La Corte di giustizia respinge il ricorso della Repubblica ceca contro la direttiva che rafforza il controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi da fuoco
Pubblicato il 06/12/19 00:00 [Doc.6926]
di Redazione IL CASO.it


Con la sentenza Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C-482/17), pronunciata il 3 dicembre 2019, la Corte ha respinto il ricorso diretto all'annullamento completo o parziale della direttiva 2017/853 1 (in prosieguo: la «direttiva impugnata») con la quale il Parlamento europeo e il Consiglio hanno modificato la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi 2 (in prosieguo: la «direttiva sulle armi da fuoco»). La Corte ha dichiarato che le misure adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio nella direttiva impugnata non integrano violazioni dei principi di attribuzione, di proporzionalità, di certezza del diritto, di tutela del legittimo affidamento e di non discriminazione invocati dalla Repubblica ceca a sostegno del suo ricorso. Al fine di abolire i controlli alle frontiere all'interno dello spazio Schengen la direttiva sulle armi da fuoco ha istituito un quadro minimo armonizzato in materia di detenzione e acquisizione delle armi da fuoco nonché del loro trasferimento tra Stati membri. A tale scopo, la suddetta direttiva prevede disposizioni riguardanti le condizioni in base alle quali armi da fuoco di diverse categorie possono essere acquisite e detenute, prevedendo nel contempo, per imperativi di sicurezza pubblica, che debba essere vietata l'acquisizione di taluni tipi di armi da fuoco. A seguito di alcuni atti terroristici il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato, nel 2017, la direttiva impugnata per introdurre norme più severe per le armi da fuoco più pericolose, disattivate e semiautomatiche. Tale direttiva mira del pari ad agevolare la libera circolazione di talune armi prevedendo, in particolare, norme sulla marcatura. Per quanto riguarda le armi da fuoco automatiche trasformate in armi da fuoco semiautomatiche, che sono in linea di principio vietate, la direttiva impugnata contiene una deroga le cui condizioni sono soddisfatte unicamente dalla Confederazione svizzera, che fa parte dello spazio Schengen e a cui si applica la direttiva sulle armi da fuoco. Si tratta, in particolare, della condizione attinente all'esistenza di un sistema militare basato sulla coscrizione generale e in cui vige da 50 anni un sistema di trasferimento delle armi da fuoco militari alle persone che lasciano l'esercito. La Repubblica ceca ha proposto un ricorso dinanzi alla Corte di giustizia diretto all'annullamento totale o parziale della direttiva impugnata. In tale procedimento la Repubblica ceca era sostenuta dall'Ungheria e dalla Polonia, mentre il Parlamento europeo e il Consiglio sono stati sostenuti dalla Francia e dalla Commissione europea. Relativamente all'asserita violazione del principio di attribuzione, anzitutto, la Corte ha ricordato che, anche nel caso in cui un atto fondato sull'articolo 114 TFUE, come la direttiva sulle armi da fuoco, abbia già eliminato ogni ostacolo agli scambi nel settore da esso armonizzato, il legislatore 1 Direttiva (UE) 2017/853 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2017, che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi (GU 2017, L 137, pag. 22). 2 Direttiva 91/477/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1991, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi (GU 1991, L 256, pag. 51). www.curia.europa.eu dell'Unione non può essere privato della possibilità di adeguare tale atto, fondandosi sulla suddetta disposizione, a qualsiasi cambiamento delle circostanze o evoluzione delle conoscenze, in considerazione del compito affidatogli di vigilare alla protezione degli interessi generali riconosciuti dai Trattati. Rientrano in tali interessi generali la lotta contro il terrorismo internazionale e la grave criminalità, nonché il mantenimento della sicurezza pubblica. Inoltre, con riferimento a una normativa che modifica una normativa esistente, la Corte ha precisato che è importante, ai fini dell'individuazione della sua base giuridica, tener conto della normativa esistente che essa modifica e, in particolare, del suo obiettivo e del suo contenuto. Un esame isolato dell'atto modificativo rischierebbe, infatti, di portare al risultato paradossale che tale atto non potrebbe essere adottato sulla base giuridica dell'articolo 114 TFUE, mentre sarebbe possibile, per il legislatore dell'Unione, pervenire al medesimo risultato normativo abrogando l'atto iniziale e procedendo alla rifusione integrale dello stesso in un nuovo atto. La Corte ha, di conseguenza, constatato che occorreva individuare la base giuridica sul cui fondamento la direttiva impugnata doveva essere adottata tenendo conto tanto del contesto costituito dalla direttiva sulle armi da fuoco quanto della normativa risultante dalle modifiche apportate