La Corte di giustizia di primo grado di Modena sull'esame analitico di ogni segnale di frode
Pubblicato il 02/09/23 00:00 [Doc.12340]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


Gli indizi evidenziati dall’ufficio finanziario per la messa a punto della prova presuntiva che dimostra la frode realizzata dal contribuente devono essere esaminati nel loro complesso

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Non è conforme alla giurisprudenza di Cassazione l’esame “elemento per elemento” delle prove portate dall’Amministrazione finanziaria. Piuttosto è il contribuente che per smontare la ricostruzione del Fisco deve dimostrare di aver agito correttamente e con la massima diligenza.

È quanto stabilito dalla Corte di giustizia di primo grado di Modena con la sentenza n. 214 dell’11 luglio 2023.

I fatti di causa
Con quattro distinti avvisi di accertamento per gli anni dal 2016 al 2019, la direzione provinciale di Modena contestava a una società l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Gli avvisi traevano fondamento da un Pvc della Guardia di finanza per gli anni dal 2017 al 2019; gli stessi rilievi venivano comunque formalizzati anche per il 2016.
La frode si svolgeva nell’ambito del commercio di carburanti – benzina e gasolio in particolare – e le contestazioni erano relative alla circostanza – acclarata dalla Guardia di finanza – che la società si era servita di fatture emesse da soggetti diversi da coloro che avevano effettivamente ceduto i prodotti.

Gli elementi addotti al fine di provare la frode erano molteplici, in particolare:

  • in tutte le operazioni di acquisto, vi erano sempre degli intermediari che si inserivano tra la contribuente e i soggetti fornitori
  • gli intermediari godevano di ampia libertà e potevano “decidere” quale società dovesse fatturare le forniture che volta per volta venivano effettuate all’accertata
  • veniva spesso rilevata la vendita dei carburanti a prezzi inferiori a quelli di mercato
  • la società pagava le accise che dovevano essere assolte dai fornitori
  • vi erano numerosi errori nei cicli di fatturazione e in generale negli adempimenti contabili
  • i contatti con le asserite ditte fornitrici avvenivano sempre tramite caselle mail “generiche” dalle quali non si evinceva il soggetto, inteso come persona fisica, che inviava le comunicazioni
  • la contribuente non si era premurata di acquisire documentazione tesa a verificare l’affidabilità dei fornitori, secondo i principi stabiliti dalla Corte di cassazione
  • le persone coinvolte nelle compravendite –in particolare gli intermediari – erano soggetti già implicati in frodi relative a false fatturazioni. Alcuni di tali soggetti avevano talvolta commesso anche crimini di altro genere, come contrabbando, percosse e possesso abusivo di arma da fuoco.

Svolgimento della controversia
In ognuno dei ricorsi presentati per i quattro anni, la società – piuttosto che provare la propria buona fede e l’avvenuta effettuazione dei controlli previsti dalla giurisprudenza di Cassazione – provava a contestare punto per punto gli elementi addotti dall’ufficio.
Le motivazioni della contribuente sono però state ampiamente rigettate dalla Corte di giustizia tributaria modenese.
È stato infatti stabilito che “Come noto gli indizi non debbono essere esaminati atomisticamente, come ha fatto la contribuente con l’intento di mettere in discussione la loro gravità, precisione e concordanza; gli indizi devono essere invece complessivamente considerati al fine del raggiungimento della prova presuntiva, una prova presuntiva che nella specie si presenta all’evidenza particolarmente sicura e tranquillizzante […] Poiché l’amministrazione ha dato la prova richiesta, spettava alla contribuente dare la prova contraria, in particolare la contribuente era tenuta a dimostrare di aver esercitato nella scelta dei fornitori la massima diligenza esigibile da un imprenditore di media avvedutezza; massima diligenza esigibile che la giurisprudenza fa coincidere, per esempio, con il dovere che il contribuente ha di verificare, come del resto la notoria prassi tra chi intrattiene affari, la idoneità della struttura e dell’organizzazione imprenditoriale dei fornitori”.

La sentenza chiude evidenziando che “secondo questa Corte è stata raggiunta, in modo indiscutibile, la prova della partecipazione della contribuente alla frode fiscale, con il conseguente corretto recupero dell’IVA indebitamente detratta”.

Particolarmente interessante è poi l’osservazione della Corte di giustizia – in materia di onere della prova – secondo cui la questione dell’aggiunta del comma 5-bis all’articolo 7 del Dlgs n. 546/1992 è “una riflessione che la comunità degli interpreti sta affrontando in modo palesemente concitato”.
La società è stata condannata al pagamento delle spese di lite per 70mila euro.

 

 

 


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