L'avvocato generale Collins: le norme dell'Unione sulla cittadinanza (articolo 20 TFUE) richiedono l'esistenza di un «vincolo effettivo» o di un «precedente vincolo effettivo»?
Pubblicato il 12/10/24 00:00 [Doc.13795]
di Corte di giustizia dell'Unione europea - UE


Conclusioni dell’avvocato generale nella causa C-181/23 | Commissione / Malta (Cittadinanza mediante investimenti)

L’avvocato generale Collins: la Commissione non ha dimostrato che le norme dell’Unione sulla cittadinanza (articolo 20 TFUE) richiedono l’esistenza di un «vincolo effettivo» o di un «precedente vincolo effettivo» tra uno Stato membro e un singolo ai fini della concessione della cittadinanza

A seguito di una modifica del Maltese Citizenship Act («legge maltese sulla cittadinanza») nel luglio 2020, la Repubblica di Malta ha adottato una normativa sussidiaria 1 che includeva il «Maltese Citizenship by Naturalisation for Exceptional Services by Direct Investment scheme» («regime sulla cittadinanza maltese per naturalizzazione in ragione di servizi eccezionali tramite investimenti diretti») 2 (in prosieguo: il «regime del 2020 sulla cittadinanza»).

Conformemente al regime del 2020, gli investitori stranieri potevano chiedere di essere naturalizzati se soddisfacevano una serie di requisiti, principalmente di natura finanziaria.

Nell’ambito del ricorso per inadempimento in esame, la Commissione chiede che sia dichiarato che, istituendo e attuando il regime del 2020 sulla cittadinanza, in base al quale la naturalizzazione è concessa ai singoli in cambio di pagamenti o di investimenti predeterminati, malgrado l’assenza di un vincolo effettivo tra essi e la Repubblica di Malta, quest’ultima è venuta meno agli obblighi a essa incombenti ai sensi dell’articolo 20 TFUE riguardante la cittadinanza dell’Unione 3 e del principio di leale cooperazione 4 .

Nelle conclusioni presentate in data odierna, l’avvocato generale Anthony Collins suggerisce alla Corte di considerare che la Commissione non ha dimostrato che, affinché la cittadinanza sia legittimamente concessa, il diritto dell’Unione richiede l’esistenza di un vincolo «effettivo» o di un vincolo «effettivo precedente» tra uno Stato membro e un singolo, diverso da quello richiesto dal diritto interno dello Stato membro.

L’avvocato generale Collins osserva che, nel procedimento in esame, spetta alla Commissione dimostrare che uno Stato membro non ha adempiuto a un obbligo a esso incombente ai sensi del diritto dell’Unione e che essa non può fondarsi su alcuna presunzione a tal fine. Nelle osservazioni orali da essa svolte nella presente causa, la Commissione ha confermato che il suo ricorso era fondato sulla prova dell’esistenza di un requisito stabilito dal diritto dell’Unione, in base al quale, al fine di preservare l’integrità della cittadinanza dell’Unione, deve esistere un «vincolo effettivo» tra uno Stato membro e i propri cittadini.

Secondo l’avvocato generale Collins, la Dichiarazione n. 2 sulla cittadinanza di uno Stato membro, allegata all’Atto finale del Trattato sull’Unione europea 5 , riflette il punto di vista degli Stati membri, in base al quale le rispettive concezioni della cittadinanza concernono l’essenza stessa della loro sovranità e della loro identità nazionale, che essi non intendono mettere in comune. Ne discende che gli Stati membri hanno deciso che spetta esclusivamente a ciascuno di essi stabilire chi ha diritto di essere un proprio cittadino e, di conseguenza, chi è cittadino Direzione della Comunicazione Unità Stampa e informazione curia.europa.eu Restate in contatto! dell’Unione. L’avvocato generale Collins ritiene quindi che, mentre uno Stato membro può, in conformità con le proprie leggi sulla cittadinanza, esigere la prova di un vincolo effettivo, il diritto dell’Unione non definisce, né tanto meno richiede, l’esistenza di un siffatto vincolo al fine di acquisire o di mantenere tale cittadinanza.

Sebbene il diritto dell’Unione non stabilisca le condizioni per l’esercizio delle competenze che gli Stati membri hanno scelto di mantenere, tale esercizio non deve violare il diritto dell’Unione in situazioni che rientrano nell’ambito di applicazione di quest’ultimo. Pertanto, benché il diritto dell’Unione possa limitare, in linea di principio, l’esercizio della prerogativa sovrana di uno Stato membro di concedere o revocare la cittadinanza, tale limitazione si applica solo qualora detto Stato membro agisca in contrasto con il diritto dell’Unione. I requisiti per la concessione della cittadinanza sono disciplinati dal diritto nazionale, sebbene occorra rispettare le norme di diritto internazionale contro la situazione dell’apolidia e il diritto dell’Unione esiga il rispetto dei diritti umani e procedurali degli interessati, almeno per quanto riguarda la perdita della cittadinanza.

L’obbligo, ai sensi del diritto dell’Unione, di riconoscere la cittadinanza concessa da un altro Stato membro rappresenta un riconoscimento reciproco e un rispetto della sovranità di ciascuno Stato membro e non costituisce un mezzo per recare pregiudizio alle competenze esclusive di cui dispongono gli Stati membri in tale ambito. Risulta priva di logica la tesi secondo cui, essendo gli Stati membri tenuti a riconoscere la cittadinanza concessa da altri Stati membri, le loro leggi sulla cittadinanza devono contenere determinate norme in particolare. Il contrario equivarrebbe a sconvolgere l’equilibrio tra cittadinanza nazionale e cittadinanza dell’Unione accuratamente realizzato nei Trattati e si determinerebbe un’erosione totalmente illegittima della competenza degli Stati membri in un ambito particolarmente delicato che essi hanno chiaramente deciso di mantenere sotto il proprio controllo esclusivo.

 


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