Assegno divorzile: il tribunale di Roma "mitiga" gli effetti del nuovo orientamento di Cassazione
Pubblicato il 15/01/18 00:00 [Doc.4133]
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Trib Roma, sez. I civ., sentenza 21 luglio 2017 (Pres. Mangano, rel. Pratesi)

DIVORZIO - ASSEGNO DIVORZILE - SPETTANZA - INDIPENDENZA ECONOMICA - PRECISAZIONI - POSIZIONE SOCIALE DELL'AVENTE DIRITTO - RILEVANZA - SUSSISTE

In virtù dei principi enunciati dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 10/05/2017 n. 11504, nel giudizio diretto al riconoscimento dell'assegno divorzile, occorre in via preliminare accertare (prescindendo dunque da qualsiasi comparazione con le condizioni dell'altro coniuge e con il pregresso tenore di vita) se il coniuge richiedente versi o meno in una condizione di obiettiva indipendenza economica, desunta - salvi casi specifici - da indicatori quali il possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge richiedente), le capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), la stabile disponibilità di una casa di abitazione. Una volta escluso che il coniuge, all'esito del giudizio di cui sopra, operato sulla base del principio di autoresponsabilità economica, si trovi (in atto o in potenza) in una simile condizione di indipendenza, ed abbia quindi in linea astratta diritto a percepire l'assegno divorzile, occorre fare riferimento, sulla base del concorrente principio della solidarietà postconiugale, ai criteri di commisurazione indicati dall'art. 5 l div. ("(....) condizioni dei coniugi, (....) ragioni della decisione, (....) contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, (....) reddito di entrambi (....)"), e "valutare" "tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio" al fine di determinare in concreto la misura dell'assegno di divorzio. Questi principi devono però essere integrati dagli elementi in fatto emergenti dal caso concreto: infatti, nel considerare le esigenze minime che possono e devono essere salvaguardate in virtù della solidarietà postconiugale, occorre avere riguardo anche alla posizione sociale dell'avente diritto (elemento cui fanno richiamo persino le disposizioni che regolano l'obbligo agli alimenti - v. art. 438 c.c.).

Ragioni di fatto e di diritto della decisione

Tra le parti del presente giudizio è già intervenuta sentenza non definitiva di scioglimento del vincolo matrimoniale; la causa perviene dunque oggi alla decisione del collegio sull'unico tema controverso costituito dalla domanda formulata dalla resistente di vedersi attribuire un consistente assegno divorzile in ragione del notevole divario reddituale dal coniuge, neurochirurgo di fama internazionale.
La richiesta è avversata dal ricorrente, il quale sostiene da un lato che la moglie goda di ampia autonomia, in quanto percettrice di adeguati redditi (lavora presso una organizzazione internazionale con contratti a termine), dall'altro che le proprie risorse si sarebbero sensibilmente ridimensionate rispetto al tempo della separazione, sia in ragione della contrazione della sua attività lavorativa, sia della nascita di un figlio avvenuta nel 2012, sia della ingente esposizione maturata nei confronti del fisco (oltre 500mila euro), in corso di ripianamento attraverso una onerosa rateazione.


E' noto che nella materia, sino a poco tempo fa oggetto di letture giurisprudenziali pressoché univoche, è intervenuto un recentissimo arresto della Corte di Cassazione, la cui sezione prima, con la sentenza 10/05/2017 n° 11504, ha ampiamente rimesso in discussione quello che da taluni era definito “il dogma” della conservazione del tenore di vita matrimoniale.
Dato per presupposto che il giudizio sulla spettanza dell'assegno doveva essere orientato dal c.d. criterio assistenziale, il significato ed il contenuto unanimemente attribuito a tale espressione era quello di legittimare l'imposizione di un contributo al coniuge più abbiente laddove i mezzi dell'altro si rivelassero insufficienti a mantenere un tenore di vita comparabile con quello tenuto in costanza di matrimonio; l'assegno, in tale accezione, veniva dunque a riparare e riequilibrare “l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche”.

