L'Iva versata senza territorialità non può essere chiesta a rimborso
Pubblicato il 03/10/23 00:00 [Doc.12450]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


Secondo la suprema Corte, la prestazione effettuata dagli operatori italiani nei confronti della compagine iberica è fuori campo: l’imposta, quindi, non avrebbe dovuto essere applicata

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L’apposizione di insegne pubblicitarie su edifici in Italia, da parte di una società con sede in Spagna, è fuori campo Iva per difetto del requisito della territorialità, essendo stata resa da operatori nazionali a un soggetto passivo non stabilito nel territorio dello Stato. Non si tratta, inoltre, di una prestazione di servizi immobiliari riconducibile all’articolo 7-quater, comma 1, lettera a), Dpr n. 633/1972 nella versione applicabile ratione temporis. Di conseguenza, esclusa la territorialità della prestazione e ritenuta non dovuta l'Iva applicata nelle fatture emesse dagli operatori italiani, la stessa non può formare oggetto di rimborso. Lo ha chiarito la Cassazione nell’ordinanza n. 24507 dell’11 agosto 2023.
 
I fatti
Una società con sede a Barcellona ha chiesto il rimborso dell’Iva relativa al 2010, addebitatale dalle richiedenti italiane con riferimento all'installazione, per suo conto, di insegne luminose su immobili situati in Italia. L’Agenzia delle entrate ha rigettato l’istanza, ritenendo che le prestazioni di servizio effettuiate dovessero considerarsi escluse dal campo di applicazione dell’Iva, per carenza del requisito territoriale (ex articolo 7–ter, Dpr n. 633/1972). La società spagnola non aveva una stabile organizzazione, né un rappresentante fiscale in Italia e corrispondeva l'Iva mediante il meccanismo di inversione contabile.
In particolare, dall’esame delle fatture allegate all’istanza di rimborso, emesse da operatori italiani, titolari di partita Iva, era emerso che le attività effettuate erano relative sia all’installazione di insegne luminose presso le strutture immobiliari di varie concessionarie automobilistiche in Italia, sia alle prestazioni professionali rese dagli ingegneri italiani, sempre riferite a tali attività (“coordinamento e monitoraggio sui lavori di installazione delle insegne”). Le insegne, cioè, erano spedite direttamente dalla Spagna e installate mediante l'intervento di tecnici italiani.

La società ha impugnato il diniego, sostenendo di avere diritto al rimborso in presenza del presupposto di territorialità, essendo ubicati in Italia gli immobili sui quali venivano apposte le insegne e determinandosi, con certezza quindi, il luogo di effettuazione della prestazione finale alle proprie committenti come previsto dall’articolo 7-quater, comma 1, lettera a), Dpr n. 633/1972.
Altalenante l’esito del giudizio nei gradi di merito. In primo grado il Collegio ha rigettato il ricorso riconoscendo che le prestazioni effettuate non rientravano tra quelle previste dalla norma in argomento, per le quali la territorialità è fissata con riferimento alla loro natura oggettiva, ma erano soggette alla regola generale posta dall’articolo 7-ter dello Stato di stabilimento del committente o del prestatore. Di conseguenza, le prestazioni “restavano fuori dal capo di applicazione dell’imposta”, sia poiché l’insegna non ha una connessione inscindibile con l'immobile sul quale è apposta (ma con l'impresa della quale segue le sorti), sia perché è un bene mobile e, anche se talvolta incorporata in un immobile, non perde la sua autonomia fisica e giuridica e può essere rimossa senza particolari difficoltà.
Il giudice di appello, invece, riformando la sentenza impugnata, ha affermato che, nella fattispecie, le insegne apposte erano inglobate nella struttura stessa dell’immobile, così da costituire parte integrante dello stesso, come risultava dalle fotografie prodotte nel corso del giudizio.
 L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando tra l’altro che il Collegio di secondo grado:

  • aveva erroneamente inquadrato l’installazione delle insegne tra le deroghe al principio generale di territorialità previste dal richiamato articolo 7-quater e, di conseguenza, aveva erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti per il pagamento, a monte, dell'Iva (e, conseguentemente, per la richiesta del suo rimborso, a valle) nonostante le prestazioni sottese alla richiesta di rimborso (l'apposizione di insegne pubblicitarie) concernessero beni mobili (e non immobili) e fossero rese in favore di un soggetto (la società spagnola, appunto) non stabilito nel territorio dello Stato
  • aveva errato nel ritenere l’imposta rimborsabile in Italia, essendo stata erroneamente fatturata a un soggetto passivo non stabilito nel territorio dello Stato. La società spagnola, nell'ambito dell'operazione sottesa alla richiesta di rimborso, non era la cedente, ma l’acquirente (e, dunque, non soggetto passivo di imposta) e, inoltre, poiché l'operazione era da considerarsi fuori campo Iva, la società, al più, avrebbe potuto agire in rivalsa nei confronti della cedente, chiedendo la restituzione dell'Iva versata e non dovuta.

