Non può essere accolta l'impugnazione del provvedimento di diniego dell'autotutela quando il contribuente contesta vizi dell'atto impositivo
Pubblicato il 09/04/24 00:00 [Doc.13196]
di Fisco Oggi - Agenzia delle Entrate


Diversamente si avrebbe un'indebita sostituzione del giudice nell'attività amministrativa o una controversia sulla legittimità di un atto definitivo, non consentita

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Il sindacato giurisdizionale sul diniego di autotutela (espresso o tacito che sia) può riguardare unicamente eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell'amministrazione finanziaria in relazione alle ragioni di rilevante interesse che giustificano l'esercizio di tale potere, ma non la fondatezza della pretesa tributaria. In caso contrario, infatti, si avrebbe un'indebita sostituzione del giudice nell'attività amministrativa o una non consentita controversia sulla legittimità di un atto impositivo divenuto ormai definitivo.

E’ quanto ha stabilito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 2437 del 25 gennaio 2024, accogliendo le tesi dell'amministrazione finanziaria e cassando la decisione dei giudici tributari di secondo grado.

Nel caso specifico, i giudici di legittimità hanno escluso che possa essere accolta l'impugnazione del provvedimento di diniego dell'autotutela proposta dal contribuente il quale contesti vizi dell'atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo e questo perché deve escludersi che la proposizione dell'istanza di autotutela possa esonerare il contribuente stesso dalla proposizione del ricorso al giudice tributario per l'impugnazione dell'atto impositivo entro il termine perentorio di cui articolo 21, comma 1, del Dlgs n. 546/1992, ai sensi del quale il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto impugnato.

Il caso di specie e il giudizio di merito
L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti di una società specializzata nella lavorazione e nel commercio di carni bovine e suine degli atti impositivi di intimazione di pagamento volti a colpire ipotesi di sotto fatturazione recuperando il maggior reddito non dichiarato.
Avverso tali atti la società contribuente ricorreva in autotutela dinanzi la stessa Agenzia chiedendone l’annullamento. L’amministrazione fiscale, però, confermava il proprio operato emettendo apposito provvedimento di diniego di autotutela che veniva impugnato dalla società dinanzi la competente Ctp di Genova.
I giudici di primo grado davano ragione alla contribuente e medesima decisione era dottata dalla Commissione tributaria regionale per la Liguria (oggi Corte di giustizia tributaria di secondo grado) alla quale il fisco si era rivolto proponendo appello avverso la sentenza di prime cure.
In particolare, i giudici di appello liguri hanno ritenuto che andasse respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado sostenuta dall’Agenzia delle entrate essendo il diniego di autotutela un atto di per sé impugnabile e non essendo ostativa a ciò l’intervenuta definitività del sotteso atto di intimazione.
Avverso tali determinazioni dei giudici di merito, l’amministrazione fiscale proponeva ricorso di ultima istanza dinanzi la Suprema corte di cassazione denunciando la nullità della sentenza per violazione dell'articolo 19 del Dlgs n. 546/1992 per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto infondata l'eccezione, riproposta dall'Ufficio in sede di gravame, di inammissibilità del ricorso di primo grado avverso il diniego di autotutela nonostante lo stesso fosse basato su motivi afferenti alla fondatezza della pretesa tributaria, che avrebbero dovuto essere fatti valere con un normale ricorso di impugnazione dell’atto impositivo di intimazione di pagamento.
A giudizio dell’erario, infatti, la società contribuente, lungi dal dedurre eventuali profili di illegittimità del diniego di annullamento in sé stesso, avrebbe cercato di "recuperare" tramite l'impugnazione dello stesso motivi che avrebbero dovuto essere avanzati nei confronti dell'atto impositivo prodromico che non era stato oggetto di impugnazione e che era, dunque, divenuto definitivo.

La decisione della Corte di cassazione
Chiamati a pronunciarsi definitivamente sulla questione, i giudici di legittimità hanno dato ragione al Fisco, ritenendo fondato il ricorso proposto. In primo luogo hanno ricordato come la questione dei limiti entro cui il diniego di autotutela avverso l'atto tributario definitivo può essere impugnato sia stata ripetutamente analizzata dalla Corte stessa e come sulla medesima questione si sia pronunciata recentemente anche la Corte costituzionale.
In particolare, con la sentenza n. 181/2017, la Corte costituzionale, dopo avere chiarito che l’autotutela tributaria non costituisce un mezzo di tutela del contribuente, ha affermato che pure "in un contesto cosi caratterizzato nel quale l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall'annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti - e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l'amministrazione tributaria è chiamata a provvedere - secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicché si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell'annullamento d'ufficio.”.
Dunque, secondo i giudici della Cassazione emerge chiaramente come la valutazione circa la sussistenza del presupposto dell'esercizio dell'autotutela dipenda dal bilanciamento tra l'esigenza di tutelare l'interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi e l'interesse, altrettanto pubblicistico, alla stabilità dei rapporti giuridici e all'incontestabilità degli atti impositivi quando siano divenuti definitivi. Conseguenza di ciò è che nel processo tributario, il sindacato sull'atto di diniego dell'amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l'esercizio di tale potere, che, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente.
I giudici romani hanno, quindi, rimarcato – richiamando, tra le altre, le sentenze di Cassazione (nn. 8596/2023, 37332/2022, 7318/2022, 7378/2021, 27806/2020, 24032/2019 e 21146/2018) come per orientamento costante il sindacato giurisdizionale sull'impugnato diniego di autotutela, espresso o tacito che sia, può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto stesso dell'amministrazione finanziaria, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un'indebita sostituzione del giudice nell'attività amministrativa o un'inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo divenuto ormai definitivo.
In altri termini, quello che deve essere escluso è che la proposizione dell'istanza di autotutela possa esonerare il contribuente dalla proposizione del ricorso al giudice tributario per l'impugnazione dell'atto impositivo entro il termine perentorio di decadenza di sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto, ovvero che l'amministrazione finanziaria sia vincolata ad adottare il diniego di autotutela prima che l'atto stesso divenga definitivo.
Nel caso di specie, ha osservato, infine, la Corte, la Commissione tributaria regionale non si è attenuta ai principi sopra delineati, disattendendo l'eccezione dell'Ufficio di inammissibilità del ricorso avverso il diniego di autotutela ed accogliendo il ricorso della società contribuente che  aveva dedotto non un rilevante interesse generale legittimante l'autotutela, bensì un mero interesse privato ad ottenere una tassazione inferiore mediante l’annullamento dell’atto impositivo per vizi propri di quest’ultimo.
Per tutto quanto sopra visto, la Corte di cassazione, decidendo nel merito e definitivamente pronunciandosi sulla questione, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate e dichiarato inammissibile il ricorso originario della contribuente.

 


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