Legittimazione del curatore fallimentare all’esercizio dell’azione di risarcimento per il delitto di bancarotta preferenziale
Pubblicato il 29/07/16 08:41 [Doc.1423]
di Redazione IL CASO.it


Cassazione civile, sez. III, 26 luglio 2016, n. 15501. Pres. Chiarini. Rel. Scrima.

La Terza Sezione Civile ha rimesso al Primo Presidente della Corte, ai fini dell’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione di massima di particolare importanza relativa alla sussistenza, o meno, della legittimazione attiva del curatore fallimentare all’esercizio dell’azione di risarcimento danni per il delitto di bancarotta preferenziale.

“Osserva il Collegio che, con la particolare ipotesi di bancarotta fraudolenta prevista dal terzo comma dell'art. 216 1. fall., indicata solitamente dalla dottrina e dalla giurisprudenza come bancarotta preferenziale, secondo la giurisprudenza di legittimità penale e la prevalente dottrina penalistica e una parte della dottrina civilistica, il legislatore mira a salvaguardare la par condicio creditorum, sanzionando quelle condotte che, rivolte al soddisfacimento di alcuni creditori, si risolvano in un pregiudizio della massa.
Si rileva che il creditore, in generale, oltre ad avere un interesse particolare, ricollegato al diritto di vedere soddisfatta la propria pretesa creditoria, ha anche, nel suo rapporto con il debitore, l'interesse al rispetto del canone dell'art. 2740 c.c.
Questo interesse è proprio del singolo creditore, ma, nel contempo è di tutti i creditori indistintamente assunti nei loro rispettivi rapporti con il debitore, in quanto, la lesione del principio affermato dall'art. 2740 c.c., comporta, nella concorsualità della esecuzione fallimentare, la contemporanea, proporzionale lesione degli interessi economici di tutti i creditori che concorrono alla procedura. Se è questo l'interesse che il legislatore ha inteso tutelare con i c.d. reati di bancarotta, si tratta di vedere ora in quale modo, in concreto possa manifestarsi tale lesione.
Questa, passando in rassegna i vari illeciti, può atteggiarsi: a) in manomissione del patrimonio con sua conseguente diminuzione conseguente minore possibilità di soddisfazione, per pan importo, del ceto creditorio che eserciterà il concorso su un complesso di beni di minore valore; b) aggravamento del dissesto con condotte che si pongono in contrasto con il dovere della immediata declaratoria di insolvenza.
Nella bancarotta preferenziale appare complesso rinvenire il "danno" patrimonialmente tutelato. Va premesso che l’atto solutorio, posto in essere dal fallendo, non costituisce di per sé, sotto il profilo sostanziale un "illecito", essendosi in presenza del pagamento di una somma "dovuta", cioè del pagamento di un debito esistente. Quello che rileva (sotto il profilo civilistico) è il momento in cui avviene il pagamento e, (sotto il profilo soggettivo) divengono elementi rilevanti: la prova della conoscenza dello stato di insolvenza (per il caso di esercizio di azione revocatoria) e la prova della volontà di favorire un creditore in danno degli altri (per il reato di bancarotta preferenziale). Sia nell'uno che nell'altro caso, l’accipiens riceve una somma che gli compete.
Risulta, pertanto, che il delitto di bancarotta preferenziale tutela gli interessi del ceto creditorio sostanzialmente condensati nell'art. 2740 c.c., e nell'art. 2741 c.c., norma che stabilisce appunto il principio della par condicio creditorum.
Se, quindi, l'oggetto della tutela del reato di bancarotta preferenziale va individuato nella lesione del principio della par condicio creditorum, conseguentemente il danno va determinato nella misura in cui ciascuno dei creditori sia rimasto percentualmente vulnerato dal pagamento preferenziale. Così ricostruito, anche il reato di bancarotta preferenziale, la cui disciplina tende ad una tutela avanzata, preventiva e deterrente in relazione al rispetto dell'art. 2741 c.c., potrebbe essere ricondotto nell'alveo dei reati che ledono l'interesse della massa di pertinenza del ceto creditorio con correlativa minusvalenza della stessa.
E pure in questo caso la legittimazione del curatore potrebbe trovare la sua fonte nella azione posta a tutela del ceto creditorio (art. 2394 c.c.) esercitabile dal curatore, in caso di fallimento, ex art. 2394 bis c.c. L'art. 240 l. fall., non operando peraltro alcuna distinzione, ma prevedendo che il curatore possa costituirsi parte civile, nel procedimento penale per i reati previsti dal titolo VI della l. fall, anche nei confronti del fallito, contempla sostanzialmente la legittimazione attiva del curatore anche per le relative azioni di risarcimento del danno, sicché l'argomento, pure sostenuto da taluni, secondo cui il curatore sarebbe legittimato a proporre solo le azioni conservative non sembra reggere.”


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