La Corte suprema, con l’ordinanza in esame, ha  accolto i motivi di ricorso e ha affermato che “la prestazione … è fuori campo IVA per difetto del requisito della territorialità, essendo stata resa a soggetto passivo non stabilito nel territorio dello Stato (v. art. 7 ter comma 1 lett. a, d.P.R. n. 633/1972) e non trattandosi di una prestazione di servizi relativa ad un immobile ma di una prestazione relativa ad una cosa mobile, cioè l’insegna, che non rientra tra quelle contemplate dall’art. 7 quater comma 1 lett. a), cit., nella versione applicabile ratione temporis…”.

Osservazioni
I giudici di legittimità sono stati chiamati a valutare la sussistenza del requisito di territorialità ai fini dell’assoggettamento a imposta della prestazione e se, in particolare, qualora ritenuto sussistente tale requisito, potesse trovare applicazione la regola generale dell’articolo 7-ter, ovvero le specifiche deroghe ex articolo 7-quater, qualora le insegne installate sull’immobile italiano potessero considerarsi inglobate in tale bene.
In primo luogo, la Corte, non sussistendo il requisito di territorialità, ha ritenuto che l’operazione fosse fuori campo Iva, “essendo stata resa a soggetto passivo non stabilito nel territorio dello Stato”. L’articolo 7-ter, infatti, stabilisce che “Le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel territorio dello Stato: a) quando sono rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato; b) quando sono rese a committenti non soggetti passivi da soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato”.

La Cassazione ha affermato, inoltre, che le prestazioni fatturate non rientravano neppure tra quelle particolari indicate nell’articolo 7-quater, comma 1, lettera a), secondo il quale “in deroga a quanto stabilito dall'articolo 7-ter, comma 1, si considerano effettuate nel territorio dello Stato: a) le prestazioni di servizi relativi a beni immobili, comprese… le prestazioni inerenti alla preparazione e al coordinamento dell'esecuzione dei lavori immobiliari, quando l'immobile è situato nel territorio dello Stato”. Dalle fotografie prodotte in corso di causa risultava, infatti, che le insegne pubblicitarie erano imbullonate agli edifici o unite agli stessi mediante moderni sistemi di stabilizzazione, ma ben potevano essere rimosse facilmente e, comunque, senza alcuna rottura o deterioramento dell’edificio.

Del resto, le conclusioni della Corte, già espresse con l’ordinanza n. 16845/2023, nei confronti della stessa società spagnola in relazione all’anno d’imposta 2012, risultano in linea con la posizione dei giudici unionali e dell’Agenzia delle entrate che hanno ritenuto “non immobiliari” le prestazioni di installazione, conservazione e custodia di impianti disinstallabili e di apparecchiature (ad esempio, server), (Corte di giustizia Ue, C-215/19, sentenza del 2 luglio 2020; risposta a interpello n. 36/2022).

Esclusa la territorialità della prestazione e ritenuta non dovuta l’Iva applicata dagli operatori nazionali, i giudici di legittimità hanno ritenuto legittimo il diniego di rimborso, affermando che il caso in esame fosse coincidente con quello esaminato dalla Corte di giustizia (Causa C-35/05, sentenza del 15 marzo 2007), proprio in tema di rimborso Iva ai soggetti passivi non residenti.
Nella fattispecie nazionale, infatti, l’imposta, erroneamente fatturata al destinatario (spagnolo), una volta versata all’Erario dello Stato membro del luogo delle prestazioni effettuate (l’Italia, appunto), non poteva formare oggetto di rimborso poiché, come chiarito dal giudice unionale (C-35/05, punto 18), il sistema comune dell’Iva non prevede espressamente il caso in cui l’imposta venga fatturata per errore.

Tale principio è stato recepito anche nel diritto interno. La Cassazione ha affermato che, dal compimento di un'operazione imponibile, discendono tre rapporti fra di loro autonomi (l'uno, tra l'amministrazione finanziaria e il cedente, relativamente al pagamento dell'imposta; l'altro, tra il cedente e il cessionario, in ordine alla rivalsa, e il terzo, tra l'amministrazione e il cessionario, per ciò che attiene alla detrazione dell'imposta assolta in via di rivalsa) e che tale autonomia presuppone che rimanga salvo il principio della neutralità dell'Iva, con esclusione, in concreto, dell'eventualità di una perdita di gettito tributario (cfr Cassazione, pronuncia n. 7325/2020). I giudici di legittimità concludono, quindi, che, nel caso in cui un'operazione sia stata erroneamente assoggettata a Iva e risultino privi di titolo sia il pagamento dell'imposta, sia la rivalsa nei confronti del cessionario e la detrazione da questi successivamente operata, è il cedente ad aver diritto di chiedere all'amministrazione il rimborso del tributo corrisposto, ed è il cessionario ad avere quello di domandare al cedente la restituzione della somma pagata in rivalsa (cfr Cassazione, pronuncia n. 4020/2012).

 


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