Incostituzionale l'abrogazione della competenza del giudice di pace per l'esecuzione delle pene pecuniarie?
Pubblicato il 23/09/19 00:00 [Doc.6621]
di Redazione IL CASO.it


MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA DI ALESSANDRIA, ordinanza 16 aprile 2019; Giudice VIGNERA, ric. Q.

Esecuzione - Pena pecuniaria - Applicata dal Giudice di Pace - Insolvibilità del condannato - Conversione in lavoro di pubblica utilità o permanenza domiciliare - Competenza - Giudice di pace - Esclusione - Magistrato di sorveglianza - Sussistenza - Questione di legittimità costituzionale (Cost., artt. 3, 76, 97, 111; cod. proc. pen., art. 660; d. lgs. 28 agosto 2000 n. 274, disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999 n. 468, art. 42; d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115, testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, artt. 238-bis, 299) (GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 35 del 28-8-2019).

Sono rilevanti e non manifestamente infondate:
-la questione di legittimità costituzionale dell'art. 299 del d. lgs.30 maggio 2002 n. 113 (trasfuso nel d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115) nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 del d. lgs. 28 agosto 2000 n. 274 (in base al quale la conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace è disposta dal giudice di pace competente per l'esecuzione), per violazione dell'art. 76 Cost.;

e, in via "indotta" dall'eventuale accoglimento della prima,
-la questione di legittimità costituzionale dell'art. 238-bis del d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115 nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7), facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilità del debitore, parla specificamente di "magistrato di sorveglianza competente" anziché genericamente di "giudice competente", per violazione dell'art. 3 Cost. (principio di ragionevolezza e canone di razionalità), dell'art. 97, comma 2, Cost. (principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia) e dell'art. 111, comma 2, Cost. (principio della ragionevole durata del processo).

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UFFICIO DI SORVEGLIANZA di ALESSANDRIA
(per la Circoscrizione del Tribunale di Alessandria)
(tel. 0131-284520 fax 0131-253718 - e mail: uffsorv.alessandria@giustizia.it)
via Gramsci 59
N. 2019/961 SIUS

Il Magistrato di sorveglianza
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel procedimento di sorveglianza iscritto al N. 2019/961 SIUS promosso
DA
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria
CONTRO
Q. R., nato ad Alessandria (AL) il XXXX, residente a XXXX (AL), Via XXXX n. 17, avente ad oggetto la conversione ex art. 55 d. lgs. 274/2000 della pena pecuniaria inflitta al predetto con sentenza emessa dal Giudice di pace di Alessandria il 17 novembre 2010 (irrevocabile il 17 gennaio 2011).
*****
Con atto in data 11 dicembre 2018 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria attivava presso questo Ufficio (ex art. 238-bis, comma 2 ss., d.p.r. 115/2002) il procedimento di conversione per insolvibilità del condannato della pena pecuniaria inflitta a Q. R. (come sopra generalizzato) con sentenza emessa dal Giudice di pace di Alessandria il 17 novembre 2010 (irrevocabile il 17 gennaio 2011).
Il Procuratore richiedente investiva questo Ufficio perché la Corte di cassazione [in sede di risoluzione di conflitto di competenza insorto tra il medesimo ed il Giudice di Pace di Alessandria in diverso e precedente procedimento ( )] aveva dichiarato la competenza della magistratura di sorveglianza in subiecta materia.
Per le ragioni che si esporranno in seguito, lo scrivente intende sollevare le questioni di legittimità costituzionale:

a) dell'art. 299 d. lgs. 113/2002 (trasfuso a sua volta nel d.p.r. 115/2002) nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 d. lgs. 274/2000 (che assegnava al giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione la competenza a disporre la conversione della pena pecuniaria applicata da un giudice di pace), per violazione dell'art. 76 Cost.;
b)
e in via "indotta" dall'eventuale accoglimento della prima questione ( )
c) dell'art. 238-bis d.p.r. 115/2002 (introdotto dall'art. 1, comma 473, l. 27 dicembre 2017 n. 205) nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7), facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione, parla specificamente di "magistrato di sorveglianza competente" anziché genericamente di "giudice competente", per violazione degli artt. 3 Cost. (principio di ragionevolezza e canone di razionalità), 97, comma 2, Cost. (principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia) e 111, comma 2, Cost. (principio della ragionevole durata del processo).
Poiché tali questioni rappresentano il portato di una complessa vicenda normativa e giurisprudenziale, si ritiene opportuno "ricapitolare" tale vicenda al fine di poter dare una più chiara e (si spera) più convincente motivazione della "non manifesta infondatezza" delle questioni stesse: cosa che conferirà alla presente ordinanza di rimessione un'inconsueta ampiezza, della quale si chiede comprensione.
Per rendere, poi, più snella la lettura dell'ordinanza (limitando al massimo la presenza nel testo di "inciampanti" parentesi), le si darà un'insolita veste grafica, corredandola di note a piè di pagina.
In via preliminare, infine, si ritiene opportuno premettere il seguente "Sommario" degli argomenti trattati nei singoli paragrafi della presente ordinanza di rimessione.

Sommario:
1. - La conversione per insolvibilità del condannato delle pene pecuniarie applicate dai giudici "ordinari" nel sistema del codice di procedura penale del 1988.
2. - La conversione per insolvibilità del condannato delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace nel "microsistema di tutela integrata" costituito dal d. lgs. 274/2000.
3. - La coerenza interna degli "originari ed autonomi" sistemi di conversione del magistrato di sorveglianza e del giudice di pace.
4. - La sopravvenuta disciplina della conversione posta in essere dal d. lgs. 113/2002 (trasfuso nel d.p.r. 115/2002).
5. - L'incidenza di Corte cost. 212/2003 sulle regole di competenza divisate dal d. lgs. 113/2002.
6. - L'incidenza di Corte cost. 212/2003 sulle regole di attivazione del procedimento giurisdizionale di conversione.
7. - La sentenza 15 novembre 2018 n. 56967 della Corte di cassazione e sua critica.
8. - Rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con la presente ordinanza.
9. - Non manifesta infondatezza della questione relativa all'art. 299 d. lgs. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 d. lgs. 274/2000, per violazione dell'art. 76 Cost.
10. - Non manifesta infondatezza della questione relativa all'art. 238-bis d.p.r. 115/2002 nella parte in cui esclude dal suo ambito operativo il giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione. Premessa.
10. 1 - Non manifesta infondatezza della questione relativa all'art. 238-bis d.p.r. 115/2002, se interpretato nel senso di aver voluto disciplinare soltanto l'attivazione del procedimento di conversione, per violazione dell'art. 3 Cost.
10. 2 - Non manifesta infondatezza della questione riguardante l'art. 238-bis d.p.r. 115/2002, se interpretato nel senso di aver voluto pure disciplinare ex novo la competenza relativa al procedimento di conversione, per violazione degli artt. 3, 97, comma 2, e 111, comma 2, Cost.
11. - Sintesi finale.

