Giudice delegato che autorizza l'azione e non si astiene: la sentenza non è nulla
Pubblicato il 13/05/19 00:00 [Doc.6227]
di Redazione IL CASO.it


In applicazione della L. Fall., art. 25, comma 2, il giudice che abbia autorizzato il ricorso per la dichiarazione di fallimento non può, in quanto incompatibile, prendere parte alla decisione del ricorso suddetto ed ha un obbligo di astensione, la cui violazione però, ove non seguita dall'istanza di ricusazione della parte interessata, non comporta la nullità della sentenza.

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Corte di Cassazione, sez. I Civile, 8 maggio 2019, n. 12057. Presidente Didone. Relatore Federico.

Fatti di causa
La Corte d'Appello di Venezia ha dichiarato la nullità della sentenza di fallimento della * srl in quanto il collegio che ha pronunciato il fallimento di * srl, dichiarato su istanza della curatela del fallimento (*) sas di A.P. , in violazione della L. Fall.. art. 25, era stato composto anche dal giudice che, in qualità di giudice delegato, aveva autorizzato la curatela di quel fallimento a proporre le azioni stragiudiziali e giudiziali nei confronti di * srl indicate nel parere redatto dal legale (nonché ogni altra azione volta al recupero del credito vantato dalla procedura e/o restituzione dei rami di azienda), come richiesto dal curatore nell'istanza depositata il 14.3.2016.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, con tre motivi, il fallimento *.
Il fallimento (*) ha proposto ricorso incidentale, con quattro motivi, avverso la medesima sentenza.
* srl nonché (*) srl, quale soggetto giuridico risultante dalla fusione delle società denominate * srl ed (*) srl, resistono con controricorso.
Pure la curatela del fallimento (*) ha depositato controricorso.