Nella innovativa visione della Cassazione, al contrario, occorre in via preliminare accertare (prescindendo dunque da qualsiasi comparazione con le condizioni dell'altro coniuge e con il pregresso tenore di vita) se il coniuge richiedente versi o meno in una condizione di obiettiva indipendenza economica, desunta - salvi casi specifici - da indicatori quali il possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge richiedente), le capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Una volta escluso che il coniuge, all'esito del giudizio di cui sopra, operato sulla base del principio di autoresponsabilità economica, si trovi (in atto o in potenza) in una simile condizione di indipendenza, ed abbia quindi in linea astratta diritto a percepire l'assegno divorzile, occorre fare riferimento, sulla base del concorrente principio della solidarietà postconiugale, ai criteri di commisurazione indicati dall'art. 5 l div. ("(....) condizioni dei coniugi, (....) ragioni della decisione, (....) contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, (....) reddito di entrambi (....)"), e "valutare" "tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio" al fine di determinare in concreto la misura dell'assegno di divorzio.

La sentenza rimarca dunque la distanza tra i doveri di assistenza che presiedono il rapporto di coniugio dai più attenuati doveri di solidarietà postconiugale.
Ora, ad una prima lettura, la situazione dei coniugi Yyyy - Xxxx sembra rientrare nel novero dei casi che - alla luce dei criteri ermeneutici proposti dalla Cassazione - dovrebbero condurre alla reiezione della domanda di assegno divorzile; la resistente infatti lavora per un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite (…..) con contratti a termine (sin qui costantemente rinnovati) e redditi netti annui che si attestano mediamente intorno ai 35.000 euro; nessun accostamento è possibile pertanto tra la persona di Xxxx Xxxx e l'immagine di un coniuge in condizioni di necessità o bisogno.
E tuttavia a parere del collegio è opportuno integrare i principi pur condivisibili da cui muove la sentenza in commento (in particolare la resistenza a soluzioni che determinano nei fatti una sorta di rendita di posizione, inconciliabili con la stessa evoluzione sociale del matrimonio), con ulteriori considerazioni che consentano un effettivo adattamento dell'istituto dell'assegno divorzile alle peculiarità delle diverse realtà familiari.

La ricostruzione della storia della coppia, come emerge dagli atti e dalle testimonianze, restituisce l'immagine di una donna che consapevolmente ha lasciato per diversi anni il proprio lavoro presso …… (ove era inquadrata a tempo indeterminato) per seguire il marito in … dove egli svolgeva la propria attività ….; tutti i testimoni hanno riferito dell'attenzione che la Xxxx ha manifestato verso il coniuge, intessendo una fitta rete di relazioni sociali che hanno in qualche modo agevolato la brillantissima carriera di lui; si evince poi che solo una volta ristabilita prevalente residenza a Roma la donna abbia ripreso (a far data dal 2000) la propria attività presso ….., ma senza essere più inquadrata stabilmente, bensì unicamente con contratti a tempo determinato.
Altra vicenda che appare significativa nella ricostruzione della vita familiare è quella che attiene alla casa familiare (prestigioso appartamento in zona centrale …), acquistata dal marito e da questi intestata alla moglie in concomitanza con il matrimonio (circostanza non contestata) e quindi dalla moglie stessa conferita in una società immobiliare (……srl) costituita nel 2005 (circa un anno prima dell'avvio della separazione) di cui la maggioranza delle quote era detenuta dalla madre di Yyyy, che ne era anche amministratrice; poco dopo la Xxxx aveva ceduto le proprie quote della ….. ad una ulteriore società (intestazione cui ella aveva attribuito natura fiduciaria e che le era stata suggerita per conseguire vantaggi fiscali); di tali passaggi è dato conto nella sentenza che nel maggio 2013 ha accolto la domanda di rilascio dell'immobile, formulata dalla ….in danno della Xxxx, la quale dunque, in seguito ad una serie di operazioni immobiliari da cui non ha palesemente tratto alcun tipo di vantaggio, si è trovata improvvisamente priva dell'abitazione di cui sino ad alcuni anni prima era titolare esclusiva.