1. - La conversione per insolvibilità del condannato delle pene pecuniarie applicate dai giudici "ordinari" nel sistema del codice di procedura penale del 1988.
Dichiarato incostituzionale l'originario istituto della conversione in pena detentiva della pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato ( ), con la l. 24 novembre 1981 n. 689 (art. 102 ss.) è stato introdotto il sistema della conversione della pena pecuniaria in sanzioni sostitutive: più esattamente l'art. 102 l. 689/1981 menziona al riguardo come sanzioni sostitutive la libertà controllata (prevista dall'art. 55 stessa legge) oppure, su richiesta del condannato, il lavoro sostitutivo (previsto dall'art. 105).
Nel sistema "originario" della l. 689/1981 l'accertamento dell'insolvibilità del condannato e la conversione erano demandati al P.M. o al pretore quali organi competenti per l'esecuzione (art. 586, comma 3, c.p.p. previgente), mentre al magistrato di sorveglianza (del luogo di residenza del condannato) spettava soltanto il compito di determinare le modalità di esecuzione della sanzione sostitutiva già determinata dal P.M. o dal pretore (art. 107 l. 689/1981) ( ).
L'art. 660 c.p.p. del "nuovo" codice di procedura penale del 1988 ( ) ha "trasferito" al magistrato di sorveglianza gli incombenti demandati dal codice previgente al P.M. o al pretore, stabilendo che spetta al magistrato di sorveglianza il compito di accertare l'effettiva insolvibilità del condannato, disporre la rateizzazione della pena ai sensi dell'art. 133-ter c.p. e/o la conversione.
Giova ribadire che all'epoca dell'entrata in vigore dell'art. 660 c.p.p. l'unica ipotesi di conversione di pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato era quella divisata dall'art. 102 l. 24 novembre 1981 n. 689 ( ): di guisa soltanto a codesta ipotesi andava riferito l'art. 660 c.p.p.
Il procedimento di conversione incentrato sull'art. 660 c.p.p., infine, era caratterizzato ex artt. 181-182 disp. att. c.p.p. ( ) e art. 30 reg. esec. c.p.p. ( ) da una "frammentazione di competenze" (vedendo coinvolti la cancelleria del giudice dell'esecuzione, il pubblico ministero e il magistrato di sorveglianza) e da lunghi "giri di valzer" da un ufficio ad un altro, intercalati a loro volta tra inutili "soste intermedie" presso l'ufficio del pubblico ministero.
Più esattamente, tale procedimento si articolava nelle seguenti fasi:
- attivazione della procedura esecutiva da parte della cancelleria del giudice dell'esecuzione entro 30 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza (art. 181 disp. att. c.p.p.);
- trasmissione di copia degli atti dalla cancelleria del giudice dell'esecuzione al pubblico ministero, in caso di esito negativo della procedura esecutiva per il recupero della pena pecuniaria (art. 182, comma 1, disp. att. c.p.p.);
- trasmissione da parte del pubblico ministero degli stessi atti (ricevuti dalla cancelleria del giudice dell'esecuzione) al magistrato di sorveglianza competente [la cui individuazione, peraltro, implicava preventivi accertamenti da parte del P.M. ai fini dell'applicazione dei criteri sulla competenza divisati dall'art. 677, commi 1-2, c.p.p. ( ) ( )] ai fini della conversione da parte di quest'ultimo (art. 660, comma 2, c.p.p.);
- in caso di accertata insolvenza del condannato: a) conversione della pena pecuniaria da parte del magistrato di sorveglianza (normalmente in libertà controllata oppure, "a richiesta del condannato", in lavoro sostitutivo: art. 102 l. 689/1981); b) trasmissione del provvedimento di conversione dal magistrato di sorveglianza al pubblico ministero richiedente; c) ulteriore successiva trasmissione del provvedimento di conversione da parte del pubblico ministero al magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato ai fini della determinazione delle modalità di esecuzione della sanzione conseguente alla conversione (art. 107 l. 689/1981) ( );
- in caso di accertata solvibilità del condannato: a) restituzione degli atti al pubblico ministero da parte del magistrato di sorveglianza (art. 30, comma 1, reg. esec. c.p.p.); b) successiva comunicazione da parte del pubblico ministero dell'accertata solvibilità del condannato alla cancelleria del giudice dell'esecuzione con la richiesta di rinnovo degli atti esecutivi (art. 30, comma 2, reg. esec. c.p.p.); c) rinnovazione degli atti esecutivi da parte della cancelleria del giudice dell'esecuzione (art. 30, comma 2, reg. esec. c.p.p.): con la "ripresa del giro di valzer", ovviamente, in caso di esito infruttuoso del rinnovo degli atti esecutivi per una ragione qualunque (ad esempio, per il trasferimento o la perdita nelle more dei beni accertati nella precedente fase del procedimento innanzi al magistrato di sorveglianza) ( ).
In virtù dell'art. 1 c.p.p., il sistema di conversione come sopra delineato riguardava, ovviamente, le pene pecuniarie inflitte o applicate dai giudici penali "ordinari" (della cognizione) operanti al momento dell'entrata in vigore del c.p.p. del 1988 (pretore, tribunale, corte di assise, corte di appello e corte di assise di appello).

2. - La conversione per insolvibilità del condannato delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace nel "microsistema di tutela integrata" costituito dal d. lgs. 274/2000.
Con il d. lgs. 28 agosto 2000 n. 274 ( ) è stato "affiancato" al modello "ordinario" di procedimento penale (quello disciplinato dal codice di procedura penale) un procedimento specifico per i reati devoluti alla competenza del giudice di pace, il quale è stato concepito come un "microsistema di tutela integrata" ( ) avente "caratteri assolutamente peculiari, che lo rendono non comparabile con il procedimento davanti al tribunale, e comunque tali da giustificare sensibili deviazioni rispetto al modello ordinario" ( ).
Tale procedimento si caratterizza in particolare:
- per il fatto che, mentre le funzioni requirenti sono svolte dal procuratore della Repubblica presso il tribunale, quelle non requirenti (o "giudicanti" lato sensu) sono esercitate in tutto il procedimento [compreso quello di esecuzione ( )] soltanto dal giudice di pace, il quale, per la maggiore vicinanza al corpo sociale in quanto magistrato onorario, è sembrato più idoneo a realizzare "un riavvicinamento della collettività all'amministrazione della giustizia anche nel delicato settore del diritto penale" ( ) e a favorire quella conciliazione che "costituisce l'obbiettivo principale della giurisdizione penale affidata al giudice di pace" ( );
- per le sue "finalità di snellezza, semplificazione e rapidità" ( );
- per la "specialità" del relativo sistema sanzionatorio, al quale - da una parte - restano assolutamente estranee tutte le sanzioni principali non pecuniarie (reclusione e arresto) e tutte le sanzioni sostitutive (semidetenzione e libertà controllata: art. 53 ss. l. 689/1981) applicabili dal giudice "ordinario" [v. art. 62 d. lgs. 274/2000]; e al quale - dall'altra parte - ineriscono sanzioni principali [c.d. paradetentive: la permanenza domiciliare (art. 53 d. lgs. 274/2000 ) ed il lavoro di pubblica utilità (art. 54 d. lgs. 274/2000) ( ) ( )] o sanzioni sostitutive [la permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità (art. 55 stesso d. lgs.), nonché l'espulsione sostitutiva di pena pecuniaria (art. 62-bis stesso d. lgs.) ( )] applicabili soltanto dal giudice di pace: la cui "competenza" esclusiva al riguardo non solo si desume sistematicamente dal mancato inserimento di tali sanzioni nel "catalogo" generale delle pene principali contenuto nel codice penale (art. 22 ss. c.p.), ma viene ex professo sancita dal d. lgs. 274/2000, nel cui titolo II (artt. 52-62-bis) si concentra e si esaurisce la disciplina delle sanzioni applicabili esclusivamente dal giudice di pace ( ) tanto in via diretta quanto in sede di conversione delle pene pecuniarie (art. 55) o in funzione sostitutiva di queste ultime (art. 62-bis) ( );
- per una fase esecutiva incentrata tutta sulle suindicate esigenze di semplificazione e celerità, le quali si concretizzano nella concentrazione delle competenze nel minor numero possibile di organi, nella conseguente tendenziale coincidenza tra il giudice dell'esecuzione e il giudice di pace che ha emesso il provvedimento da eseguire (art. 40, comma 1) [coincidenza derogata soltanto in presenza di ragionevoli e valide ragioni ( )], nella "gestione" prevalentemente "amministrativa" delle sanzioni paradetentive [demandata in massima parte al pubblico ministero ed agli organi di polizia, esaurendosi l'intervento del giudice di pace nella sola modifica delle modalità di esecuzione di quelle sanzioni stabilite nella sentenza: v. artt. 42-43) ( )];
- sempre in attuazione di codeste esigenze di semplificazione e di concentrazione delle competenze in executivis, per la valorizzazione del ruolo del giudice di pace anche nell'esecuzione delle pene pecuniarie, attribuendosi allo stesso (giudice di pace) pure le competenze demandate dall'art. 660 c.p.p. al magistrato di sorveglianza ai fini della loro conversione (art. 42): e ciò al dichiarato fine di "evitare gli inconvenienti, avvertiti nell'applicazione della disciplina attualmente vigente, derivanti dalla frammentazione delle competenze tra giudice dell'esecuzione e magistrato di sorveglianza" ( ).
A quest'ultimo proposito si sottolinea che il procedimento di conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace, risultante dalle disposizioni ex artt. 181-182 disp. att. c.p.p. ( ) e da quelle ex art. 660 c.p.p. coordinate con le norme "speciali" relative al procedimento davanti al giudice di pace [art. 42 d. lgs. 274/2000 e art. 18 d.m. 6 aprile 2001 n. 204 ( )] si articolava nelle seguenti fasi:
- attivazione della procedura esecutiva da parte della cancelleria del giudice di pace quale giudice dell'esecuzione entro 30 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza (art. 181 disp. att. c.p.p.);
- trasmissione di copia degli atti dalla cancelleria del giudice di pace quale giudice dell'esecuzione al pubblico ministero, in caso di esito negativo della procedura esecutiva per il recupero della pena pecuniaria (art. 182, comma 1, disp. att. c.p.p.);
- trasmissione degli stessi atti da parte del pubblico ministero al giudice di pace quale giudice dell'esecuzione con la richiesta di conversione (art. 660, comma 2, c.p.p. e art. 42 d. lgs. 274/2000);
- in caso di accertata insolvenza del condannato, conversione della pena pecuniaria in sanzioni costituite dalle medesime (diverse da quella pecuniaria) applicabili ex directo dal giudice di pace ai sensi degli artt. 52-54: vale a dire, normalmente dall'obbligo di permanenza domiciliare oppure, "a richiesta del condannato", dal lavoro di pubblica utilità ( ) (art. 55 d. lgs. 274/2000 e art. 18 d. m. 204/2001);
- in caso di accertata solvibilità del condannato, ordine da parte del giudice di pace quale giudice dell'esecuzione alla sua stessa cancelleria di provvedere al rinnovo degli atti esecutivi, del quale (rinnovo) veniva data semplice comunicazione al pubblico mistero (art. 18 d.m. 6 aprile 2001 n. 204).
Trattasi all'evidenza di un procedimento assai più spedito, agile e lineare rispetto a quello divisato per la conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice "ordinario": soprattutto perché concentrava in un solo organo (il giudice di pace che ha emesso il provvedimento: comb. disp. artt. 40, comma 1, 42 e 55 d. lgs. 274/2000) la competenza che, invece, rispetto alle pene pecuniarie applicate dal giudice "ordinario" risultava ripartita tra tre diversi organi giudicanti costituiti: 1) dal giudice dell'esecuzione (recte: dalla sua cancelleria) per l'iniziale attivazione della fase esecutiva e l'eventuale rinnovo degli atti esecutivi in caso di successivo accertamento della solvibilità del condannato da parte del magistrato di sorveglianza; 2) dal magistrato di sorveglianza territorialmente competente ex art. 677 c.p.p. per l'accertamento dell'insolvenza del condannato e la conseguente pronuncia del provvedimento di conversione; 3) dal magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato (che poteva anche non coincidere con quello individuabile con i criteri ex art. 677 c.p.p.) per la determinazione delle modalità di esecuzione delle sanzioni conseguenti alla conversione ( ).