Ragioni della decisione
Deve preliminarmente rilevarsi la carenza di legittimazione processuale di (*) srl, quale soggetto giuridico risultante dalla fusione delle società denominate * srl, con sede in (*) ed (*) srl, con sede in *.
Si osserva che in assenza dell'iscrizione dell'atto di fusione, a seguito dell'opposizione da parte della curatela del fallimento (*) sas alla deliberazione di fusione ex art. 2503 c.c., la fusione medesima non è opponibile ai terzi ed in particolare, ai sensi della L. Fall., art. 45, non è opponibile al fallimento della * srl..
Deve al riguardo ritenersi irrilevante sia l'eccepito difetto di legittimazione del curatore - peraltro insussistente in conseguenza dell'efficacia sanante ex tunc dell'autorizzazione del GD (ex multis Cass. 15939/2007), pacificamente intervenuta il 2.11.2016, sia la conoscenza de facto della delibera di fusione. Ciò che rileva, ai fini della L. Fall., art. 45, è la mancata iscrizione dell'atto di fusione nel registro delle Imprese alla data della dichiarazione di fallimento di una delle società partecipanti, con conseguente inopponibilità della fusione al fallimento della società medesima (nel caso di specie la * srl).
Ciò posto, il primo mezzo del ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 25 e art. 51 c.p.c., per avere la Corte d'Appello ricondotto la fattispecie di cui alla L. Fall., art. 25, comma 2 ad un'ipotesi di astensione obbligatoria ex art. 51, comma 1 e non anche di astensione facoltativa ex art. 51 c.p.c., comma 2.
Il secondo mezzo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52 c.p.c., nonché dell'art. 158 c.p.c. e dell'art. 113 disp. att. c.p.c., per avere la corte d'appello ritenuto nulla la sentenza emanata in violazione dell'obbligo di astensione del giudice, mentre tale violazione avrebbe potuto essere fatta valere esclusivamente con l'istanza di ricusazione L. Fall., ex art. 52, istanza che nel caso di specie non è stata proposta.
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 158, 353 e 354 c.p.c. in quanto la corte territoriale, rilevata un'ipotesi di nullità della sentenza che non consentiva la rimessione al giudice di primo grado, si era limitata ad annullare la sentenza, omettendo di decidere il merito della controversia.
Sostanzialmente adesivo al ricorso principale e fondato sulle medesime censure alla sentenza impugnata è il ricorso incidentale del fallimento (*) sas, già creditore istante, articolato su quattro motivi, che denuncia la violazione della L. Fall., art. 25, comma 2 (primo mezzo), degli artt. 51, 158 e 156 c.p.c. (secondo mezzo), dell'art. 52 c.p.c. e art. 113 disp. att. c.p.c. (terzo mezzo), dell'art. 354 c.p.c. (quarto mezzo).
Il primo e secondo motivo del ricorso principale, sostanzialmente corrispondenti ai primi tre motivi del ricorso incidentale, che, per la stretta connessione, vanno unitariamente esaminati, sono fondati.
È infatti vero che l'art. 25 comma 2 L.F. è applicabile al caso di specie, giacché la norma pone ai sensi dell'art. 25 comma 1 n. 6) un generale divieto per il G.D. di trattare i giudizi che abbia autorizzato, tra cui, alla luce dell'ampia formulazione normativa rientra anche il caso del ricorso per la dichiarazione di fallimento, autorizzato dal G.D. (Cass. 12066/2017).
La norma, tuttavia, pone un'ipotesi di incompatibilità, riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4), in quanto il provvedimento autorizzatorio adottato dal G.D. presuppone una delibazione sulla fondatezza dell'azione, che, a differenza di quanto previsto dalla normativa antecedente, integra un'ipotesi di astensione obbligatoria, ora tipizzata dalla L. Fall., art. 25, comma 2.
Da ciò la conseguenza che in tal caso il giudice delegato che ha prestato l'autorizzazione non è privo della potestas iudicandi essendo unicamente configurabile un obbligo di astensione, suscettibile di essere fatto valere dall'interessato attraverso la ricusazione ai sensi dell'art. 52 c.p.c..
Secondo il consolidato indirizzo di questa Corre, infatti, la violazione da parte del giudice dell'obbligo di astensione può essere fatta valere dalla parte unicamente con l'istanza di ricusazione nei modi e termini di cui all'art. 52 c.p.c. e non, tranne che per l'ipotesi di interesse diretto del giudice nella causa, come motivo di nullità della sentenza (Cass. 23930/2009; 26976/2011).
È stato pertanto affermato, con arresto cui il collegio intende dare continuità, che, in applicazione della L. Fall., art. 25, comma 2, il giudice che abbia autorizzato il ricorso per la dichiarazione di fallimento non può, in quanto incompatibile, prendere parte alla decisione del ricorso suddetto ed ha un obbligo di astensione, la cui violazione però, ove non seguita dall'istanza di ricusazione della parte interessata, non comporta la nullità della sentenza (Cass. 12066/2017).