Poste queste premesse “storiche”, va altresì considerato che i redditi fiscalmente emersi dell'odierno ricorrente si attestano intorno ai 26.000,00 euro netti mensili, ma che il susseguirsi di accertamenti fiscali nei suoi confronti, qui ostentato al fine di rappresentare una condizione di minore forza economica, evidenzia in realtà la produzione di ben maggiori introiti; il tenore di vita che traspare dalle testimonianze e dalla documentazione prodotta è comunque elevatissimo. Ora è vero che la rilevanza ermeneutica dello stile di vita pregresso, come si è detto, è destinata ad essere fortemente se non del tutto ridimensionata nella valutazione del diritto all'assegno; resta però il fatto che nel considerare le esigenze minime che possono e devono essere salvaguardate in virtù della solidarietà postconiugale, occorre avere riguardo anche alla posizione sociale dell'avente diritto (elemento cui fanno richiamo persino le disposizioni che regolano l'obbligo agli alimenti - v. art. 438 c.c.).
Nel caso dei coniugi Xxxx - Yyyy, in particolare, risulta innegabile che la moglie - lungi dall'essersi adagiata sul tenore di vita offertole dal marito - si sia adoperata, non appena ritrovata una stabilità residenziale, per mettere a frutto per quanto possibile le competenze professionali in passato acquisite, ma che abbia comunque scontato in qualche modo gli anni in cui, per seguire le esigenze di carriera del marito, si era trovata nella necessità di lasciare il proprio posto di lavoro: se non altro in termini di minore sicurezza della attuale posizione lavorativa, che si articola oggi in una serie di contratti a tempo determinato anziché come in precedenza in uno stabile inquadramento. Tale minore certezza riveste tanto maggiore rilievo in quanto ad oggi ella si trova nella necessità di prendere in locazione un immobile, essendo del tutto prova di beni patrimoniali, a seguito del conferimento della sua abitazione nella società amministrata dalla madre del marito, nella quale la Xxxx non ha conservato alcuna partecipazione.
Non si tratta dunque di intervenire in funzione equilibratrice di una condizione personale indubbiamente disallineata, né di ricondurre il tenore di vita dell'ex moglie agli standards di cui aveva in precedenza beneficiato, quanto di evitare che ella - ad onta del contributo obiettivamente fornito al menage coniugale (se non altro col rendersi disponibile ad una vita itinerante in funzione degli interessi professionali del coniuge) possa trovarsi oggi - ad esempio - nella difficoltà di mantenere una soluzione abitativa adeguata al proprio livello professionale e sociale.
In tale contesto, pare al collegio che (ferme per il passato le misure adottate in via provvisoria) l'attribuzione di un assegno divorzile di € 1.600,00 mensili, sia soluzione adeguata ad assicurare un giusto assetto post - matrimoniale, sì da garantire alla moglie una prospettiva di stabilità abitativa nonostante la mancanza di beni patrimoniali, e sotto questo profilo liberarla da una potenziale condizione di incertezza legata alla non prevedibilità del suo futuro lavorativo. Tale soluzione, pur nel rispetto delle linee guida tracciate dal giudice di legittimità (posto che ben altra commisurazione si sarebbe avuta nel tentativo di equilibrare le due economie), consente dunque di adeguarne l'applicazione alla particolarità del caso concreto.
Le spese di lite vengono compensate in presenza di margini di soccombenza reciproca.

p.q.m.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle condizioni del divorzio tra i coniugi

- Fermi per il passato i provvedimenti vigenti, a far data dal mese successivo alla presente pronuncia pone a carico del ricorrente Yyyy Yyyy l'obbligo di corrispondere a Xxxx Xxxx un assegno divorzile di € 1.600,00 mensili, da corrispondere al domicilio dell'avente diritto entro il giorno 5 di ogni mese, soggetto a rivalutazione istat.
- Compensa le spese di lite tra le parti.
Così deciso in Roma, in data 21/07/2017







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