3. - La coerenza interna degli "originari ed autonomi" sistemi di conversione del magistrato di sorveglianza e del giudice di pace.
Mette conto sottolineare che i due sistemi di conversione sopra delineati avevano una loro autonomia ed una loro coerenza interna perché:
- la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice "ordinario" della cognizione, pur se disposta dalla magistratura di sorveglianza, si risolveva nell'applicazione di una sanzione sostitutiva (normalmente la libertà controllata: art. 102 l. 689/981) corrispondente ad una di quelle applicabili ex directo dal giudice "ordinario" della cognizione (v. art. 53 l. 689/1981) e rispetto alla quale (sanzione applicata ex directo dal giudice della cognizione) spettava sempre e solo alla magistratura di sorveglianza la "gestione" dell'intera fase esecutiva [recte: la determinazione delle loro modalità di esecuzione (art. 62 l. 689/1981), la modifica di tali modalità (art. 64 l. 689/1981), la sospensione della loro esecuzione (art. 68 l. 689/1981) e la vigilanza sull'osservanza delle relative prescrizioni ai fini di una loro eventuale conversione in pena detentiva (art. 66 l. 689/1981)]: la presenza della magistratura di sorveglianza in subiecta materia, pertanto, non risultava (per così dire) extra ordinem o "estravagante" perché essa (magistratura di sorveglianza) in sede di conversione applicava (di regola) una sanzione (la libertà controllata), rispetto alla quale (sanzione) aveva già significative attribuzioni quando risultava "inflitta" in sede di condanna (e direttamente) dal giudice della cognizione;
- per la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace (quale giudice della cognizione) provvedeva un giudice di pace (in funzione di giudice dell'esecuzione), il quale applicava sanzioni sostitutive applicabili [all'epoca ( )] solo da un giudice di pace e corrispondenti a quelle applicabili ex directo dal giudice di pace in sede di cognizione.

