Sì all'autotutela sostitutiva, anche in corso di giudizio
Pubblicato il 19/08/20 00:00 [Doc.7996]
di Redazione IL CASO.it


13 Agosto 2020
È sempre possibile, per l'ufficio, emendare da errori formali e di merito l'atto impositivo purché sia rispettato il divieto di doppia imposizione e il diritto di difesa del contribuente

L'autotutela "sostitutiva", con la quale l'Amministrazione annulla l'atto illegittimo e lo sostituisce con un altro di contenuto sostanzialmente identico, ma privo dei vizi originari, può essere esercitata anche in pendenza di giudizio, perché l'emissione del primo atto non consuma il potere di imposizione. Questo il principio espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 13807 del 6 luglio 2020.

La vicenda esaminata dalla Cassazione
Nella pronuncia in commento la Cassazione ha esaminato una fattispecie, non infrequente, di autotutela cosiddetta sostitutiva.
Dopo aver emesso un avviso di liquidazione per la revoca dell'agevolazione "prima casa", in quanto l'unità immobiliare dichiarata in successione dal contribuente non presentava il requisito della non lussuosità, l'ufficio notificava un nuovo avviso, sostitutivo del primo.
La controversia è giunta due volte all'attenzione della Cassazione.
Con l'ordinanza n. 26801 del 13 novembre 2017, il giudice di legittimità aveva rigettato il ricorso del contribuente nella parte in cui si doleva dell'applicazione del Dm Lavori Pubblici del 2 agosto 1969, parametro allora vigente per stabilire il carattere "di lusso" delle abitazioni e oggi sostituito dal riferimento alla categoria catastale, accogliendolo tuttavia nella parte in cui la Ctr non si era pronunciata sul motivo di appello relativo alla legittimità del provvedimento di autotutela emanato in corso di giudizio.
In sede di rinvio, la Ctr Abruzzo ha accolto l'appello del contribuente, ritenendo illegittimo l'atto impositivo emesso in rinnovazione di quello precedente, in quanto recante una pretesa di ammontare maggiore. Il secondo provvedimento, infatti, aveva attribuito al contribuente le imposte dovute per intero, mentre il primo le aveva liquidate (in violazione del principio di solidarietà previsto per le imposte di registro e di successione) pro quota. Per la Ctr, in altri termini, l'autotutela sarebbe consentita soltanto se "riduttiva".
La controversia è giunta così nuovamente in Cassazione, per iniziativa - questa volta - dell'Amministrazione, che con l'unico motivo di ricorso ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli articoli 2-quater, comma 1, del Dl n. 564/1994: si tratta dei provvedimenti normativi che regolano casi e presupposti dell'autotutela in materia tributaria.
In particolare, secondo l'Agenzia, i giudici di appello avevano errato nel ritenere precluso l'esercizio del potere di autotutela sostitutiva, effettuato nei termini di decadenza e in assenza di un giudicato.

La soluzione della Corte ed i principi che regolano la materia
La Cassazione ha accolto il ricorso e cassato la sentenza, con decisione nel merito e rigetto del ricorso introduttivo del contribuente, in quanto - si tratta di fatti che appaiono pacifici tra le parti - il secondo atto non violava i termini di decadenza né un precedente giudicato tra le parti.

La pronuncia si segnala per una motivazione particolarmente "didattica".
Richiamando diversi precedenti in materia, la Corte ricorda che:

poiché l'autotutela sostitutiva deve rispettare il divieto di doppia imposizione e il diritto di difesa del contribuente, il secondo atto (legittimo purché "tempestivo" e non elusivo del giudicato) deve espressamente annullare il precedente (cfr Cassazione n. 27091/2019)
l'autotutela cosiddetta sostitutiva, con la quale l'Amministrazione annulla l'atto illegittimo e lo sostituisce con un altro di contenuto sostanzialmente identico, ma privo dei vizi originari, può essere esercitata - come nel caso di specie - anche in pendenza di giudizio, perché l'emissione del primo atto non consuma il potere di imposizione (cfr Cassazione n. 7751/2019 e altre)
l'esercizio del potere di autotutela non presuppone necessariamente che l'atto ritirato sia affetto da vizi di forma, potendo l'Amministrazione sostituire il precedente atto impositivo illegittimo con innovazioni che possono investirne tutti gli elementi strutturali, costituiti dai destinatari, dall'oggetto, dal contenuto e dalla motivazione (cfr Cassazione n. 4272/2010), e quindi non soltanto in presenza - come talvolta si legge - di soli vizi di forma
è possibile anche l'autotutela di "secondo grado", ovvero l'annullamento di un atto che a sua volta dispone l'annullamento di un precedente provvedimento (cfr Cassazione n. 25055/2019 e 22827/2013), con la precisazione che ciò non comporta l'automatica reviviscenza di quest'ultimo, ormai definitivamente eliminato dall'ordinamento, il quale dovrà essere (se ne ricorrono le note condizioni della tempestività e dell'assenza di giudicato) emesso ex novo.
A questi principi si può anche aggiungere che l'annullamento "sostitutivo" è un comportamento doveroso, e ciò anche qualora sia stata emessa una sentenza che abbia annullato il primo atto per motivi formali, in quanto all'Amministrazione non è rimesso il potere di rinunciare, facendo decorrere i termini di legge, all'azione di recupero del credito fiscale (in questi termini, cfr Cassazione n. 22336/2018).

Infine, sebbene entrambe costituiscano l'esercizio del potere di riesaminare la propria azione e, conseguentemente, di annullare gli atti amministrativi illegittimi o infondati, in attuazione (tra gli altri) del principio di buon andamento dell'azione amministrativa, la Cassazione non ha mancato di evidenziare in più occasioni la differenza tra l'autotutela "sostitutiva" e quella "integrativa". Quest'ultima non determina la sostituzione dell'atto originario, che non è considerato illegittimo, non è sostituito e continua a spiegare i propri effetti; l'accertamento integrativo, tuttavia, richiede la sopravvenuta conoscenza (oggetto di specifica motivazione) di nuovi elementi, e non può fondarsi sulla rivalutazione fattuale o giuridica degli stessi già posti a base dell'atto annullato (così la recente Cassazione n. 7293/2020).

Altra differenza è quella tra modifica "in aumento", che necessita di un atto formale (che può integrare o sostituire quello precedente) specificamente motivato, e "in diminuzione", che, se si limita a una mera riduzione del petitum (cfr Cassazione n. 27543/2018) e costituisce una mera revoca parziale dell'atto originario, non incontra il limite del termine decadenziale (cfr Cassazione 11699/16) e non è autonomamente impugnabile (cfr Cassazione nn. 7511/2016 e 29595/2018).


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