Ripetizione di indebito tributario, al legislatore la riapertura dei rapporti
Pubblicato il 16/12/23 00:00 [Doc.12725]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


Respinta la tesi della contribuente che lamentando la mancata deducibilità analitica dell’Irap per i dipendenti, misura introdotta successivamente, aveva presentato istanza di rimborso

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Spetta solo al legislatore, nei casi di sopravvenute pronunce comunitarie o di una legge retroattiva, la valutazione discrezionale, nel rispetto dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, in ordine all'introduzione di termini e modalità di "riapertura" di rapporti esauriti. In generale, una tale situazione deve comunque ritenersi recessiva rispetto al principio della certezza delle situazioni giuridiche, soprattutto in materia di entrate tributarie.

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 29312/2023, si è espressa sul tema del rapporto tra il diritto alla ripetizione di un indebito, manifestatosi dopo il sopravvenire di pronunce comunitarie o leggi retroattive, e il rispetto del principio di certezza e tutela dei rapporti tributari ormai esauriti.

Nel caso di specie, la società contribuente lamentava che, in conseguenza della solo successiva intervenuta deducibilità analitica dell'Irap relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente, non aveva potuto dedurre negli anni la detta imposta dall'imponibile Irpeg, pagando così una maggiore imposta non dovuta.
La stessa ne chiedeva pertanto il rimborso, con interessi, impugnando poi il silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria.
La contribuente risultava soccombente sia in primo che in secondo grado, ricorrendo infine per cassazione.

Per quanto di interesse, la società denunciava l'illegittimità costituzionale dell’articolo 2 comma 1-quater Dl n. 201/2011, che consente appunto di chiedere il rimborso delle dette maggiori imposte versate, se interpretato nel senso di escludere la deduzione per i periodi di imposta antecedenti al 2007, per contrasto con gli articoli 3, 24, 42 e 53 della Costituzione.
Secondo la Suprema corte la censura non era fondata.

Evidenziano i giudici di legittimità che l'articolo 2, comma 1-quater del Dl n. 2/2011, prevede che con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di presentazione delle istanze di rimborso relative ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto, fosse ancora pendente il termine di cui al Dpr n. 602/1973.

La Cassazione rileva quindi di avere già affermato (sentenza, n. 29043/2019, n. 25956/2022 e n. 10176/2023), che "In tema di imposte sui redditi, la disciplina introdotta dal D.L. n. 201 del 2011, art. 2, comma 1-quater, conv., con modif., in L. n. 214 del 2011, che consente di chiedere il rimborso delle maggiori imposte versate in conseguenza dell'intervenuta deducibilità analitica dell'IRAP relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente, trova applicazione soltanto con riferimento ai periodi di imposta per i quali, alla data di entrata in vigore del D.L. cit., era ancora pendente il termine di quarantotto mesi per richiedere il rimborso previsto a pena di decadenza dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38 (vale a dire, andando a ritroso, fino al 28.12.2007), essendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tale previsione, nella parte in cui non consente l'estensione delle richiamate disposizioni ai periodi d'imposta precedenti, perchè, in materia di agevolazioni, il legislatore ha un potere ampiamente discrezionale, censurabile solo in caso di palese arbitrarietà o irrazionalità, nella specie insussistenti, tenuto conto dell'ancoraggio della norma al menzionato termine decadenziale e della recessività dell'esigenza di tutelare un eventuale affidamento incolpevole rispetto a quella di dare certezza alle situazioni giuridiche".

Tanto premesso, la Cassazione evidenzia, in particolare, che il Dl n. 2, articolo 2, prevede, a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2012, la deducibilità di un importo pari all'imposta regionale sulle attività produttive relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti. Tale deduzione analitica si aggiunge alla previgente deduzione forfettaria del 10% dell'Irap, a suo tempo introdotta dal Dl n. 185/2008, articolo 6, con deducibilità estesa, come visto, anche ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, laddove alla data del 28 dicembre 2011 fosse ancora pendente il termine di 48 mesi per chiedere il rimborso.

Le istanze in giudizio non rientravano però nella detta previsione di limitata "retroattività" dello ius superveniens e quindi per esse non spettava alcun rimborso.
In casi come quello del sopravvenire di pronunce comunitarie, ovvero di una legge retroattiva, conclude la Corte, spetta infatti al solo legislatore la valutazione discrezionale, nel rispetto dei principi costituzionali coinvolti, in ordine all'eventuale introduzione di termini e modalità di "riapertura" di rapporti esauriti.

E nella specie la retroattività del diritto al rimborso era stata ancorata alla norma generale per la ripetizione dell'indebito tributario.
In sostanza, anche a voler ammettere la configurabilità di un affidamento incolpevole, la tutela di tali situazioni deve ritenersi comunque recessiva rispetto al principio della certezza delle situazioni giuridiche, soprattutto in materia di entrate tributarie, che riceverebbe altrimenti un grave vulnus in ragione della sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei rapporti tributari che ne deriverebbe (Cassazione n. 13676/2014).

Solo il legislatore può peraltro discrezionalmente regolare la materia degli oneri deducibili, in particolare di natura fiscale (Cassazione n. 25956/2022), avendo la Consulta già affermato che “norme di tale tipo, aventi carattere eccezionale e derogatorio, costituiscono esercizio di un potere discrezionale del legislatore, censurabile solo per la sua eventuale palese arbitrarietà o irrazionalità” (Corte costituzionale n. 292/1987, n. 174/2001, n. 117/2017 e n.17/2018).
In termini più generali e a prescindere dallo specifico caso processuale, giova del resto evidenziare che la valutazione circa la sussistenza del presupposto dell'esercizio dell'autotutela dipende sempre e comunque dal contemperamento tra l'esigenza di tutelare l'interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi e l'interesse, altrettanto pubblicistico, alla stabilità dei rapporti giuridici.

E’ dunque in tali casi necessario un bilanciamento degli interessi in gioco, secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa (Corte costituzionale, sentenza n. 181/2017).
L’autotutela tributaria investe infatti atti posti in essere dall’ente impositore nell’esercizio di un’attività legislativamente vincolata e tale carattere «vincolato» si estende anche alla successiva fase del riesame, non riconducibile alla sfera della pura discrezionalità amministrativa.

L’esercizio del potere di annullamento in via di autotutela, così, trova ad esempio un limite insuperabile nell’esistenza di una sentenza di merito passata in giudicato.
E il provvedimento illegittimo può essere annullato d’Ufficio (o il rimborso dell’indebito effettuato), solo entro un termine “ragionevole”, rilevando in tal senso il limite della «convalescenza» dell’atto per decorso del tempo, non potendo l’Ufficio spingersi fino all’eliminazione di situazioni ormai esaurite (Cassazione n. 5176/2023).

 

 

 

 

 

 

 


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