4. - La sopravvenuta disciplina della conversione posta in essere dal d. lgs. 113/2002 (trasfuso nel d.p.r. 115/2002).
I due suindicati "sistemi" di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilità del condannato erano stati sostituiti e, eccezione fatta per le regole sulla competenza, uniformati dal d. lgs. 113/2002 e dal d.p.r. 114/2002, i cui contenuti erano stati "trasfusi nel d.p.r. 115/2002 ( ).
Più esattamente e sinteticamente:
- nel Titolo IV della Parte VI (artt. 235-239) veniva regolata l'intera materia relativa alla riscossione delle pene pecuniarie in tutte le sue fasi (invito al pagamento, iscrizione a ruolo, attivazione della procedura di conversione, accertamento dell'insolvibilità, rateizzazione, rinnovo degli atti esecutivi, conversione);
- il procedimento di conversione delle pene pecuniarie veniva ex professo demandato al "giudice dell'esecuzione competente" (artt. 237 e 238), da individuarsi ovviamente in base alle "normali" regole sulla competenza: vale a dire, ai sensi dell'art. 665 c.p.p. per le pene pecuniarie applicate dal giudice "ordinario" (G.I.P., G.U.P., tribunale in composizione monocratica, tribunale in composizione collegiale o corte di appello - secondo i casi -, ciascuno in funzione di giudice dell'esecuzione) ovvero ai sensi dell'art. 40, comma 1, d. lgs. 274/2000 per le pene pecuniarie applicate dal giudice di pace (di regola, il giudice di pace che ha emesso il provvedimento in funzione di giudice dell'esecuzione);
- si stabiliva che "con l'ordinanza che dispone la conversione il giudice dell'esecuzione determina le modalità delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti" (art. 238, comma 6): e, quindi, si convertiva in libertà controllata o in lavoro sostitutivo ex artt. 102 e 107 l. 689/1981 (mai abrogati) la pena pecuniaria applicata dal giudice "ordinario"; e nell'obbligo di permanenza domiciliare o in lavoro di pubblica utilità ex art. 55 d. lgs. 274/2000 (mai abrogato) la pena pecuniaria applicata dal giudice di pace;
- per evitare problemi di coordinamento e/o sovrapposizione tra la nuova normativa e quella preesistente, venivano espressamente abrogati l'art. 660 c.p.p., gli art. 181-182 disp. att. c.p.p. e l'art. 42 d. lgs. 274/2000 (tutti abrogati dall'art. 299 d. lgs. 113/2002, trasfuso nel d.p.r. 115/2002), nonchè l'art. 18 d.m. 6 aprile 2001 n. 204 (abrogato dall'art. 301 d.p.r. 114/2002, trasfuso nel d.p.r. 115/2002).
Mette conto sottolineare che con il nuovo assetto normativo veniva uniformato il procedimento di riscossione e di conversione delle pene pecuniarie (tanto di quelle applicate dal giudice "ordinario" quanto di quelle applicate dal giudice di pace), mentre restava differenziata la competenza a provvedere sulla conversione delle pene stesse in caso di accertata insolvibilità del debitore, la quale spettava (in conseguenza del fatto che gli artt. 237-238 citt. parlavano genericamente al riguardo di "giudice dell'esecuzione competente"):
a) al giudice dell'esecuzione "ordinario" individuato ex art. 665 c.p.p. per le pene pecuniarie applicate da un giudice "ordinario";
b) al giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione per le pene pecuniarie applicate da un giudice di pace.
Pertanto, le norme sulla competenza a disporre la conversione scaturenti dal d. lgs. 113/2002 e dal d.p.r. 115/2002 nel loro testo originario ( ):
- erano innovative rispetto alle pene pecuniarie applicate da un giudice "ordinario" perché - da un lato - "cancellavano" la preesistente competenza del magistrato di sorveglianza con la suindicata abrogazione dell'art. 660 c.p.p. e degli artt.181-182 disp. att. c.p.p. (abrogazione operata dall'art. 299 d. lgs. 113/2002) e - dall'altro lato - con i "nuovi" artt. 237-238 d. lgs. 113/2002 "trasferivano" tale competenza al giudice dell'esecuzione da individuarsi ex art. 665 c.p.p. ( );
- nulla, invece, innovavano [lo si ripete: "nel loro testo originario" ( )] rispetto alle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace in quanto la competenza riconosciuta a quest'ultimo quale giudice dell'esecuzione dall'art. 42 d. lgs. 274/2000 (abrogato dall'art. 299 d.p.r. 113/2002) permaneva in capo a quest'ultimo quale giudice dell'esecuzione per effetto degli art. 237-238 d. lgs. 113/2002 e dell'art. 40, comma 1, d. lgs. 274/2000: di guisa che l'abrogazione dell'art. 42 d. lgs. 274/2000 dipendeva soltanto dal fatto di essere divenuta (all'epoca) norma superflua nell'ambito della nuova regolamentazione della competenza in subiecta materia posta in essere dagli artt. 235-239 d. lgs. 113/2002.
Assai importante è, infine, rimarcare che l'assetto normativo scaturito dagli artt. 235-239 d. lgs. 113/2002 lasciava del tutto autonomi e distinti tra di loro il "sistema di tutela ordinaria" operante per le pene pecuniarie applicate dal giudice "ordinario" ed il "microsistema di tutela integrata" operante per le pene pecuniarie applicate dal giudice di pace di pace, ognuno dei quali conservava la sua "interna coerenza" senza interferenze reciproche, posto in particolare che:
- per la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice "ordinario" (quale giudice della cognizione) provvedeva un giudice "ordinario" (in funzione di giudice dell'esecuzione), il quale applicava sanzioni sostitutive applicabili solo da un giudice "ordinario" (stante il suindicato divieto posto al giudice di pace dall'art. 62 d. lgs. 274/2000) e normalmente corrispondenti ad una di quelle applicabili pure e direttamente dal giudice "ordinario" in sede di cognizione (la libertà controllata: v. art. 53, 56 e 102 l. 689/1981);
- per la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace (quale giudice della cognizione) provvedeva un giudice di pace (in funzione di giudice dell'esecuzione), il quale applicava sanzioni sostitutive applicabili [all'epoca ( )] solo da un giudice di pace (stante sempre il suindicato divieto posto al giudice di pace dall'art. 62 d. lgs. 274/2000) e corrispondenti a quelle applicabili pure ex directo dal giudice di pace in sede di cognizione.

