l’AGCM svolto questa valutazione, ritenuta erronea, non si potrebbe più qualificare l’intesa come “per oggetto”. Il comportamento dell’Autorità non può, infatti, incidere su una qualificazione giuridica che spetta all’autorità giudiziaria.

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La circolare n. 22 del 2006 contiene «osservazioni sulla interpretazione e applicazione» del predetto decreto n. 223 del 2006 e, in una sua parte, dispone che «il fatto che le tariffe minime non sia più “obbligatorie” non esclude che (...) le parti contraenti possano concludere un accordo con riferimento alle tariffe». Subito dopo si aggiunge che «tuttavia nel caso in cui l’avvocato concluda patti che prevedano un compenso inferiore al minimo tariffario, pur essere il patto legittimo civilisticamente, esso può risultare in contrasto con gli articoli 5 e 43, comma 2, del codice deontologico, in quanto il compenso irrisorio, non adeguato, al di sotto della soglia ritenuta minima, lede la dignità dell’avvocato e si discosta dall’art. 36 Cost.».
Questa circolare integra gli estremi di una intesa “per oggetto” avendo un chiarito contenuto anticoncorrenziale.


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