a quest'ultima mediante la direttiva impugnata. Infine, al termine di un raffronto dell'obiettivo e del contenuto della direttiva sulle armi da fuoco con quelli della direttiva impugnata, la Corte ha constatato che le due direttive mirano a garantire il ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri in materia di libera circolazione delle armi da fuoco ad uso civile, inquadrando nel contempo tale libertà mediante garanzie in ordine alla sicurezza adeguate alla natura di tali merci, e che la direttiva impugnata si limita a tal proposito ad affinare l'equilibrio stabilito dalla direttiva sulle armi da fuoco tra i suddetti due obiettivi per adeguarlo all'evoluzione delle circostanze. A tal proposito, la Corte ha ricordato che l'armonizzazione degli aspetti relativi alla sicurezza delle merci è uno degli elementi essenziali per garantire il buon funzionamento del mercato interno, dal momento che normative divergenti in tale materia sono idonee a creare ostacoli agli scambi. Orbene, poiché la particolarità delle armi da fuoco consiste nella loro pericolosità non soltanto per gli utilizzatori, ma anche per il grande pubblico, la Corte ha sottolineato che considerazioni di pubblica sicurezza risultano indispensabili nell'ambito di una normativa sull'acquisizione e la detenzione di tali merci. La Corte ha pertanto dichiarato che il legislatore dell'Unione non ha ecceduto il potere discrezionale conferitogli dall'articolo 114 TFUE nell'adottare la direttiva impugnata sul fondamento di tale disposizione. Relativamente all'asserita violazione del principio di proporzionalità, la Corte ha esaminato se l'accordo interistituzionale «Legiferare meglio» 3 imponesse formalmente alla Commissione di effettuare una valutazione d'impatto delle misure previste dall'adozione della direttiva impugnata, per consentire la valutazione della proporzionalità di tali misure. A tal proposito la Corte ha rilevato che l'effettuazione di valutazioni d'impatto costituisce una tappa dell'iter legislativo che deve, in linea generale, aver luogo quando un'iniziativa legislativa può avere un'incidenza economica, ambientale o sociale significativa. Tuttavia, dai termini di tale accordo non risulta un obbligo di effettuare un'analisi del genere in qualsiasi circostanza. Quindi, l'omissione di una valutazione d'impatto non può essere qualificata come una violazione del principio di proporzionalità quando il legislatore dell'Unione si trova in una situazione particolare che richiede di farne a meno, sempre che, tuttavia, esso disponga di elementi sufficienti per poter valutare la proporzionalità dei provvedimenti previsti. Nella sentenza la Corte ha di seguito constatato che il legislatore dell'Unione disponeva di numerose analisi e raccomandazioni riguardanti tutti gli aspetti in materia di sicurezza menzionati nell'argomentazione della Repubblica ceca e che, contrariamente a quanto sostenuto da tale Stato 3 Accordo interistituzionale «Legiferare meglio» tra il Parlamento europeo, il Consiglio dell'Unione europea e la Commissione europea, del 13 aprile 2016 (GU 2016, L 123, pag. 1) www.curia.europa.eu membro, le misure censurate non appaiono, alla luce delle suddette analisi e raccomandazioni, manifestamente inadeguate rispetto agli obiettivi di garantire la sicurezza pubblica dei cittadini dell'Unione e di facilitare il funzionamento del mercato interno delle armi da fuoco ad uso civile. Di conseguenza, la Corte ha giudicato che, nella fattispecie, le istituzioni dell'Unione non avevano oltrepassato l'ampio potere discrezionale di cui dispongono quando sono chiamate ad effettuare siffatti apprezzamenti e valutazioni complessi di natura politica, economica e sociale. Infine, la Corte ha respinto altresì gli argomenti della Repubblica ceca diretti più specificamente contro talune disposizioni della direttiva impugnata ritenute da tale Stato membro contrarie ai principi di proporzionalità, di certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento di categorie di proprietari o detentori di armi potenzialmente assoggettati ad un regime più severo in applicazione della direttiva impugnata e, infine, al principio di non discriminazione. Quanto a quest'ultimo principio, la Corte osserva in particolare che la deroga di cui beneficia la Confederazione svizzera tiene conto, nel contempo, della cultura e delle tradizioni di tale paese nonché del fatto che, per effetto di tali tradizioni, quest'ultimo gode di un'esperienza e di una capacità comprovata di rintracciare e monitorare le persone e le armi di cui trattasi che consentono di presumere che malgrado tale deroga saranno raggiunti gli obiettivi di pubblica sicurezza perseguiti dalla direttiva impugnata. Dato che appare che nessun altro Stato membro dell'Unione europea si trovi in una situazione comparabile a quella della Confederazione svizzera, non sussiste discriminazione.


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