5. - L'incidenza di Corte cost. 212/2003 sulle regole di competenza divisate dal d. lgs. 113/2002.
Questo assetto normativo, nondimeno, è stato sùbito sconvolto.
Con due ordinanze contenutisticamente identiche in data, rispettivamente, 23 settembre 2002 e 4 novembre 2012 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona, in qualità di giudice dell'esecuzione, sollevava (tra l'altro) la questione di legittimità costituzionale "degli artt. da 235 a 239 e 299 (quest'ultimo nella parte in cui abroga l'art. 660 cod. proc. pen." del d. lgs. 113/2002 come riprodotti nel d.p.r. 115/2002 con riferimento agli artt. 76, 97, comma 1, e 111 Cost.
Il rimettente:
- esponeva di essere stato investito di istanze di conversione di pene pecuniarie e di dovere, quindi, fissare l'udienza ex art. 666 c.p.p. per gli adempimenti previsti dall'art. 238 d. lgs. 113/2002;
- riteneva, tuttavia, che le norme impugnate, disciplinando il procedimento di conversione delle pene pecuniarie e, in particolare, attribuendo al giudice dell'esecuzione la relativa competenza, precedentemente spettante al magistrato di sorveglianza, fossero (sotto diversi e concorrenti profili) in contrasto con i principi ed i criteri direttivi contenuti nella norma di delega di cui all'art. 7 l. 8 marzo 1999 n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi);
- riteneva altresì che le medesime norme, assegnando incombenze ulteriori e marginali all'organo deputato all'esercizio della giurisdizione penale, compromettessero l'efficienza del sistema giudiziario, con conseguente lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione e di quello della ragionevole durata del processo.
Con la sentenza 18 giugno 2003 n. 212 la Corte costituzionale:
- dichiarava inammissibile la questione relativa all'art. 239 d.p.r. 115/2002, essendo norma di rango regolamentare perché derivante dal d.p.r. 114/2002 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia) e, quindi, sottratta al sindacato di legittimità costituzionale in quanto norma secondaria;
- dichiarava inammissibile per difetto di rilevanza la questione relativa agli artt. 235 e 236 d. lgs. 113/2002, osservando che il rimettente, investito quale giudice dell'esecuzione di un'istanza di conversione di pena pecuniaria, non era chiamato a fare applicazione di codeste norme, che erano invece attinenti alla disciplina della riscossione;
- considerava fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 237, 238 e 299 (quest'ultimo nella parte in cui abroga l'art. 660 c.p.p.) del d. lgs. 113/ 2002, con riferimento all'art. 76 Cost., "restando in tale pronuncia assorbita ogni altra censura".
A quest'ultimo proposito la Corte costituzionale così motivava:
"Il decreto legislativo di cui si tratta trova il proprio fondamento nella delega contenuta nell'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 … Le norme denunciate riguardano la disciplina del procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie, con particolare riguardo alla relativa competenza, che viene sottratta al magistrato di sorveglianza per essere, in via generale, attribuita al giudice dell'esecuzione. Si desume dalla … relazione illustrativa del testo unico che il Legislatore delegato ha ritenuto che tale disciplina rientrasse nell'oggetto della delega … sulla base di una valutazione di sostanziale 'comunanza' della materia delle pene pecuniarie con quella delle spese di giustizia" costituente espressamente uno degli oggetti della delega in questione. "Una simile prospettazione non può tuttavia essere condivisa. Contrariamente a quanto sostenuto nella menzionata relazione al testo unico, l'esistenza della delega, specie nelle materie coperte da riserva assoluta di legge - quale è, ex art. 25 della Costituzione, quella riguardante la competenza del giudice - non può essere desunta dalla mera 'connessione' con l'oggetto della delega stessa. Il Legislatore delegato - indipendentemente dall'ampiezza dei contorni che vogliano attribuirsi alla materia delle spese di giustizia - era, dunque, sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse - come quella impugnata - una radicale modifica delle regole di competenza".
Ai nostri fini è importantissimo sottolineare subito che:
- la "reviviscenza" dell'art. 660 c.p.p. conseguente a Corte cost. 212/2003 è avvenuta non sulla base di una ipotetica (ed inesistente) competenza "naturale" ed inderogabile in subiecta materia della magistratura di sorveglianza, ma solo per vizio di eccesso di delega: più esattamente, "perché il Legislatore delegato … era sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse - come quella impugnata - una radicale modifica delle regole di competenza" (come sta scritto a chiare lettere nella motivazione della predetta sentenza);
- nell'occasione la Corte costituzionale non si è posta il problema dell'incidenza della sua pronuncia ( ) sulla competenza per la conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace sol perché ha fatto rigorosa applicazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 27, prima parte, l. 11 marzo 1953 n. 87 ( ), limitando la sua decisione alle sole norme sottoposte al suo sindacato dal giudice remittente;
- poichè "il Legislatore delegato era sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse una radicale modifica delle regole di competenza", la "logica interna" di Corte cost. 212/2003, tuttavia, era sicuramente quella di considerare costituzionalmente illegittima una innovazione da parte del Legislatore delegato (recte: del d. lgs. 113/2002 e del d.p.r. 115/2002) delle preesistenti regole di competenza in subiecta materia: le quali (regole preesistenti al d. lgs. 113/2002 e al d.p.r. 115/2002) prevedevano la competenza del magistrato di sorveglianza per le pene pecuniarie applicate dal giudice "ordinario" (art. 660 c.p.p.) e la competenza del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione per le pene pecuniarie applicate da un giudice di pace (art. 42 d. lgs. 274/2000);
- sarebbe, pertanto, assolutamente paradossale e illogico che la Corte costituzionale con la sua sentenza 212/2003, facendo "resuscitare" l'art. 660 c.p.p., avesse determinato un "legittimo e valido" trasferimento di competenza in capo al magistrato di sorveglianza del procedimento di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace, la quale (competenza) in base alle regole preesistenti spettava al giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione ( ).
Proprio codesto trasferimento di competenza, invece, rappresenta (come si vedrà) la "singolare ed assurda" conseguenza, che la Corte di cassazione sta annettendo a Corte cost. 212/2003: conseguenza "singolare ed assurda" costituente la ragion d'essere delle questioni di legittimità costituzionale, che ci si accinge a sollevare.
Mette conto evidenziare ancora che il sistema "positivo" venutosi a creare a seguito di Corte cost. 212/2003 può così sintetizzarsi:
A) con la dichiarazione di incostituzionalità "totale" degli artt. 237-238 d. lgs. 113/2002 e "parziale" (nella parte in cui ha abrogato l'art. 660 c.p.p.) dell'art. 299 d. lgs. 113/2002, la competenza a disporre la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice "ordinario" spettava (recte: ritornava) alla magistratura di sorveglianza per effetto del "resuscitato" art. 660 c.p.p.;
B) stante la persistente abrogazione (ex art. 299 d. lgs. 113/2002) dell'art. 42 d. lgs. 274/2000 e della dichiarazione di "totale" incostituzionalità degli artt. 237-238 d. lgs. 113/2002 (che parlavano genericamente al riguardo di "giudice dell'esecuzione competente"), la competenza a disporre la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace si prestava formalmente a rientrare anch'essa nella formulazione generica del "resuscitato" art. 660 c.p.p. e, quindi, a risultare così trasferita alla magistratura di sorveglianza, che però … non l'aveva mai avuta;
C) restava, pertanto, aperta la questione circa la legittimità costituzionale di quest'ultima conseguenza, concretando essa una "radicale modifica delle regole sulla competenza preesistenti" (in base alle quali la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace spettava allo stesso giudice di pace quale giudice dell'esecuzione): "radicale modifica delle regole sulla competenza" derivante (lo ripetiamo) dalla "reviviscenza" ex Corte cost. 212/2003 dell'art. 660 c.p.p. e dalla persistente abrogazione dell'art. 42 d. lgs. 274/2000 ad opera di un Legislatore delegato (recte: dell'art. 299 d. lgs. 113/2002), cui però la legge-delega non aveva dato alcun potere "innovativo" in subiecta materia!
A quest'ultima questione (è bene sottolinearlo) nessuno mai ha posto attenzione:
a) nè l'Amministrazione giudiziaria centrale in sede di diramazione delle proprie circolari aventi ad oggetto le indicazioni operative agli uffici periferici sul recupero dei crediti delle pene pecuniarie, le quali (indicazioni operative) si erano rese necessarie a seguito del vuoto normativo conseguente a Corte cost. 212/2003, di cui tra poco si parlerà: quelle circolari, infatti (e come si dirà funditus nelle pagine seguenti), omettono di prendere in considerazione il "settore" delle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace ( ), basandosi sic et simpliciter sul sistema normativo così come risultante a seguito della sentenza 212/2003 della Corte costituzionale (sistema nel quale era di nuovo presente l'art. 660 c.p.p., ma nel quale non era più presente l'art. 42 d. lgs. 274/2000, persistendo la sua abrogazione ex art. 299 d. lgs. 113/2002) e senza porsi minimamente il problema della legittimità costituzionale di quel sistema complessivamente considerato (in particolare, della validità di quell'abrogazione dell'art. 42 d. lgs. 274/2000);
b) né il Legislatore in sede di introduzione dell'art. 238-bis d.p.r. 115/2002 (introduzione operata dall'art. 1, comma 473, l. 205/2017), il quale (come parimenti si dirà funditus tra poco) ha voluto soltanto porre rimedio alle "disfunzioni operative" evidenziate dall'Amministrazione giudiziaria centrale con le circolari sopra ricordate, prendendo anch'egli atto sic et simpliciter del sistema normativo così come risultante a seguito della sentenza 212/2003 della Corte costituzionale e senza porsi il problema della legittimità costituzionale di quel sistema complessivamente considerato.
Quanto testè detto rende doveroso soffermarsi adesso su un'altra questione venutasi a creare a seguito di Corte cost. 212/2003.

6. - L'incidenza di Corte cost. 212/2003 sulle regole di attivazione del procedimento giurisdizionale di conversione.
Preoccupandosi di "cancellare" dall'ordinamento la competenza in subiecta materia del giudice dell'esecuzione "sostitutiva" di quella preesistente del magistrato di sorveglianza, la Corte costituzionale con la sentenza 212/2003:
- ha dichiarato l'incostituzionalità non solo dell'art. 299 d. lgs. 113/2002 nella parte in cui abrogava l'art. 660 c.p.p. (che prevedeva, per l'appunto, la competenza del magistrato di sorveglianza sulla conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice "ordinario"), ma pure degli artt. 237 e 238 d. lgs. 113/2002, che parlavano del "giudice dell'esecuzione" quale organo competente per la conversione;
- non ha considerato, tuttavia, che nella generica espressione "giudice dell'esecuzione competente" per la conversione contenuta negli artt. 237-238 citt. venivano ricomprese sia la specifica competenza del giudice "ordinario" in funzione di giudice dell'esecuzione per le pene applicate da un giudice "ordinario" (competenza che "ritornava" alla magistratura di sorveglianza a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 299 d. lgs. 113/2002 nella parte in cui aveva abrogato l'art. 660 c.p.p.) sia la specifica competenza del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione per le pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace (competenza già prevista dall'art. 42 d. lgs. 274/2000, sulla cui abrogazione posta in essere dallo stesso art. 299 la Corte, invece, non era intervenuta);
- non ha considerato neppure che gli artt. 237-238 d. lgs. 113/2002 non solo avevano inciso sulle preesistenti regole relative alla competenza per il procedimento giurisdizionale di conversione, ma avevano pure disciplinato ex novo l'attivazione di quel procedimento (già regolamentata dagli artt. 181-182 disp. att. c.p.p.: anch'esse abrogate dall'art. 299 d. lgs. 113/2002 e mai "resuscitate"), dettando le norme di raccordo tra la fase amministrativa di riscossione della pena pecuniaria e la successiva fase giurisdizionale di conversione.
Orbene!
Dichiarandosi l'incostituzionalità in toto degli artt. 237-238 d. lgs. 113/2002 e persistendo l'abrogazione degli artt. 181 e (soprattutto) 182 disp. att. c.p.p., Corte cost. 212/2003 aveva involontariamente provocato un vero e proprio vuoto normativo tra le due fasi suindicate (quella amministrativa di esazione della pena pecuniaria e quella giurisdizionale della sua conversione), restando priva di regolamentazione la fase "intermedia" di attivazione del procedimento di conversione.
Poiché tale vuoto normativo aveva di fatto "paralizzato" i procedimenti di conversione delle pene pecuniarie, allo scopo e solo allo scopo di colmarlo ( ) in occasione del varo della legge di bilancio 2018 è stato introdotto ( ) nel corpus del d.p.r. 115/2002 l'art. 238-bis sotto la rubrica "attivazione delle procedure di conversione delle pene pecuniarie non pagate" ( ).
Questa disposizione, nondimeno, menziona quale organo giurisdizionale competente per la conversione "il magistrato di sorveglianza" (commi 2, 5, 6 e 7): circostanza che ha indotto la Corte di cassazione (come si vedrà) a considerare risolta ogni questione sulla competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie, essendo (a suo dire) dall'art. 238-bis cit. confermata "espressamente la competenza unica del Magistrato di sorveglianza". Conclusione, codesta, che pare alquanto "affrettata" perché un'interpretazione storica, logica e sistematica dell'art. 238-bis cit. ingenera dubbi sulla legittimità costituzionale di tale norma nel significato attribuitole dalla Suprema Corte.