Sempre in materia fallimentare, del resto, questa corte ha già affermato che l'incompatibilità del giudice delegato che ha pronunciato il decreto di esecutività dello stato passivo, in ordine alla partecipazione al collegio chiamato a decidere sulla conseguente opposizione, non determina una nullità deducibile in sede di impugnazione, in quanto tale incompatibilità, salvi i casi di interesse proprio e diretto nella causa, può dar luogo soltanto all'esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l'onere di far valere, in caso di mancata astensione, nelle forme e nei termini di cui all'art. 52 c.p.c. (Cass. 22835/2016); e ciò senza poter invocare, in sede di gravame, come motivo di nullità della decisione, la violazione, da parte del giudice, dell'obbligo di astenersi, neppure se deduca la tardiva conoscenza della composizione del collegio che l'ha pronunciata, atteso che le parti, alla stregua dell'art. 113 disp. att. c.p.c., sono in grado di avere contezza, prima della camera di consiglio, dei magistrati destinati a comporre il collegio e, quindi, di proporre rituale istanza di ricusazione (Cass. 2399/2016).
Non può al riguardo condividersi l'affermazione della Corte d'Appello, secondo cui, se è vero che la composizione dei collegi deve ritenersi nota o conoscibile in forza di quanto dispone l'art. 113 disp. att. c.p.c., il che consente alle parti la preventiva individuazione dei magistrati destinati a comporre ciascun collegio (Cass. 2399/2016), la permanente incertezza in merito alla circostanza se il giudice delegato adempia o meno all'obbligo di astensione, di cui alla L. Fall., art. 25, comma 2 e art. 52 c.p.c., implica che essa non sia tenuta ad adempiere all'onere di formulare istanza di ricusazione, indipendentemente dalla violazione del divieto di cui alla L. Fall., art. 25, comma 2.
Ad avviso della Corte territoriale, dunque, l'onere di formulare istanza di ricusazione diverrebbe attuale solo a seguito della conoscenza in capo alla parte del fatto che il giudice non abbia adempiuto all'obbligo di astenersi.
Tale statuizione non è conforme a diritto.
Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, infatti, il potere di ricusazione costituisce un onere per la parte: se la parte non lo esercita entro il termine all'uopo fissato dall'art. 52 c.p.c. essa non ha mezzi processuali per far valere il difetto di capacità del giudice; consegue che, in mancanza di ricusazione, la violazione da parte del giudice dell'obbligo di astenersi non può essere fatta valere in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza (Cass. sez. un. 3527/2002; Cass. 26223/2014; 13935/2016; Sez. un. 1545/2017).
Del pari irrilevante il fatto che nel fascicolo di primo grado non fosse stato depositato il provvedimento di autorizzazione del G.D. L. Fall., ex art. 31 al curatore a proporre le azioni stragiudiziali e giudiziali nei confronti di * srl indicate nel parere redatto dal legale, posto che l'individuazione del giudice che aveva autorizzato il ricorso L. Fall., ex art. 6 era facilmente determinabile ai sensi della L. Fall., artt. 25 e 31, trattandosi di attribuzione propria del G.D. della procedura, nominato nella sentenza dichiarativa di fallimento.
In buona sostanza, sia il giudice che aveva autorizzato la proposizione del ricorso L. Fall., ex art. 6 che la composizione del collegio giudicante del tribunale fallimentare era agevolmente desumibile da parte dell'odierna resistente, in relazione all'assolvimento dell'onere di ricusazione L. Fall., ex art. 52 che la stessa non ha ritualmente esercitato.
La *, del resto, nel proporre reclamo avverso la sentenza di fallimento, non ha dedotto di non aver potuto presentare rituale istanza di ricusazione ex art. 52 c.p.c. per la mancata conoscenza del nome del Giudice che aveva autorizzato il ricorso L. Fall., ex art. 6 o della composizione del collegio che aveva dichiarato il fallimento e di essere stata conseguentemente costretta ad impugnare la sentenza di fallimento.
Essa ha invece fatto discendere la nullità della sentenza di fallimento per vizio di costituzione del giudice, ex art. 158 c.p.c., dalla violazione della L. Fall., art. 25, comma 2; il che, come già rilevato, non è conforme a diritto.
In definitiva, la violazione dell'obbligo di astensione nelle ipotesi previste dall'art. 51 c.p.c., comma 1 e con la sola eccezione dell'ipotesi di interesse diretto nella causa non si converte mai in un motivo di nullità della sentenza, in assenza di rituale istanza di ricusazione che sia stata respinta e che sia stata, in conseguenza di tale rigetto, impugnata.
Sussiste pertanto, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, un onere di ricusazione preventiva, fermo restando che detta istanza diverrà inefficace allorché il giudice si sia astenuto: in assenza di detta istanza non può affermarsi la nullità della sentenza impugnata.
L'accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale e dei primi tre motivi del ricorso incidentale proposto dalla curatela del fallimento (*) sas assorbe l'esame dei motivi residui.
La sentenza impugnata va dunque cassata e la causa va rinviata alla Corte d'appello di Venezia in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e secondo motivo del ricorso principale; il primo, secondo e terzo motivo del ricorso incidentale. Assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Venezia in diversa composizione.


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