7. - La sentenza 15 novembre 2018 n. 56967 della Corte di cassazione e sua critica.
Investito dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti di precedente e analoga richiesta di conversione di pena pecuniaria applicata dal Giudice di pace di Asti, questo Ufficio in quell'occasione aveva declinato la propria competenza per materia in favore del Giudice di pace di Asti in funzione del giudice dell'esecuzione, rilevando essenzialmente che:
- l'art. 660 c.p.p. è stato introdotto nel nostro ordinamento con il d.p.r. 22 settembre 1988 n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale);
- all'epoca l'unica ipotesi di conversione di pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato era quella prevista dall'art. 102 l. 24 novembre 1981 n. 689 (ergo: la conversione di pena pecuniaria applicata da un giudice "ordinario"): di guisa che ad essa (e ad essa soltanto) andava riferito l'art. 660 c.p.p.;
- la materia della conversione di pena pecuniaria applicata dal giudice di pace e non eseguita per insolvibilità del condannato, invece, trovava la sua completa e specifica disciplina nel d. lgs. 28 agosto 2000 n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace) e, più esattamente, nel suo art. 55 (Conversione delle pene pecuniarie);
- la competenza a disporre la suindicata conversione ex art. 55 d. lgs. 274/2000 doveva riconoscersi allo stesso giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione: e ciò in virtù dell'art. 40, 1° comma, stesso d. lgs. ("Salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento è il giudice di pace che l'ha emesso"), il quale, in quanto sopravvenuto all'art. 660 c.p.p. e in quanto lex specialis, prevaleva sulla disciplina dettata dallo stesso art. 660 c.p.p.;
- ai fini in discorso appariva irrilevante la circostanza che la "sopravvivenza" dell'art. 660 c.p.p. fosse conseguita alla declaratoria di illegittimità costituzionale "degli artt. 237, 238 e 299 (nella parte in cui abroga l'art. 660 c.p.p.) del d. lgs. 30 maggio 2002 n. 113";
- tale dichiarazione di incostituzionalità, infatti, era stata fatta dalla Corte costituzionale con la sentenza 18 giugno 2003 n. 212 non sulla base di una ipotetica (ed inesistente) competenza "naturale" ed inderogabile in subiecta materia della magistratura di sorveglianza, ma solo per vizio di eccesso di delega: più esattamente "perché il Legislatore delegato … era sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse - come quella impugnata - una radicale modifica delle regole di competenza" (come si legge nella motivazione della predetta sentenza);
- la "disciplina impugnata" (e dichiarata incostituzionale) era quella che, contestualmente abrogando l'art. 660 c.p.p., aveva trasferito "al giudice dell'esecuzione la relativa competenza precedentemente spettante al magistrato di sorveglianza in tema di rateizzazione e conversione di pene pecuniarie";
- tuttavia, in virtù della "disciplina impugnata" (e dichiarata incostituzionale) codesta "radicale modifica delle regole della competenza" non si era mai avuta rispetto alla conversione prevista dall'art. 55 d. lgs. 274/2000, la quale (a differenza di quella prevista dall'art. 102 l. 689/1981) era stata sempre di competenza del giudice di pace in virtù dell'art. 42 d. lgs. 274/2000;
- è ben vero che quest'ultima disposizione (al pari dell'art. 660 c.p.p., poi "risuscitato" da Corte cost. 212/2003) era stata abrogata dall'art. 299 d. lgs. 113/2002;
- il che, nondimeno, non aveva determinato alcuna sostanziale modifica della competenza in subiecta materia: la quale (come già detto in precedenza), ad onta dell'abrogazione dell'art. 42 d. lgs. 274/2000, restava al giudice di pace in virtù del suindicato art. 40, 1° comma, d. lgs. 274/2000;
- opinandosi diversamente ed ipotizzandosi che l'abrogazione dell'art. 42 d. lgs. 274/2000 (per effetto dell'art. 299 d. lgs. 113/2003) e la "reviscenza" dell'art. 660 c.p.p. (per effetto di Corte cost. 212/2003) avessero determinato lo "spostamento" di competenza in subiecta materia dal giudice di pace competente per l'esecuzione al magistrato di sorveglianza, l'art. 299 d. lgs. 113/2002 si sarebbe esposto allo stesso vizio di incostituzionalità rilevato da Corte cost. 212/2003 in quanto avrebbe comportato una "radicale modifica delle regole di competenza" (quelle sulla competenza del giudice di pace in subiecta materia), che il Legislatore delegato non aveva il potere di apportare.
La superiore interpretazione "adeguatrice", nondimeno, è stata disattesa (anzi, elusa) dalla Corte di cassazione in sede di risoluzione del conflitto di competenza sollevato dal Giudice di pace di Asti.
Più esattamente, con la sentenza 15 novembre 2018 n. 56967 la Suprema Corte, nell'escludere la competenza del giudice di pace ( ), ha [quasi "suo malgrado" ( )] affermato al riguardo che:
A) "avendo la Corte costituzionale abrogato" (sic!) "il menzionato art. 299 soltanto parzialmente" nella parte in cui aveva abrogato l'art. 660 c.p.p., "restava salva l'efficacia abrogativa che tale norma operava dell'art. 42 del D. l.vo n. 274 del 2000, il quale aveva attribuito la conversione delle pene pecuniarie inflitte dal Giudice di Pace a questo stesso giudice … per cui, difettando una norma che attribuisca al Giudice di Pace la competenza alla conversione delle pene pecunierie (o specificamente o quale giudice dell'esecuzione) non sussiste più una norma di legge che attribuisca al Giudice di Pace la materia della conversione delle pene pecuniarie inflitte… Detto intervento" della Corte costituzionale (Corte cost. 212/2003) "ha fatto riprendere vigenza ad una norma (e cioè l'art. 660 c.p.p.) la quale si prestava comunque a disciplinare l'intera materia della conversione delle pene pecuniarie, per cui risulta eliminata soltanto la competenza derogatoria del Giudice di Pace";
B) "questo sistema, peraltro, appare rafforzato dalla recente introduzione dell'art. 238-bis del DPR n. 115 del 2002 ad opera del comma 473 dell'art. 1 della Legge 27 dicembre 2017 n. 205, che, occupandosi della procedura di attivazione della conversione delle pene pecuniarie non pagate, richiama l'art. 660 c.p.p. ed espressamente la competenza unica del Magistrato di Sorveglianza".
Tali argomentazioni non appaiono punto convincenti.
Per quanto riguarda l'argomentazione sub A), a parte le manifeste imprecisioni giuridiche in cui è incorso l'estensore del provvedimento qui avversato ( ), si osserva che:
- con la sentenza 212/2003 la Corte costituzionale non ha inteso affatto coonestare l'abrogazione (ex art. 299 d. lgs. 113/2002) dell'art. 42 d. lgs. 274/2000, ma ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 299 d.lgs. 113/2002 solo nella parte in cui abrogava l'art. 660 c.p.p. (e non anche nella parte in cui abrogava pure l'art. 42 d. lgs. 274/2000) in perfetta ed assoluta coerenza con il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 27, prima parte, l. 11 marzo 1953 n. 87 ( ) e/o per il semplice motivo che la norma ex art. 299 d. lgs. 113/2002 nella parte in cui abrogava (pure) l'art. 42 d. lgs. 274/2000 non era stata (ovviamente) sottoposta al suo sindacato di costituzionalità in quanto irrilevante nel giudizio a quo ( );
- se è vero che la suindicata declaratoria di illegittimità costituzionale parziale dell'art. 299 d. lgs. 113/2002 "ha fatto riprendere vigenza ad una norma (e cioè l'art. 660 c.p.p.) la quale si prestava a disciplinare, in via generale, l'intera materia della conversione delle pene pecuniarie, per cui risulta eliminata la competenza derogatoria del Giudice di pace" (prima prevista dall'abrogato art. 42 d. lgs. 274/2000), è proprio codesta "eliminazione" che avrebbe dovuto indurre la Corte di cassazione a porsi il dubbio circa la legittimità costituzionale dell'art. 299 d. lgs. 113/2002 nella parte in cui abrogava (pure) l'art. 42 d. lgs. 274/2000: e ciò, in base alla stessa norma-parametro (l'art. 76 Cost.) già evocata dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Verona in qualità di giudice dell'esecuzione ai fini della "reviviscenza" dell'art. 660 c.p.p.;
- infatti, (come aveva rilevato Corte cost. 212/2003) in base ai principi ed ai criteri direttivi contenuti nella norma di delega "il Legislatore delegato era sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse una radicale modifica delle regole di competenza" preesistenti: e quindi, tanto della regola c.d. "generale" ex art. 660 c.p.p. quanto della regola c.d. "derogatoria" ex art. 42 d. lgs. 274/2000.
Quanto all'argomentazione sub B), poi, si rileva che l'art. 1, comma 473, l. 27 dicembre 2017 n. 205 nell'aggiungere al d.p.r. 115/2002 l'art. 238-bis:
- ha voluto soltanto colmare il vuoto normativo venutosi a creare tra la fase amministrativa di esazione della pena pecuniaria e quella giurisdizionale di conversione ( ), disciplinando la fase intermedia di "attivazione delle procedure di conversione delle pene pecuniarie non pagate" (come, del resto, recita la stessa rubrica dell'art. 238-bis);
- a tal fine, ha "preso atto" sic et simpliciter dell'assetto normativo conseguente alla sentenza 212/2003 della Corte costituzionale, senza porsi minimamente il problema circa la legittimità costituzionale di quell'assetto normativo complessivamente considerato ( ).
Avendo voluto disciplinare soltanto il modus operandi del passaggio dalla fase dell'esazione a quella della conversione della pena pecuniaria, cioè, l'art. 238-bis non ha inteso pure dare una regolamentazione ex novo alla competenza giurisdizionale sulla conversione della pena pecuniaria: come, invece, ha di fatto e implicitamente postulato la Corte di cassazione.
Stando così le cose, l'art. 238-bis cit. non "chiude" affatto il discorso relativo alla competenza sulla conversione della pena pecuniaria applicata da un giudice di pace (come ha, invece, corrivamente ritenuto la Corte di cassazione), restando aperta la questione della sua incidenza sul sistema normativo complessivamente considerato: sul cui sfondo aleggia come "convitato di pietra" quell'art. 299 d.lgs. 113/2002 che, abrogando (pure) l'art. 42 d. lgs. 274/2000, ha prodotto per effetto di Corte cost. 212/2003 impreviste conseguenze stravolgenti la coerenza interna di quel sistema.
Del resto, anche se si volesse ritenere che l'art. 1, comma 473, l. 205/2017, nell'aggiungere nel corpus del d.p.r.115/2002 l'art. 238-bis, abbia voluto pure dare una nuova regolamentazione della competenza giurisdizionale per la conversione delle pene pecuniarie non pagate e così implicitamente "sopprimere" definitivamente la competenza del giudice di pace una volta prevista dall'art. 42 d. lgs. 274/2002; anche se si volesse ritenere tutto questo - si stava dicendo -, la norma ingenererebbe dubbi di legittimità costituzionale non intravisti dalla Corte di cassazione: come tra poco si dirà.
A questo punto il quadro normativo e giurisprudenziale della materia in discorso ci pare esaurientemente delineato: di guisa che possiamo entrare in medias res per cercare di dimostrare la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni da rimettere al giudizio della Corte costituzionale.

8. - Rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con la presente ordinanza.
Le argomentazioni rassegnate dalla Corte di cassazione per affermare la competenza del magistrato di sorveglianza pure per la conversione della pene pecuniarie applicate dal giudice di pace ( ) sono state reiterate in diverse altre pronunce ( ).
Pertanto:
- l'affermazione della competenza del magistrato di sorveglianza in subiecta materia costituisce "diritto vivente", che rende di fatto vana una contraria interpretazione "costituzionalmente orientata";
- diventa, conseguentemente, necessario sollevare la questione di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 299 d. lgs. 113/2002 (trasfuso a sua volta nel d.p.r. 115/2002) nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 d. lgs. 274/2000 (che assegnava al giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione la competenza a disporre la conversione della pena pecuniaria applicata da un giudice di pace), per violazione dell'art. 76 Cost.;
e in via "indotta" dall'eventuale accoglimento della prima questione ( )
b) dell'art. 238-bis d.p.r. 115/2002 (introdotto dall'art. 1, comma 473, l. 205/2017) nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7), facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione, parla specificamente di "magistrato di sorveglianza competente" anziché genericamente di "giudice competente", per violazione dell'art. 3 Cost. (principio di ragionevolezza e canone di razionalità), dell'art. 97, comma 2, Cost. (principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia) e dell'art. 111, comma 2, Cost. (principio della ragionevole durata del processo).
La rilevanza delle questioni predette risulta evidente se si considera che:
- il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria ha (ex art. 238-bis, comma 2 e ss., d.p.r. 115/2002) attivato presso questo Ufficio (di sorveglianza) il procedimento di conversione (per insolvibilità del condannato) di pena pecuniaria inflitta a Quaglietta Roberto con sentenza del Giudice di pace di Alessandria;
- conseguentemente, questo Ufficio dovrebbe disporre le "opportune indagini" "al fine di accertare l'effettiva insolvibilità del debitore" ai sensi dell'art. 238-bis, comma 6, d.p.r. 115/2002;
- l'invocata declaratoria di incostituzionalità delle norme suindicate, invece, comporterebbe in limine litis una pronuncia di incompetenza per materia di questo Ufficio ex art. 21, comma 1, c.p.p. con gli adempimenti conseguenti ex art. 23, comma 1, c.p.p. [restituzione degli atti al pubblico ministero (in applicazione di Corte cost. 76/1993) per l'attivazione del procedimento di conversione innanzi al Giudice di pace di Alessandria in funzione di giudice dell'esecuzione, che diventerebbe competente per effetto delle qui invocate pronunce di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale].

9. - Non manifesta infondatezza della questione relativa all'art. 299 d. lgs. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 d. lgs. 274/2000, per violazione dell'art. 76 Cost.
Come ampiamente visto in precedenza ( ), nel sistema previgente al d. lgs. 113/2002 la competenza a provvedere sulla conversione delle pene pecuniarie per insolvibilità del condannato spettava:
- per le pene pecuniarie applicate da un giudice "ordinario" [recte: all'esito di uno dei procedimenti di diritto comune ( )] alla magistratura di sorveglianza ex art. 660 c.p.p., la quale applicava le sanzioni sostitutive previste dall'art. 102 l. 689/1981 (normalmente la libertà controllata oppure, "a richiesta del condannato", il lavoro sostitutivo: v. artt. 102 e 107 l. 689/1981);
- per le pene pecuniarie inflitte da un giudice di pace (recte: con la condanna emessa all'esito del procedimento disciplinato dal d. lgs. 274/2000) allo stesso giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione ex art. 42 d. lgs. 274/2000, il quale applicava le sanzioni sostitutive previste dall'art. 55 d. lgs. 274/2000 [normalmente l'obbligo di permanenza domiciliare oppure, "a richiesta del condannato", il lavoro di pubblica utilità ( )].
Il d. lgs. 113/2002 ha espressamente abrogato entrambe le norme suindicate (l'art. 660 c.p.p. e l'art. 42 d. lgs. 274/2000), sostituendole con le "nuove" disposizioni contenute negli artt. 237-238 stesso d. lgs., le quali prevedevano ex professo al riguardo la competenza del "giudice dell'esecuzione" ( ).
Sennonchè (e mutuando mutatis mutandis quanto si trova espressamente scritto in Corte cost. 212/2003):
- "il decreto legislativo di cui si tratta" (il n. 113 del 2002) "trova il proprio fondamento nella delega contenuta nell'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi. Legge di semplificazione 1998), come modificato dall'art. 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340";
- "dal preambolo dello stesso decreto legislativo si evince, in particolare, che la delega è esercitata con riferimento alle materie indicate ai numeri 9, 10 e 11 dell'allegato numero 1 della predetta legge n. 50 del 1999, che rispettivamente attengono al procedimento di gestione e alienazione dei beni sequestrati e confiscati, al procedimento relativo alle spese di giustizia ed ai procedimenti per l'iscrizione a ruolo e il rilascio di copie di atti in materia tributaria e in sede giurisdizionale, compresi i procedimenti in camera di consiglio, gli affari non contenziosi e le esecuzioni civili mobiliari e immobiliari";
- "come si legge nella relazione illustrativa del testo unico, i tre procedimenti - meglio individuati, nella legge di delega, con specifico riferimento alle fonti della relativa disciplina - 'coprono l'intera materia delle spese di giustizia', che può dirsi perciò costituire l'oggetto sostanziale della delega stessa";
- la norma qui denunciata (l'art. 299 d. lgs. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 d. lgs. 274/2000) riguarda la disciplina della competenza relativa al procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace;
- "si desume dalla già citata relazione illustrativa del testo unico che il Legislatore delegato ha ritenuto che tale disciplina" (al pari della disciplina riguardante la competenza rispetto al procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie applicate da un organo della giustizia 'ordinaria') "rientrasse nell'oggetto della delega, quale sopra individuato, sulla base di una valutazione di sostanziale 'comunanza' della materia delle pene pecuniarie con quella delle spese di giustizia";
- "una simile prospettazione non può tuttavia essere condivisa" perché, "contrariamente a quanto sostenuto nella menzionata relazione al testo unico, l'esistenza della delega, specie nelle materie coperte da riserva assoluta di legge - quale è, ex art. 25 della Costituzione, quella riguardante la competenza del giudice - non può essere desunta dalla mera 'connessione' con l'oggetto della delega stessa";
- "il Legislatore delegato - indipendentemente dall'ampiezza dei contorni che vogliano attribuirsi alla materia delle spese di giustizia - era, dunque, sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse … una radicale modifica delle regole di competenza" preesistenti, le quali erano costituite dall'art. 660 c.p.p. (rispetto alle pene pecuniarie applicate da un giudice "ordinario") e dall'art. 42 d. lgs. 274/2000 (rispetto alle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace);
- alla dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 299 d. lgs. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 660 c.p.p. (già fatta da Corte cost. 212/2003), pertanto, andrebbe coerentemente aggiunta la dichiarazione di incostituzionalità dello stesso art. 299 nella parte in cui ha abrogato pure l'art. 42 d. lgs. 274/2000, per violazione dell'art. 76 Cost. (eccesso di delega).
Né può obiettarsi in contrario che l'abrogazione (ex art. 299 d. lgs. 113/2002) dell'art. 660 c.p.p. aveva determinato una modifica (non solo formale, ma pure) sostanziale della preesistente competenza per la conversione delle pene applicate da un giudice "ordinario" (competenza che "passava" dal magistrato di sorveglianza al giudice dell'esecuzione per effetto degli art. 237-238 d. lgs. 113/2002), mentre invece l'abrogazione ex art. 299 d. lgs. 113/2002 dell'art. 42 d. lgs. 274/2000 aveva determinato una modifica solo formale della preesistente normativa sulla competenza per la conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace, la quale "restava" pur sempre al giudice di pace in funzione del giudice dell'esecuzione per effetto dei suindicati art. 237-238 d. lgs. 113/2002 (che parlavano genericamente al riguardo di "giudice dell'esecuzione competente") ( ).
Ed infatti, se si considera l'ordinamento giuridico nel suo assetto positivo conseguente alla sentenza 212/2003 della Corte costituzionale, risulta evidente che anche l'abrogazione dell'art. 42 d. lgs. 274/2000 posta in essere dall'art. 299 d. lgs. 113/2002 ha determinato una "radicale modifica" (non solo formale, ma pure sostanziale) "delle regole di competenza" sulla conversione delle pene pecuniarie inflitte da un giudice di pace, modifica che il Legislatore delegato non aveva il potere di operare (con conseguente vizio di eccesso di delega dell'art. 299 cit. pure in parte qua): come si passa a dimostrare.
Si osserva, anzitutto, al riguardo che, essendo Corte cost. 212/2003 una pronuncia di accoglimento, essa ha determinato l'annullamento (con efficacia retroattiva) delle norme dichiarate incostituzionali ( ).
Pertanto:
- a seguito di Corte cost. 212/2003 sono stati "eliminati ex tunc" dall'ordinamento giuridico (perché dichiarati incostituzionali tout court) gli art. 237-238 d. lgs. 113/2002, che demandavano genericamente al "giudice dell'esecuzione" il procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilità del condannato;
- a seguito della contestuale declaratoria di incostituzionalità (parziale) dell'art. 299 d. lgs. 113/2002 nella parte in cui abrogava l'art. 660 c.p.p., Corte cost. 212/2003 ha determinato altresì la "reviviscenza ex tunc" dell'art. 660 c.p.p., che attribuisce al magistrato di sorveglianza la competenza per il procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie;
- più esattamente, "in conseguenza dell'inidoneità" dell'art. 299 d. lgs. 113/2002 ("per il radicale vizio procedurale che lo inficia") "a produrre effetti abrogativi" ( ) rispetto all'art. 660 c.p.p., a seguito di Corte cost. 212/2003 l'efficacia dello stesso art. 660 c.p.p. deve considerarsi ripristinata senza soluzione di continuità e/o "come se non fosse stato mai abrogato": e questo, in applicazione tanto della giurisprudenza costituzionale relativa agli effetti della caducazione di una norma (nella fattispecie, dell'art. 299 d. lgs. 113/2002) emanata in difetto di delega ( ) quanto della giurisprudenza costituzionale relativa alle conseguenze della dichiarazione di incostituzionalità di una norma (nella fattispecie, dell'art. 299 cit.) espressamente abrogatrice di un'altra norma (nella fattispecie, dell'art. 660 c.p.p.) ( ).
Tutto ciò val quanto dire che a seguito di Corte cost. 212/2003:
- gli art. 237-238 d. lgs. 113/2002 (che attribuivano la competenza per la conversione al "giudice dell'esecuzione"), essendo stati dichiarati incostituzionali in toto, sono stati eliminati dal nostro ordinamento con efficacia ex tunc e, quindi, "come se non fossero mai esistiti";
- per effetto della declaratoria di incostituzionalità parziale dell'art. 299 d. lgs. 113/2002, l'art. 660 c.p.p. deve considerasi "presente e vigente" nel nostro ordinamento


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